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L’enigma Grillo

Paolo Pombeni - 07.01.2017
Beppe Grillo

Se c’è una cosa che va riconosciuta a Grillo è un certo fiuto politico: sarà anche quello del demagogo, ma sempre di fiuto politico si tratta. Così all’inizio di un anno elettorale, con un panorama politico che cerca di ritrovare una sua stabilizzazione, il fondatore dei Cinque Stelle capisce che è di fronte ad un passaggio cruciale e si organizza per affrontarlo.

Come sempre lo fa in modo contorto, anteponendo i colpi di teatro a qualsiasi strategia politica meditata, senza riuscire a proporre un vero progetto che legittimi la sua ricerca di leadership sul paese, ma questo non significa che non agisca in modo da consolidare la sua posizione. Una analisi ravvicinata degli ultimi eventi può aiutarci a capire.

In primo luogo Grillo è tornato in campo in prima persona, consapevole che lui solo è il perno del sistema che ha messo in piedi. I suoi uomini lo imitano malamente, ma nessuno di loro ha la sua capacità istrionica o il suo fiuto nel cogliere gli andamenti della pubblica opinione. Solo lui fa veramente notizia e questo lo obbliga a fabbricarne una ogni giorno, altrimenti le notizie sul M5S finiscono per essere un danno, tanto deboli sono i suoi “portavoce” (quando, peggio, non siano fonte di notizie negative come nell’ormai stracitato caso di Roma).

In secondo luogo l’ex comico (definizione che sarebbe meglio lasciar da parte, perché l’uomo ha rivelato capacità politiche per quanto di natura peculiare) sta accentuando il carattere sfuggente dell’ideologia pentastellata, badando solo ai sentimenti elementari che percepisce venire dalla pancia del paese. Così può sventolate la bandiera italiana nel messaggio di Capodanno, pronunciarsi contro l’immigrazione e contemporaneamente polemizzare sul progetto governativo di potenziare i Cie. Sono solo esempi di una costruzione ondivaga di prese di posizione, tanto a sostenere tutto c’è il mito della “rete” e della democrazia diretta che non viene scalfito dal fatto che poi, come accaduto nel caso del voto sul nuovo codice di comportamento, a pronunciarsi sia meno della metà degli aventi diritto.

In terzo luogo Grillo avvia la battaglia classica di ogni demagogia: delegittimare qualsiasi avversario come fonte pregiudizialmente inquinata dall’obiettivo di impedire la “vittoria dei buoni”. La sua trovata di lanciare una fantasmagorica proposta per la creazione di tribunali del popolo in cui emettere sentenze contro gli inquinatori delle verità proposte dai “buoni” con la conseguenza di poter obbligare i responsabili di quelle operazioni a risponderne pubblicamente “a capo chino” rivela molte cose. Innanzitutto la necessità di bloccare la lettura o l’ascolto delle notizie critiche sul movimento. E’ il meccanismo tipico di ogni difesa dell’ortodossia: i libri e le conferenze degli “eretici” non possono essere accostati in nessun modo, devono essere giudicati da qualche apposito “Sant’Uffizio” che giudicherà lui per tutti. In tempi di finta democrazia questo Sant’Uffizio va affidato alla passione popolare, ma anche questa non è una novità: senza risalire tanto indietro nel tempo, basterà ricordare la rivoluzione culturale cinese (e qualche ricezione italiana, quando si cantava “e noi faremo come la Cina, i professori all’officina” …).

Qualcuno potrebbe obiettare che l’attacco a giornali e TG è un rischio per Grillo che potrebbe vedersi chiudere l’accesso ai sistemi di diffusione delle sue informazioni. Non si creda che ci sia in questo un ritorno alle origini, quando i grillini rifiutavano sdegnosamente di andare in TV, convinti che il web fosse più che sufficiente a fare proselitismo. Ormai hanno imparato che la crescita della loro presenza e del loro peso dipende in parte consistente dalla loro presenza nei canali tradizionali di informazione. A questo non hanno alcuna intenzione di rinunciare, ma sanno benissimo che è un rischio che non corrono.

In una politica sempre più spettacolarizzata i vari media non possono fare a meno di loro, perché attirano attenzione sia fra coloro che li considerano i vendicatori delle loro frustrazioni, sia fra coloro che trovano soddisfazione ad indignarsi per le loro sciatterie. Di conseguenza possono permettersi di insultare le sedi attraverso cui passano le critiche al loro operato, in modo che ci si convinca che esse non sono “credibili” e dunque non potranno insinuare dubbi nelle menti degli adepti e dei simpatizzanti, mentre continueranno ad essere utilizzate per diffonder il loro verbo, che è per definizione “altro” rispetto ai contenuti prodotti dai media.

Questa strategia è comprensibile solo se la si inquadra nel passo avanti che Grillo punta ormai a far fare al Movimento: la candidatura alla presa di potere, cosa non troppo difficile dal momento che nel quadro politico attuale non esiste un partito capace di egemonia in modo da farsi interprete della necessaria rinascita e trasformazione che consentirebbe di uscire dalla crisi. Finché M5S potrà presentarsi ed essere presentato come il solo che sia in grado di rompere i ponti con un sistema a cui, a torto o a ragione, si imputa la responsabilità della crisi, la forza potenziale del movimento potrà essere contenuta, ma non dissolta e non è escluso sia in grado progressivamente di attrarre nel suo gorgo anche molta parte delle altre forze anti-sistema che oggi sono presenti, a prescindere dalle loro attuali colorazioni di destra o di sinistra.