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La scomparsa di Michel Rocard e le difficoltà del socialismo francese

Michele Marchi - 23.07.2016
Michel Rocard

Con la morte di Michel Rocard, il 2 luglio scorso, se ne va una parte importante della storia del socialismo francese e più in generale della sinistra europea. Al momento della commemorazione ufficiale agli Invalides, il presidente della Repubblica François Hollande non ha esitato a polemizzare più o meno direttamente con il suo Primo ministro Manuel Valls. Cosa aveva dichiarato nelle ore successive alla morte di quello che, a ragione (Valls è stato giovane collaboratore di Rocard a Matignon, tra il 1988 e il 1991), egli considera il suo padre politico? Aveva definito Rocard il simbolo, l’ emblema del carattere non conciliabile delle due “sinistre” francesi. Al contrario Hollande, nel suo elogio funebre, ha presentato lo stesso Rocard come personaggio politico di grande statura, cosciente della necessità di un’unione fra “première” e “deuxième gauche”, per poter garantire alla sinistra il governo del Paese.

La lunghissima parabola politica di Michel Rocard e nel complesso la storia della sinistra non comunista francese nel post Seconda guerra mondiale è ben riassunta da questa polemica a distanza tra Hollande e Valls.

Prima di avanzare qualche considerazione è necessario ripercorre le principali tappe della carriera politica di Rocard. Prima di tutto bisogna ricordare il suo approdo piuttosto tardivo al PS, ufficialmente nato nel 1969 dalle ceneri della SFIO e poi definitivamente in mano a Mitterrand dopo il congresso di Epinay del 1971. Dopo aver sostenuto la seconda candidatura presidenziale di Mitterrand nel 1974, lo stesso anno Rocard sceglie il PS e soltanto l’anno successivo entra nella segreteria nazionale. Eppure egli a quel punto può già vantare quasi un ventennio di militanza politica, ma in quale partito? In origine all’UNEF, il sindacato degli studenti universitari francesi, in piena guerra d’Algeria e poi, dal 1958, nel minuscolo PSA, partito di sinistra, anti-sistema (ma anche anti-comunista) e soprattutto anti-SFIO. Il PSA non lascia un segno particolare nel primo biennio successivo al ritorno al potere del generale de Gaulle, a parte rifiutare la richiesta di adesione di Mitterrand, giudicato troppo sospetto e troppo legato alla IV Repubblica. La fusione tra il PSA e una serie di gruppuscoli di sinistra, legati al mondo dei club intellettuali e degli ambienti tecnocratici facenti capo a Pierre Mendès-France, origina il PSU (Parti socialiste unifié). Ed è in questo strano e complesso contenitore partitico, ricco di brillanti intellettuali e giovani militanti molto più che di elettori, che la carriera politica di Rocard assume una dimensione nazionale. Tra fine aprile ed inizio maggio del 1966 una serie di sigle e personalità della sinistra non comunista che non si riconoscono in Mitterrand, uomo forte dopo il ballottaggio presidenziale contro de Gaulle dell’anno precedente, si ritrovano a Grenoble, per progettare il futuro della gauche e più prosaicamente per discutere di candidature per le legislative del 1967. La dimensione nazionale del giovane Rocard è oramai riconosciuta: tutti i principali media lo incoronano erede politico e culturale di Pierre Mendès-France. L’anno successivo egli diventa segretario del PSU e nel biennio 1968-69, alla guida del piccolo partito gauchista, si trova ad affrontare la sfida del maggio ’68 e le drammatiche, per la sinistra, elezioni presidenziali del 1969. A differenza di ciò che resta del socialismo francese raccolto attorno a Mitterrand, Rocard sembra possedere migliori strumenti per comprendere tutta la carica utopica e rivoluzionaria del movimento. La dimensione però minoritaria ed elitaria del PSU si evidenzia sia alle legislative del ’68, sia alle presidenziali del ’69. Il candidato Rocard si ferma al 3,6%, ma non bisogna dimenticare che il candidato SFIO, Gaston Defferre, passa di poco il 5%. Rocard si avvicina all’anno zero della gauche non comunista da una posizione politicamente marginale, ma di grande potenziale intellettuale. Non a caso nella prima metà degli anni Settanta egli si pone l’obiettivo di rappresentare e traghettare nello spazio politico del socialismo un movimentismo autogestionario e di tradizione cristiano sociale che, nella sua ottica, dovrebbe fornire un contributo essenziale alla rifondazione programmatica ed ideologica del socialismo.

A questo punto è impossibile stupirsi di fronte al braccio di ferro politico-culturale portato avanti dal 1977al 1981 tra Michel Rocard e François Mitterrand. Il congresso di Nantes (1977) e quello di Metz (1979) sono i due momenti più significativi. A Nantes Rocard pronuncia il famoso discorso sulle “due culture” della sinistra. La prima è quella rappresentata da Mitterrand, giacobina e stato-centrica, che non esita a scendere a patti con il comunismo, pur di raggiungere il potere. La seconda è quella che vuole fare propria l’evoluzione economica e sociale del Paese, che si vuole confrontare con una dimensione europea e che infine vuole veicolare all’interno di una dimensione riformista tutte le pulsioni del post ’68. Se a Nantes lo scontro è culturale e Rocard lo perde, a Metz è tutto politico e lo stesso Rocard passa ufficialmente all’opposizione interna a Mitterrand nel PS.

Tra la candidatura alle presidenziali del 1981, poi ritirata una volta decisa quella di Mitterrand, e le dimissioni del 1985, è condensato tutto il rapporto di Rocard con il potere. Pessimo il timing e le modalità (“sarò candidato all’Eliseo, solo se non si candiderà Mitterrand”), mortificante l’esperienza ministeriale che gli sarà imposta dallo stesso Mitterrand (prima alla pianificazione e poi all’agricoltura), sincera quanto inefficace la scelta delle dimissioni a seguito della machiavellica decisione dello stesso presidente di modificare il sistema elettorale delle legislative (da maggioritario a proporzionale) per mettere in difficoltà una destra, certa della vittoria, ma sempre più sfidata dal nascente Front National.

La nomina a Primo ministro dopo la rielezione di Mitterrand del 1988 è ancora un dono “avvelenato” del presidente a colui che più aveva cercato di insidiare la sua leadership nel PS. Il quasi pareggio alle elezioni legislative immediatamente successive alle presidenziali e la volontà di Mitterrand di presentare un governo di “ouverture”, impongono a Rocard tre durissimi anni a Matignon. Con una maggioranza risicata e un presidente sempre pronto a fare del suo Primo ministro il parafulmine dietro al quale nascondersi in caso di contestazione, Rocard vive alla giornata piuttosto che governare. L’avvicendamento con Edith Cresson da un lato simboleggia il lento declino verso la fin de règne del mitterrandismo e dall’altro la potenziale fine della carriera politica di Rocard.

Eppure c’è ancora un capitolo da scrivere e Rocard questa volta sembra aver compreso che controllo ideologico e leadership politica non possono essere disgiunte. Cogliendo l’occasione della debacle socialista alle legislative del 1993 (e dell’avvio della seconda coabitazione) egli assume il controllo del PS. Ma è ancora una volta Mitterrand, sponsor della lista dissidente guidata da Bernard Tapie alle europee del 1994, a decretare la fine politica di Rocard. La lista socialista di Rocard perde quasi dieci punti e quella radical-socialista guidata dal discusso uomo d’affari ottiene oltre il 12%. Rocard non sarà più candidato alla presidenza, non guiderà più il rinnovamento del PS e dovrà, per forza di cose, limitarsi al ruolo di grande saggio della gauche francese.

Se quella delineata in breve è la parabola politica di Rocard, diventa complicato non definirlo uno sconfitto dalla storia. Seppur tranchant, la definizione appare corretta, osservando il suo percorso dal punto di vista della conquista e della gestione del potere. In fondo la prima e più sostanziale differenza tra lui e il grande nemico Mitterrand è proprio questa.  Per il cosiddetto rifondatore del socialismo francese, in fondo, la questione nel corso degli anni Settanta è stata molto semplice. Per guidare il Paese, il PS ha bisogno di una parte consistente del voto comunista. Per ottenerlo sono indispensabili due operazioni: sostenere tutti i principali dogmi della sinistra (primo fra tutti il mito delle nazionalizzazioni) e d’altra parte limitare al minimo le aperture al riformismo (la socialdemocrazia scandinava o tedesca e il socialismo mediterraneo diventano simboli da esibire una volta conquistato il potere).

Se però si affronta la questione dal punto di vista dell’evoluzione della cultura politica, è impossibile trascurare i meriti di Rocard e della sua “deuxième gauche”. Il PS mitterrandiano, da questo punto di vista, non è stato impermeabile al rocardismo. La conversione all’economia di mercato e la consapevolezza del ruolo imprescindibile del capitalismo (formalizzata al congresso socialista del 1991) sono la prima vittoria della deuxième gauche. Se si è potuto parlare di social-liberalismo nel contesto transalpino, il merito è di Rocard. Allo stesso tempo Rocard ha operato, con il suo liberalismo, anche da un punto di vista culturale. Ha cioè svolto il ruolo di catalizzatore della parte migliore della tradizione del post ’68. I temi della decentralizzazione, della co-gestione, del protagonismo sindacale (CFDT e non CGT), dell’europeismo e della centralità delle élites nella programmazione e gestione del potere hanno contribuito a creare una classe dirigente socialista ripulita dai demoni del dogmatismo e dell’istinto rivoluzionario.

La ricerca storica nei prossimi anni potrà aggiungere nuovi giudizi ad un personaggio comunque decisivo per l’evoluzione della sinistra non comunista francese, ma più in generale per la grande e multiforme famiglia del riformismo europeo. A meno di un mese dalla sua scomparsa e con un socialismo francese in crisi di leadership almeno quanto di progettualità politica, riflettere sulla figura di Rocard e sullo scontro ventennale con Mitterrand, ci aiuta ad illuminare un più generale dilemma che è della sinistra quando si confronta con il potere. Se osserviamo Mitterrand, nel decennio 1971-1981 e la sua trasformazione da primo oppositore alla Quinta Repubblica a nuovo “monarca repubblicano”, notiamo in lui una sorta di “integralismo di sinistra” con un unico obiettivo: la conquista del potere. Mitterrand e la “première gauche” conducono la loro battaglia all’insegna del tutto politico. Rocard e la sua fragile “deuxième gauche” dovrebbero lottare per rendere egemone una cultura politica e poi dedicarsi alla conquista del potere. Come conducono questo scontro? Avanzando un netto primato del sociale sul politico, ma non riuscendo ad ottenere praticamente nulla: né il potere, né l’egemonia culturale.

Ma allora nel gioco di ruoli tra Hollande, il mitterrandiano, e Valls, il rocardiano, forse hanno entrambi più torto che ragione. L’unione delle due sinistre, eredità del mitterrandismo così come ricordata da Hollande, si è ben presto rivelata conquista e sterile gestione del potere. Dall’altro lato la “deuxième gauche” non è riuscita a conciliare sociale e politico e non si è nemmeno fatta forza egemone all’interno del PS.  Il risultato odierno è un cumulo di macerie, provenienti direttamente dal passato, al quale si sommano le mancate risposte alle sfide del presente.

Ricordare la lunga carriera politica di Rocard è utile, per la gauche francese, solo a patto che ogni sua tappa sia contestualizzata storicamente e che di conseguenza dimensione del potere e dell’elaborazione politico-ideologica assumano la loro rispettiva ed imprescindibile importanza, per poi essere calate nella odierna congiuntura politica, economica e sociale. Insomma ripartire da Rocard può avere un senso, ma solo dopo averlo correttamente studiato ed interpretato, esaltandone i meriti, ma anche sottolineandone i limiti.