La riforma Cartabia e gli squilibri del sistema politico

Quando si lamentano i malcerti assetti del sistema politico italiano, che in parecchi decenni non è riuscito a trovare un equilibrio duraturo, occorre sempre tener presente un fattore di instabilità che, molto spesso, non viene considerato con la dovuta attenzione. In maniera più pronunciata di quanto avviene in altre democrazie, infatti, la vita politica del nostro paese, da alcuni decenni, è attraversata da un clivage che si somma e si interseca ai correnti clivages politici, siano essi quelli tradizionali (destra/sinistra), o quelli emersi in tempi più recenti (europeismo/sovranismo). In sostanza, accanto alla normale lotta politica esiste una contrapposizione tra il potere politico e l’ordine giudiziario che condiziona in modo negativo la nostra vita politica. L’origine di questo problema risale alla fine della cosiddetta prima repubblica. Come è noto, le inchieste di quella fase, definite riassuntivamente come “tangentopoli”, hanno determinato uno squilibrio tra i poteri dello stato che non si è mai potuto sanare. A far sì che quello squilibrio non fosse solo il portato di una stagione straordinaria è risultata decisiva la sciagurata modifica costituzionale, votata da un parlamento impaurito nell’autunno del 1993. Una modifica che riduceva drasticamente l’immunità parlamentare. A partire da allora l’intera classe politica si è trovata alla mercé dei settori ideologizzati della magistratura. Si tratta di settori non maggioritari ma provvisti di una visibilità mediatica molto forte, che ne aumenta la capacità di condizionare l’agenda politica. A rafforzare questo squilibrio si sono aggiunti altri fattori. Anzitutto abbiamo avuto un affievolimento del principio della divisione dei poteri. In questi anni sono entrati in politica numerosi esponenti della magistratura, molto spesso pubblici ministeri. Un fenomeno che non ha riguardato solo una parte dello schieramento politico, ma ha attraversato trasversalmente la destra, la sinistra ed il centro. Ad aggravare ulteriormente la situazione c’è stata poi la nascita di formazioni giustizialiste, cioè di movimenti politici che perseguivano programmaticamente la subordinazione del potere politico a quello giudiziario. Il combinato disposto di questi fattori ha determinato la impossibilità di porre rimedio a tale condizione di patologico squilibrio. In questi decenni, mai è stata all’ordine del giorno il ripristino della immunità parlamentare. Della riforma della magistratura, con la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante, si è parlato spesso senza che alle buone intenzioni seguissero atti legislativi. Infine, il clima politico di giustizialismo strisciante ha reso i ministri guardasigilli reticenti all’uso dei poteri disciplinari di cui dispone, che avrebbero potuto costituire un deterrente efficace per arginare il protagonismo dei pubblici ministeri.
La situazione è definitivamente peggiorata con l’affermazione del Movimento 5stelle, una compagine politica fautrice del giustizialismo più oltranzista. Il partito grillino, non appena è andato al governo, ha promosso la cosiddetta riforma Bonafede (dal nome del guardasigilli pentastellato), che ha abolito la prescrizione dei reati dopo il primo grado di giudizio. Di solito si è sottolineato il carattere antigarantista di questa misura, che contraddice il principio costituzionale della ragionevole durata dei processi. Ma la norma ha anche un contenuto politico rilevante, perché aumenta la discrezionalità della magistratura, accentuando lo squilibrio di cui si è detto.
La riforma simbolo dei grillini, entrata in vigore nel gennaio 2020, non ha avuto vita lunga. Il governo Draghi, infatti, per iniziativa del nuovo guardasigilli Marta Cartabia, ha cancellato di fatto la fine della prescrizione, prevedendo tempi fissi entro cui far emettere le sentenze pena la improcedibilità. Al di là degli aspetti tecnici, però, c’è da sperare che questa iniziativa del governo segni una inversione di tendenza che porti a ripristinare un giusto equilibrio fra i poteri dello stato.
* Insegna presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Federico II di Napoli
di Paolo Pombeni
di Maurizio Griffo *