Le tasse sono di sinistra?
Potrebbe essere la solita polemica da ombrellone quella innescata dalle parole di Renzi per smentire che il PD e la sinistra siano il partito delle tasse. Il fatto che la sinistra antirenziana, interna ed esterna, sia subito intervenuta a raccoglierla ci fa però pensare che qualche riflessione al proposito possa avere una sua utilità.
Il tema ha una sua radice storica. L’incremento della tassazione è in buona parte avvenuto fra fine Ottocento ed inizi Novecento per finanziare lo sviluppo dello stato assistenziale. In Gran Bretagna, i conservatori che avversavano queste misure allora sostenute dai liberali proclamavano che ciò stava avvenendo perché l’allargamento dell’elettorato aveva portato in parlamento i rappresentanti delle classi popolari che spingevano per allargare una spesa pubblica che portava vantaggi a loro mentre i costi ricadevano non su di essi, ma solo sulla parte abbiente della popolazione. Insomma far decidere a questa gente la spesa pubblica era “come nominare il gatto guardiano della ciotola del latte”.
Fatte le debite proporzioni e i conseguenti distinguo, l’origine del binomio sinistra eguale incremento della tassazione è qui. La sinistra vuole uno “stato sociale” che ovviamente costa e deve chiedere i soldi ai contribuenti. Più stato sociale significa più tasse.
Anche una parte non piccola della sinistra ha introitato questo atteggiamento e dunque ritiene che abbassare le tasse significhi semplicemente tagliare lo stato sociale. Poi magari va addirittura oltre e pensa che lo stato sociale vada sempre più allargato e che dunque non si debba avere paura ad imporre nuove tasse.
Oggi però bisogna chiedersi se sia veramente ancora così. Innanzitutto la gente si domanda se davvero la spesa pubblica corrisponda al ragionevole costo dello stato sociale. Lasciamo da parte per un momento spese che sono per così dire “istituzionali” come quelle per la difesa, per la sicurezza, per le infrastrutture. E’ sotto gli occhi di tutti che esistono due problemi: il primo è costituito dai costi inutili delle burocrazie che devono gestire la spesa sociale, ad iniziare dalle burocrazie politiche; il secondo è che c’è un eccesso di servizi non essenziali garantiti a tutti.
Il primo tema è quello più semplice da spiegare. Realmente per gestire il sistema dei servizi pubblici sono necessarie le pletore di consigli di amministrazione, partecipate, le elefantiache burocrazie di molti enti preposti e via elencando? Davvero per controllare e gestire democraticamente queste macchine c’è bisogno di una pletora di “rappresentanti popolari” non solo ben pagati (e fin qui …) ma anche ricoperti di privilegi, rimborsi e quant’altro?
Il secondo tema è quello più ostico. Quali sono i servizi veramente essenziali che vanno garantiti ai cittadini? Gli esperti spiegavano che per l’aspirina gratis a tutti si era finito per non poter rimborsare le cure sperimentali e molto costose per le patologie gravi come quelle oncologiche. Oggi sembra che in questo campo le cose vadano un po’ meglio, ma la questione non credo sia veramente risolta.
Poi c’è la questione, ingarbugliata assai, di chi ha il compito di decidere e raccogliere la tassazione. Lo stato, sul presupposto che questo potrebbe garantire eguaglianza nelle prestazioni su tutto il territorio, o i vari governi locali, col rischio che alcuni per populismo facciano pagare meno tasse riducendo i servizi e così compromettano la eguaglianza dei diritti su tutto il territorio?
Come si può vedere la materia è piuttosto complicata e le semplificazioni degli slogan non aiutano nessuno. Facciamo un esempio eclatante. Renzi ha proposto l’abolizione dell’IMU sulla prima casa e il solito populista di turno ha eccepito che così si esentava dal pagamento anche ci possiede un attico a piazza Navona a Roma. L’esempio è fuorviante, perché l’abolizione di una tassa sulla “abitazione”, che si presume non produca “ricchezza” perché un tetto sotto cui vivere è quantomeno un auspicio contenuto nella nostra costituzione, non impedisce che con altra formula si colpisca quella che è invece realmente una “ricchezza” come lo è un immobile di lusso e di pregio: basta valutarlo adeguatamente ai fini IRPEF dove appunto la tassazione deve essere progressiva rispetto alla ricchezza posseduta.
Un serio discorso sul nostro sistema di tassazione, sui suoi valori e sulle regole è quanto mai necessario in questo esordio di XXI secolo in cui non possiamo rimanere ancorati agli stereotipi anche solo di cinquant’anni fa. Renzi ha più volte notato che al suo governo è mancata spesso la capacità di “comunicare” le ragioni della sua politica. Se lo ricordi e capisca che proprio sul terreno fiscale una buona comunicazione è essenziale, perché quello è un terreno molto favorevole per i populisti di tutti i colori e di tutte le tendenze.
Non da ultimo perché senza una buon ed efficace comunicazione su ciò che significa un sistema fiscale moderno non i sconfiggerà mai il mostruoso fenomeno dell’evasione, che a sua volta si nutre della leggenda che le tasse in fondo sono soldi buttati in un pozzo nero per cui chi può fare a meno di pagarle è più che giustificato ( e in fondo non fa danno, perché tanto, magari in deficit, la spesa pubblica coi suoi vantaggi continuerà a correre).
di Paolo Pombeni
di Fabio Giovanni Locatelli *
di Lo staff di "Pagella Politica" *