Istantanea sulla riforma costituzionale (2° parte)
Vi sono, tuttavia, altre ragioni di “scontro”. I critici, infatti, tendono a sottolineare, in vario modo, l’inadeguatezza e la “forzatura” della procedura di riforma: che sarebbe il frutto dell’azione solo politica di un Governo; che sarebbe stata approvata, dunque, in modo non condiviso; che ha veicolato nelle forme dell’articolo 138 della Costituzione un intervento troppo ampio e diffuso, oltre che disomogeneo; che costringe, così, gli italiani ad esprimersi in modo secco su modifiche assai diverse; che non garantisce il risultato sperato in termini di efficienza, poiché, proprio l’approvazione a ranghi ristretti, comporterebbe il pericolo di arresti significativi in fase attuativa. All’opposto, i sostenitori della riforma sottolineano che non vi è stata alcuna anomalia: la Costituzione non esclude che sia il Governo a prendere l’iniziativa; le modifiche sono state votate in Parlamento con numeri che vanno al di là della stretta maggioranza governativa; ad essere contrario alla Costituzione non è un referendum unitario sulla riforma, bensì il suo prospettato “spacchettamento”, che comporterebbe il rischio di dare vita ad un irrazionale vestito d’Arlecchino e che distoglierebbe l’attenzione dei cittadini dal valutare la globalità dell’effetto riformatore; infine, anche il paventato pericolo di inattuazione andrebbe parimenti ridimensionato, perché, se preso sul serio, condurrebbe all’impressione che non si possa mai compiere alcuna riforma se non con un quorum particolarmente elevato (ciò che la lettera dell’art. 138 esclude apertamente).
Come orientarsi, quindi? In proposito si può notare una cosa, che in larga parte dovrebbe tranquillizzare tutti: il referendum costituzionale non ha un quorum strutturale, sicché, come tale, premia sempre coloro che sono più motivati al voto; e non c’è dubbio che, di partenza, la motivazione maggiore sia sempre per il NO, anche in ragione della costitutiva ratio di garanzia di questo tipo di consultazione. Se ciò è vero, allora, è altrettanto vero che la procedura seguita per la riforma, lungi dall’essere stata sostanzialmente stravolta a vantaggio del SI, è stata comunque formalmente seguita, con un effetto, nuovamente sostanziale, che, se nella sede istituzionale ha potuto premiare l’iniziativa del Governo, nella sede referendaria può decisamente premiare l’opzione contraria. Gli italiani, alla fine, si vedono comunque riconosciuto il loro ruolo fondamentale: se non vorranno la riforma, lo potranno dire, come hanno già fatto, d’altra parte, nel 2006.
Rimane, in definitiva, un ultimo profilo, quello forse – dal punto di vista politico – più sottile e insidioso, vale a dire la valutazione dell’effetto combinato della riforma e del (già vigente) nuovo sistema elettorale (il cd. “Italicum”), che promette di consegnare ad una maggioranza molto forte tutto il circuito politico-rappresentativo e, con esso, il contenuto di future e ulteriori riforme, nonché alcune significative procedure di elezione (del Presidente della Repubblica, dei membri del CSM, di tre giudici costituzionali). Questo è tema che non può prendersi sotto gamba, anche se, a ben vedere, si può svolgere almeno un’osservazione, anch’essa relativizzante (almeno parzialmente): proprio la riforma introduce ex novo la possibilità, per le minoranze parlamentari, di portare direttamente all’attenzione della Corte costituzionale la legge elettorale e di farlo, in via transitoria, non solo prima della promulgazione, bensì anche per quella legge che sia stata già approvata in questa stessa legislatura. Se il problema vero della riforma sta qui, il mezzo per risolverlo, paradossalmente, lo fornisce la riforma stessa.
Merita, ad ogni modo, un cenno conclusivo l’argomento, per così dire di cornice, che finora non è stato presentato agli elettori con sufficiente chiarezza e che è bene, tuttavia, che formi oggetto, anche tra i cittadini, di attenta riflessione, soprattutto per soppesare con la dovuta attenzione, e con il corrispondente realismo, la portata effettiva delle modificazioni formali della Costituzione.
Non si può negare, infatti, che dal 1948 ad oggi la nostra Costituzione non sia stata mai alterata in modo così profondo e trasversale; ma non si può negare, allo stesso modo, che, in questo lungo arco di tempo, essa è cambiata più volte anche (se non innanzitutto) dal punto di vista esclusivamente sostanziale. Mutazioni di enorme portata sono “entrate” nel nostro ordinamento senza che vi siano mai state innovazioni formali del testo approvato dall’Assemblea costituente: sono stati affermati e garantiti nuovi (e originariamente impensati) diritti, ad esempio; ma è stato anche riconosciuto e promosso il diritto dell’Unione europea, e il giudice costituzionale ha sviluppato tecniche decisorie – con connessi bilanciamenti – difficilmente sospettabili nel 1956, eppure foriere di stimoli sempre positivi, per la società civile, per quella politica come per le istituzioni.
Possiamo andare al voto, dunque, senza provare la paura di entrare in una cristalleria. La Costituzione italiana è viva, e lo sarà ancora a lungo, specialmente se ci ricordiamo che il suo “perno” fondamentale sta nei principi che, come l’hanno ispirata, hanno già saputo evolverla concretamente fino ai giorni nostri, rendendocela sempre più vicina.
* Professore Ordinario di Diritto Amministrativo presso l’Università di Trento.
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