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In un mondo che cambia

Paolo Pombeni - 23.06.2015
Rottamazione politica

Il nervosismo della politica italiana non va sottovalutato. Innanzitutto perché in politica il nervosismo è un pessimo consigliere. In secondo luogo perché esso è la spia più efficace di una situazione che non si riesce a dominare.

In effetti i segnali se non di un cambiamento epocale, di una fase nuova della politica italiana si moltiplicano. Per esempio non abbiamo visto prestare la dovuta attenzione al fatto che la destra italiana abbia attaccato direttamente i vertici della Chiesa Cattolica. Non solo Salvini, fedele alla truculenta immagine del suo personaggio, ha attaccato il pontefice, ma un personaggio che aveva fama di “dialogante” come il governatore della Liguria Toti ha attaccato il presidente della CEI. Per carità, alla vecchia immagine della destra come “Dio e patria” si è rinunciato da tempo, visto che la patria non si sa più bene cosa sia e che quanto a Dio vale quel che era cantato in una vecchia canzone dei Gufi (quelli del cabaret, non quelli di Renzi), “tutti andiamo in chiesa a pregare Dio /ma tu ti preghi il tuo ed io mi prego il mio”.

Detto questo, vedere però la caduta di un vecchio tabù per cui i partiti di destra facevano mostra di presentarsi come i difensori della cristianità qualche riflessione deve suggerirla. Siamo di fatto in presenza non del tentativo di ricostruire il rassemblement dei “moderati” come in fondo aveva fatto, per decenni con successo, il Berlusconi dei vecchi tempi, ma della nascita di una nuova destra fondata sulla proposta che sia possibile resistere in maniera radicale al cambiamento dei tempi che ci troviamo di fronte.

La chiesa cattolica, dopo la messa fra parentesi del sogno del cardinal Ruini di mettersi alla testa di questa crociata, sta cercando di entrare, verrebbe da dire “gesuiticamente” (nello spirito di Sant’Ignazio, non nel significato corrente di questo termine), in una nuova prospettiva, cioè cooperare al passaggio storico attuale. Naturalmente entrano in campo qui le risposte da dare a questi sommovimenti, fra cui per esempio c’è un rinnovato spirito di dialogo fra le confessioni cristiane consapevoli della crisi che le coinvolge tutte e altrettanto coscienti della sfida che viene sia dagli estremismi fanatici di certo Islam sia da un sentimento politico secolarizzato che corre a promuovere riformulazioni radicali del contesto storico-giuridico occidentale.

A fronte di questo cambiamento, che va ben oltre i nostri confini,  il governo guidato da Renzi comincia ad affrontare una situazione sempre più difficile. Il fatto fondamentale, a nostro avviso, è che in questo momento Renzi dovrebbe cambiare il suo messaggio, a cominciare, come si usa dire, dalla sua “narrativa”.

In una prima fase infatti poteva bastare il discorso che puntava ad assicurare che si sarebbe realizzata quella “rottamazione” di una classe dirigente, alla cui mancanza si era per decenni attribuita la responsabilità del mancato “progresso” della situazione italiana. Ovviamente quella rottamazione era solo un pezzo del problema, perché le difficoltà erano ben più ampie e profonde. Un complesso di situazioni concorrenti ha messo a nudo quanto ciò fosse vero: la corruzione perversa del sistema politico-amministrativo, l’esplodere della tragedia dell’immigrazione di massa, la debolezza del sogno europeo, una crisi economica che non si risolve in tempi ragionevolmente contenuti, il rinascere del conflitto est-ovest con tutte le instabilità internazionali connesse, hanno creato nell’opinione pubblica un sentimento di sgomento di fronte al futuro.

Che tutto questo generi fughe di vario tipo nell’utopia, è semplicemente un classico nella storia della politica. Lo è altrettanto il pericolo che queste utopie finiscano per prendere il sopravvento nella formazione dello “spirito pubblico” con evidenti implicazioni a livello della distribuzione del consenso elettorale, cioè di un passaggio che è essenziale in tutti i regimi democratici.

Renzi e il suo governo a questo punto devono necessariamente ripensare il loro approccio. Confidare, come sembra siano tentati di fare, sul fatto che in queste condizioni non c’è una maggioranza politica che voglia andare rapidamente al voto costituisce una pericolosa sottovalutazione del contesto. Innanzitutto perché, comunque sia, nella primavera 2016 ci sarà l’ennesimo test di importanti elezioni amministrative, cioè di un tipo di prove in cui il controllo dell’opinione pubblica sfugge più facilmente di mano. Una nuova impennata di consensi alle ali estreme dello schieramento metterebbe ulteriormente in difficoltà non solo il governo in carica, ma il sistema-Italia nel suo complesso.

Lo sbandamento del tradizionale blocco sociale della sinistra politica,  attirato anch’esso a confluire, sia pure su sponde opposte, su proposte di soluzioni utopiche alle difficoltà del cambiamento presente, non aiuta certo il governo attuale. Per tenere sotto controllo la situazione ci sarebbe bisogno di una forza di formazione dell’opinione pubblica: di un “partito” nel senso pieno e non burocratico del termine.

Purtroppo è esattamente quello che manca.