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17 aprile 2024
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La dispersione scolastica implicita: un quindicenne su due non comprende ciò che legge

Francesco Provinciali * - 04.06.2022
Dispersione scolastica

A margine del Convegno “Impossibile” promosso da ‘Save The Children’ sulle problematiche (ricorrenti) e sulle aspettative (inevase) che riguardano bambini e adolescenti, restano i dati impietosi sciorinati, nella quattro giorni di confronto e riflessione, dal Presidente Claudio Tesauro.

Ci sono tendenze e derive che si stanno consolidando, come la cd. “dispersione scolastica implicita” che consiste nei deludenti risultati in termini di apprendimento e formazione che gli studenti conseguono nel corso del curricolo degli studi, già considerando le abilità di base. Se utilizzassimo come parametro di valutazione degli esiti di istruzione la tassonomia di Bloom (conoscenza-comprensione-applicazione-analisi-sintesi e valutazione) ci accorgeremmo che un quindicenne su due non è in grado di comprendere il significato di un testo scritto sottopostogli come lettura. Fermandosi forse ben prima dei livelli sopra richiamati: siamo lontanissimi dal conseguimento del ‘problem solving’, come capacità di coniugare intelligenza e intuizione, che presuppone il possesso di tutti i passaggi apprenditivi “a salire” enunciati nella tassonomia stessa. L’OCSE da tempo evidenzia una sorta di inefficacia formativa del sistema scolastico italiano, mentre i test INVALSI (per quanto antipatici, ostici e parziali) confermano questa scia negativa che si protrae e ingloba livelli e gradi del corso di studi: secondo i dati del 2021 due quattordicenni su cinque (con punte tra il 50 e il 60 per cento al Sud) escono dalle medie con competenze da quinta elementare.  Qualcuno ricorderà la Ricerca del compianto linguista e Ministro dell’Istruzione Prof. Tullio De Mauro, secondo cui il 70% degli italiani non è in grado di comprendere un testo scritto di media difficoltà. Fatte le debite proporzioni il saldo negativo viene confermato dai dati forniti da Tesauro e – se mai – anticipati. Sarebbe interessante approfondire le cause di questa ‘debolezza formativa’ che sta diventando strutturale nel nostro sistema scolastico. La lunga parentesi pandemica e il ricorso alla DaD hanno confermato un impoverimento formativo a cui l’uso delle tecnologie – in sostituzione della didattica in presenza- non ha offerto un adeguato ‘assist compensativo’.

Va considerato il processo di facilitazione dei corsi di studio e dei programmi: si pensi al declassamento che hanno avuto storia e geografia, non solo negli apprendimenti di base ma persino nei licei (con l’ibrido sostitutivo della geostoria), si pensi al graduale abbandono dell’uso del corsivo e della scrittura manuale a favore di tablet e PC, all’enfasi sui test al posto del testo scritto (metodo esportato dalla scuola a livello universitario e nei concorsi pubblici per l’accesso a carriere di alto profilo culturale) , alla lenta espunzione della poesia, della musica e della storia dell’arte, ai linguaggi corti e sincopati, sigle e acronimi che prendono il posto della scrittura fluente e narrativa, alla riduttiva importanza della lettura, specialmente dei classici, all’oblio della ‘memoria’ come metodo di allenamento della mente, alla scomparsa dei dettati, sostituiti da cartelloni, diagrammi con frecce di richiamo e collegamento a schema aperto, che sovente dicono tutto e il suo contrario e si leggono con interpretazioni improbabili, soggettive e soprattutto transeunti e non metabolizzabili.

Un tempo la scuola insegnava innanzitutto a leggere, scrivere e far di conto: quanto manchi il possesso di questa strumentalità di base lo si osserva negli scritti sempre più brevi e lessicalmente poveri, negli elaborati senza traccia né sequenza logica tra incipit, nucleo centrale e conclusioni, nell’uso di smartphone e tecnologie che prendono il posto del ragionamento e della riflessione perché offrono un “pensiero pensato” già confezionato ma spesso usato in modo acritico. Le conclusioni deludenti e potenzialmente gravi persino per il loro riverbero nella società adulta, cui competono decisioni e scelte di vita, dalla salute all’ambiente, dagli stili comportamentali agli scambi relazionali, fino all’impalcatura semantica, simbolica, grammaticale e sintattica che regge tutti gli apparati del mondo del lavoro e della pubblica amministrazione e secondo Tesauro alla stessa “tenuta democratica”, sono quelle rimarcate nella sua relazione. Un’immagine depauperata che non è di oggi: già nel giugno dello stesso anno, poco prima della pubblicazione del Rapporto OCSE “Education at a glance 2019”, una Ricerca della Sapienza condotta da Sgritta e Raitano – “Generazioni tra conflitto e sostenibilità” evidenziava come l’impoverimento formativo producesse un ridimensionamento sistemico, peraltro in linea con tutti gli altri indicatori standard dello sviluppo o della stagnazione del Paese, dentro un’analisi sugli equilibri/squilibri sociali possibili in futuro. Approfondendo tra l’altro il concetto di “giovani neet” (‘not in employment, education or training’,  cioè coloro che non studiano e non lavorano)  che Tesauro quantifica oggi in oltre due milioni di soggetti (il dato più alto d’Europa)  e che sono prevalenti (rispetto ai coetanei dai 15 ai 29 anni che seguono un corso di studi o hanno un’occupazione seppur precaria) ) in ben 6 regioni, mentre «in Sicilia, Campania, Calabria per 2 giovani occupati ce ne sono altri 3 che sono fuori dal lavoro, dalla formazione e dallo studio. Dati che fanno a pugni con la richiesta del mondo produttivo». Si può affermare che l’impoverimento riscontrato inizia con la disponibilità di asili nido frequentati solo dal 14.,7 % della prima infanzia in un range che va da Trento (2.481) alla Calabria (149) , ricorda gli 876 mila iscritti alla scuola dell’infanzia che hanno sofferto l’intermittenza delle aperture nella fase pandemica e prosegue con l’offerta del tempo pieno alla primaria di cui usufruisce il 45% dei bambini del centro-nord e il 17% del sud, per finire con l’abbandono precoce prima del compimento dell’obbligo scolastico (13,1%) e formativo che interessa il 16,3 % degli studenti. 

La distribuzione dei gap formativi non è solo territoriale ma abbraccia il target del ceto sociale di appartenenza, colpendo inesorabilmente le famiglie più povere. Per Tesauro in Italia si palesa "una crudele ingiustizia generazionale perché la crisi ha colpito proprio i bambini. Non solo 1,384mila bambini in povertà assoluta (dato più alto degli ultimi 15 anni) ma un bambino in Italia oggi ha il doppio delle probabilità di vivere in povertà assoluta rispetto ad un adulto, il triplo delle probabilità rispetto a chi ha più di 65 anni".

Analizzando conclusivamente i dati esposti da Tesauro si evidenziano due tendenze negative nel nostro sistema scolastico: l’impoverimento culturale di fondo dovuto alle teorie della facilitazione e della promozione automatica per tutti che vanificano qualsivoglia tentativo di offrire un supporto di orientamento verso il mondo del lavoro e il conseguente precipitato sociale che si traduce nel venir meno di una robusta istruzione con valenza compensativa per le classi meno agiate.

La scuola offre più di un tempo uguali opportunità di partenza ma, depauperando sul piano sostanziale (non formale) i contenuti della propria offerta formativa, espungendo o ridimensionando materie, discipline, metodi di studio, non persegue di fatto il risultato di garantire uguali opportunità di arrivo.

La classe Dirigente che governa la nostra scuola, mi riferisco al livello dei decisori politici, rispetto alle scelte e agli indirizzi da assumere, dovrebbe acquisire la metodica della “pedagogia comparativa”.

Unione europea vuol dire anche confronto tra i sistemi scolastici e i piani di studio dei Paesi U.E.: un contesto dove un tempo avevamo più da insegnare che da imparare.

Occorre una svolta significativa, forse epocale per evitare che il nostro sistema formativo non regga la competizione con i sistemi scolastici degli altri Paesi, in termini di esiti qualitativi e di risultati legati alla crescita generale. Più risorse, più fiducia nella scuola, più lungimiranza, da parte di una governance che ha finora eluso le straordinarie potenzialità di cui istruzione formazione e ricerca sono portatrici.