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L’oro blu non deve smettere di scorrere. L’emergenza acqua nei secoli

Claudio Ferlan - 30.03.2019
Giornata mondiale dell'acqua

Lo scorso 22 marzo si è celebrata la Giornata mondiale dell’acqua, voluta per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale, politici e investitori all’obiettivo numero 6 del progetto per lo sviluppo sostenibile mondiale: acqua per tutti entro il 2030. Il motto della giornata è stato non lasciamo nessuno indietro (leaving no one behind). Indietro, però, sono ancora in tanti, troppi.

 

Ieri e oggi

La questione è attuale ma niente affatto nuova. La disponibilità di acqua potabile è stata per secoli un problema talvolta insormontabile. Qualche esempio, tenendo conto che c’è ancora molto da studiare. La storia racconta che nei monasteri tedeschi del 1300 si consumavano tra i due e i quattro litri di vino pro capite. I padri pellegrini (e i loro figli) imbarcati sulla Mayflower, la nave che portò i primi coloni inglesi nel Nuovo Mondo (1620), preferivano la birra e il gin all’acqua. Erano tutti grandi bevitori? No, non tutti. Affrontavano con i mezzi a loro disposizione una difficoltà strutturale della propria quotidianità: la pessima qualità dell’acqua disponibile e provavano a disinfettarla o sostituirla. Per alcune popolazioni indigene americane era diffusa l’abitudine di consumare succhi di frutta in grande quantità. L’inquinamento non è una preoccupazione nuova, come non lo è la necessità di costruire una rete idrica capace di garantire a tutti il necessario per bere e curare la propria igiene personale. Del resto le grandi città furono costruite in riva ai fiumi, l’impero romano conquistò quello che riuscì a conquistare grazie anche alla straordinaria modernità della rete degli acquedotti.

Nel vecchio adagio «il vino fa sangue e fa cantare mentre l’acqua fa male perché arrugginisce» vi è dunque una radice storica: per secoli l’acqua è stata ritenuta, talvolta con pieno fondamento, una bevanda malsana, dannosa per la salute, al contrario di fermentati e distillati, buoni per disinfettare come anche per nutrire e medicare. La buona acqua era difficile da trovare e chi l’aveva a disposizione cercava spesso di sfruttarne le potenzialità.

Siamo 7,7 miliardi sul pianeta e consumiamo sempre più acqua, per mille ragioni, non solo per dissetarci e lavarci. Dopo il decennio 1980/1990 la domanda aumenta dell’1% annuo, come ci spiega il rapporto Unesco 2019 (World Water Development Report 2019). Le cifre del rapporto impressionano: il 30% dell’umanità non può bere dal rubinetto di casa propria senza rischiare, dissenteria e colera legati alla scarsità d’acqua causano 780.000 morti ogni anno, più di conflitti, sismi ed epidemie. La geografia dell’emergenza è chiara, gli squilibri palesi: per esempio interessa il 6% della popolazione di Europa e America settentrionale, il 76% di quella dell’Africa subsahariana.

La migrazione forzata motivata dai conflitti aumenta gravemente le dimensioni del problema: il numero dei campi profughi è in vertiginoso aumento negli ultimi anni e al loro interno l’emergenza acqua persiste e difficilmente si risolve.

 

Oggi e domani

Tra i leader mondiali più impegnati nella sensibilizzazione sul tema-acqua c’è sicuramente papa Francesco, che in occasione della ricorrenza del 22 marzo ha inviato un messaggio al direttore generale della FAO, José Graziano da Silva. La lettera si sofferma soprattutto sull’avvenire, su quello che si deve fare per gestire l’emergenza e intervenire gettando le basi per risolverla. Il papa dimostra una stretta comunione d’intenti e di sentire con le organizzazioni mondiali impegnate sul tema.

Un richiamo esplicito alla necessità di «prendere coscienza del bisogno di rispondere con fatti concreti» introduce un elenco delle cose da fare: il mantenimento e il perfezionamento di strutture idriche, l’educazione delle nuove generazioni all’uso e alla cura dell’acqua, la sensibilizzazione a chi subisce gli effetti del cambiamento climatico ed è vittima delle conseguenze di sfruttamento e inquinamento dell’acqua.

Quanto alle strutture idriche, i progressi ci sono indubbiamente stati: tra 2000 e 2015 più di un miliardo di persone hanno ottenuto accesso diretto all’acqua grazie a lavori di canalizzazione. Ma non basta: larghissime fasce della popolazione mondiale sono ancora oggi costrette a spostarsi, anche di molto, per accedere all’acqua; un lavoro talvolta assai faticoso che grava sulle spalle soprattutto di donne e bambini dei paesi più poveri. Il riferimento al cambiamento climatico ha solide basi scientifiche: l’inquinamento, sia in superficie sia nelle falde, sta assumendo dimensioni preoccupanti e non accenna a recedere.

L’urgenza esiste e sembra che quanto auspica Francesco, l’educazione delle giovani generazioni, sia un obiettivo secondario rispetto a quella degli adulti. La manifestazione planetaria recente ce lo ha fatto capire: gli studenti stanno richiamando all’ordine le generazioni venute prima di loro. Forse l’emergenza educativa interessa coloro che pensano si possa smettere di imparare più di quanto non coinvolga chi a scuola ci sta andando.