Ultimo Aggiornamento:
24 aprile 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

Le riforme e i loro nemici

Paolo Pombeni - 01.07.2014
Matteo Renzi

C’è senz’altro un po’ di enfasi nel ritenere che questa sia la settimana cruciale delle riforme. Non è invece esagerato affermare che sul tema delle riforme, come avrebbe detto qualcuno di più importante, “qui si fa l’Italia o si muore”. Perché è giunto ormai al pettine un nodo denunciato da tutti ormai da quasi quarant’anni: il paese non può più andare avanti senza fare i conti con una serie di impedimenti, malfunzionamenti, incrostazioni di potere che rendono inefficiente il nostro sistema.

Sul punto c’è un largo consenso generale, anche se poi i vari analisti tendono in genere a dare ciascuno agli “altri” la colpa della situazione attuale, mentre, è banale dirlo, siamo arrivati a questo punto perché per un lungo tratto di strada c’è stato un largo consenso che si basava su un mercato di favori più o meno sotterraneo.

Oggi Matteo Renzi ha impugnato il vessillo della riscossa e lo ha fatto, come sempre accade, con una narrazione simbolica: quella della “rottamazione”, cioè della promessa di ricambio della classe dirigente. Naturalmente qualcuno potrebbe malignamente notare che spesso siamo di fronte a figli che rottamano i padri e le madri senza rinunciare troppo all’eredità di famiglia, più che ad un bagno di nuovi dirigenti usciti da qualche improbabile parto verginale. Ma tant’è: di fatto questa è comunque una “rappresentazione” destinata a convincere chi ci guarda da fuori che anche in Italia è possibile cambiare.

Tutto ciò rende però estremamente delicato il passaggio attuale. Se infatti fallisse questo sforzo riformatore, il discredito internazionale verso il nostro paese sarebbe pesante e, almeno per un lungo tempo, definitivo. Che in Italia si possa riformare qualcosa non lo hanno creduto finora in molti. Se gli forniamo noi la prova inconfutabile che hanno ragione, non siamo davvero messi bene.

Tuttavia è evidente che le riforme sono passaggi dolorosi e difficili, perché rimettono in discussione la distribuzione dei poteri e le rendite di posizione. Non c’è da illudersi che le corporazioni ed i singoli destinati al ridimensionamento (se non proprio alla cancellazione: questo è davvero pretendere troppo) non resistano per tutto quanto sarà loro possibile.

E’ stato notato da molti, da ultimo da Galli della Loggia sul “Corriere”, che le burocrazie sono il nemico relativamente sotterraneo della riforma cui Renzi vorrebbe mettere mano. Il termine è vago e forse anche ingiusto, sia perché sotto quell’etichetta stanno componenti diverse, sia perché anche all’interno di quelle componenti ci sono tensioni e lotte, anche generazionali. In questo caso l’abilità del governo dovrà consistere nel portare alla luce questi conflitti e nel trarre dalla sua parte quelle componenti che capiscono che il futuro può essere favorevole solo col cambiamento. Si tratterà ovviamente o di componenti particolarmente illuminate (non sappiamo quante siano) o di componenti che per calcolo generazionale sono obbligate a capire che la difesa dello status quo serve solo a consentire qualche anno in più di privilegi a chi è ad un passo dalla pensione, mentre poi ci sarebbe solo il crollo.

L’operazione non è affatto semplice, perché richiede una “pedagogia pubblica” che è forse un aspetto debole del governo Renzi. Sebbene stia godendo di un certo appoggio da una parte almeno della stampa (meno delle TV, dove, per ragioni di audience, si preferisce ancora puntare sulla rissa fra i critici del sistema), il governo non riesce a comunicare nei dettagli il suo piano. Ciò è pericoloso per lui, perché rischia di frasi scavalcare dai riformismi verbali radicaloidi tipo quelli del M5S, che ha capito, intelligentemente, che deve scendere su quel piano narrativo del contrasto provvedimento per provvedimento, anziché rimanere confinato nel vecchio schema del “è tutto da rifare”. E poi, naturalmente, ci sono la Lega, le destre, l’estrema sinistra e via dicendo.

A questo punto Renzi deve programmare un confronto duro con l’altra componente dei suoi avversari, cioè la fronda interna al parlamento. E’ una fronda trasversale, che non coinvolge solo quelli che nel PD non vogliono perdere posizioni di potere alternativo all’attuale leader, ma anche tutta quella parte della classe politica che ha capito benissimo che per essa non c’è gran futuro se il sistema si rimodella fuori degli equilibri attuali. Non è solo questione di posizioni “fisiche” che andranno perdute: meno parlamentari eletti, meno posizioni nel cosiddetto “para-stato”, meno possibilità di fare lobby, perché la spesa pubblica andrà inevitabilmente ridimensionata. E’ questione che un cambio di orizzonte comporterà, sia pure non tutto d’un colpo, un ridisegno dei centri di influenza e di quelli che in essi esercitano un ruolo significativo.

Non inganni il fatto che tra gli oppositori e i critici dell’attuale fase ci siano anche non pochi che in passato hanno cercato di essere i campioni della riforma che si doveva fare. E’ spesso, se non proprio sempre, così nella storia: le riforme le può fare l’ultimo che arriva quando il nemico è stremato, e costui non sempre è disposto a riconoscere il suo debito con chi ha contributo a dargli in mano un nemico ridotto in condizione da poter essere battuto, il che suscita il risentimento degli antichi combattenti.