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La BCE convitato di pietra delle elezioni del 25 maggio

Gianpaolo Rossini * - 13.05.2014
BCE

Certo non si può dire che questa tornata la campagna elettorale per le elezioni per il Parlamento di Strasburgo  non tocchi questioni europee. L’euro è il tema che risuona ovunque. Nonostante molte formazioni politiche sventolino minacciose bandiere antieuro, non spunta però all’orizzonte una risposta nei fatti e sul piano mediatico da parte di alcuna istituzione europea. Il compito, ingrato, di difenderle è lasciato a forze politiche di governo. Alcune delle quali non hanno certo ricevuto favori da Bruxelles e Francoforte. E ora si trovano a dover giustificare zii spilorci, lunatici. E una BCE sempre pronta a rimproverarci. Colpevole di averci cacciato nel vicolo angusto e drammatico della deflazione. Tutto questo non aiuta sul piano politico i governi leali all’Europa. E dimostra una fastidiosa sufficienza nei confronti della democrazia e della rilevanza del Parlamento europeo. Oltretutto è proprio la BCE l’istituzione federale per eccellenza che deve ogni anno rendere conto al Parlamento europeo. Ma la BCE  sembra scarsamente interessata ai suoi interlocutori istituzionali, forse perché finora il parlamento europeo ha contato quanto il Forum di Davos. Ma non sarà sempre così.  In ogni caso la BCE  avrebbe potuto, e potrebbe ancora, fare qualcosa. Ma seguita a limitarsi  ad annunci. E rimanda. Rimanda. Rimanda.  Si compiace della ritrovata fiducia dei mercati nei paesi più disgraziati dell’euro, anche se  questa è  frutto dell’afflusso di capitali da oltreoceano e dall’oriente e non c’è lo zampino della BCE.  Giovedì 8  maggio in occasione della riunione mensile del comitato esecutivo, la BCE ha lasciato invariati i tassi al livello dello 0.25%  e si è impegnata a considerare seriamente il prossimo 5 giugno l’opportunità di immettere moneta acquistando un po’ di titoli pubblici dei governi di eurolandia. Il che potrà avvenire solo se le condizioni economiche lo giustificheranno. Quindi: non è detto. Se poi la BCE si muoverà dovrà seguire le forme rituali statutarie. Immetterà moneta e comprerà titoli in modo  proporzionale tra i paesi membri e non in misura superiore per i titoli dei paesi che soffrono ancora di spread nei loro tassi d’interesse rispetto a quelli teutonici. In ogni caso, prima delle elezioni, la BCE non muoverà un dito ma sarà il convitato di pietra. E quanto si preannuncia dopo non sembra particolarmente invitante. Perché non è prevista nessuna novità nelle mosse della BCE rispetto a quanto già fatto in maniera piuttosto timida negli ultimi tre anni.  Eppure acquistare con coraggio una quantità maggiore di titoli di stato dei paesi in difficoltà sarebbe una politica legittima e non violerebbe alcun trattato. Nel settembre 2012 Mario Draghi ammise, in una intervista ad un quotidiano tedesco,  che la politica monetaria della BCE non era efficace perché gli enormi spread tra diverse aree dell’unione la rendevano impotente. Questa affermazione significa che da quasi quattro anni la politica monetaria comune è una parvenza di quello che dovrebbe essere. Ovvero il non volere intervenire per ridurre gli spread ha fatto si che per quattro anni in una parte dell’impero Cesare non contasse nulla. In queste lande derelitte si è accettato con Maastricht di metter in frigo la politica fiscale a livello nazionale. Con il risultato di vedere allontanarsi anche le insegne imperiali di una politica monetaria unica. Gli spread hanno di fatto segnato la capitolazione della politica monetaria unica trasformandola in tante diverse e inefficaci politiche monetarie regolate dal livello degli spread e non da Francoforte. Il risultato di questa politica monetaria disarticolata,  ma più severa di quelle del resto del globo, è una deflazione in cui arranchiamo ormai da quasi 3 anni con effetti devastanti sulle economie e sulla popolazione di vaste  aree. Con un proverbio tedesco, la BCE custode della stabilità dei prezzi,  si comporta come la gamba del ciclista, che si piega quando deve rivolgersi ossequiosa verso l’alto quando i prezzi salgono  e schiaccia con forza il pedale quando si rivolge verso il basso e i prezzi viaggiano attorno allo zero con diffuse aspettative di riduzione. Così la BCE sempre ligia della più rigida etichetta quando i prezzi  sono poco sopra il 2%, non teme di schiacciarli  quando vanno giù e viaggiano attorno allo zero. La BCE sembra non curarsi degli effetti devastanti che ha la deflazione sulle posizioni debitorie di stati e di privati. Dimentica che tirare fuori un paese dalla deflazione è molto, molto più arduo che frenare i prezzi che salgono attorno al 3% invece che al 2%. Quando è nato l’euro nessuno credeva che la politica monetaria di Francoforte potesse consegnare l’Europa alla deflazione. Neppure ci si immaginava che la BCE accettasse per anni la propria impotenza addolcita dagli applausi tedeschi.   La riduzione degli spread  a zero cui ancora oggi la BCE potrebbe contribuire non è  un favore ai governi che ne soffrono, ma la condizione per rendere possibile l’operare di una politica monetaria unica che per legge la BCE è chiamata a produrre.

 Ma dobbiamo rassegnarci, prima delle elezioni del 25 maggio le istituzioni europee non intendono sporcarsi le mani ad aiutare i governi che le sostengono  e che ne sono gli azionisti, seppur di minoranza. Ci dobbiamo accontentare dello Schultz di turno che varca le Alpi per sbeffeggiare Grillo, credendo così di aiutare qualcuno, ma ottenendo l’effetto contrario. Certo che se a Strasburgo i leader saranno  gente di questo calibro la BCE avrà buon gioco a presentarsi ogni anno come garante della stabilità monetaria europea anche se fa poco per esserlo.  Se lo fosse realmente non saremmo in deflazione, come anche ogni piccolo tabaccaio sa.

 

 

* Ordinario di Economia internazionale all’Università di Bologna