Strumento di pace? Il Vaticano tra Cuba e Colombia

Appena eletto, papa Francesco salutò la scelta dei “suoi fratelli cardinali” esclamando quasi con stupore che per trovare un vescovo di Roma essi fossero andati “quasi alla fine del Mondo”. In poche parole Bergoglio anticipò due linee caratteristiche del proprio pontificato: uno stile di comunicazione improntato a un linguaggio familiare e il riferimento alle proprie origini, che non sono solo argentine ma latinoamericane.
Oggi vediamo che i confini del Mondo si avvicinano, si ridisegnano, come ci insegna anche l’esempio di una delle terre figuratamente più lontane dal Vaticano: la Repubblica di Cuba. Certo, la strada che può collegare Roma e L’Avana fu aperta dalla visita di Fidel Castro in Vaticano nel 1996, disegnata dallo storico incontro del gennaio 1998 tra Giovanni Paolo II e lo stesso Fidel nella capitale cubana e consolidata dal viaggio di Benedetto XVI del 2012. Oggi quella strada sta continuando a procedere, lo dimostrano i fatti. Nel 1998, dopo la visita di Wojtyla Fidel Castro autorizzò le processioni fuori dalle chiese e attribuì ai vescovi nuovi spazi nella radio e nella televisione per la trasmissione di messaggi ai fedeli in occasione delle celebrazioni cattoliche. Nel 2012, dopo la visita di Ratzinger Raúl Castro riconsegnò alla Chiesa alcuni immobili nazionalizzati al tempo della rivoluzione, garantendole una maggiore occupazione dei luoghi sociali e avviando un processo di restituzione che continua ancora oggi. Pare così che anche le nuove aperture verso il Vaticano siano parte integrante della ridefinizione della politica cubana attuata dallo stesso Raúl. In occasione delle festività della Pasqua appena trascorsa la televisione nazionale ha trasmesso per la prima volta (non in diretta) la Via Crucis celebrata nella cattedrale di L’Avana. Di recente poi ha visitato Cuba Adolfo Nicolás, il generale dei gesuiti (l’ordine di Bergoglio) presente sull’isola dal 2 al 4 maggio per le celebrazioni del bicentenario della restaurazione della Compagnia di Gesù. Il suo predecessore Peter- Hans Kolvenbach vi era stato una settimana nel 2007. Nello scorso gennaio due personalità vaticane si sono recate a Cuba, il cardinale spagnolo Antonio Cañizares (quale delegato di papa Francesco) e l’arcivescovo Jean-Louis Brugues, responsabile della Biblioteca Apostolica e dell’Archivio Segreto Vaticano. Sono tutte testimonianze concrete di un processo di ricostruzione, meglio di consolidamento, dei rapporti tra Vaticano e Cuba nel quale papa Francesco sta procedendo sulla linea tracciata dai suoi predecessori.
Pare di poter dire però che vi sia un nuovo elemento da aggiungere, che nella Repubblica cubana trova un suggestivo simbolo. A L’Avana si stanno svolgendo, con ovvie difficoltà, i negoziati tra i rappresentanti del governo colombiano e quelli dei guerriglieri delle Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia - Ejército del Pueblo). Rodrigo Granda, il portavoce delle Farc nelle trattative, ha pubblicamente ringraziato papa Francesco che incontrando il Ministro degli Esteri colombiano Maria Angela Holguin ha formulato un caldo invito a perseverare nel processo di ricerca della pace nel paese. Granda è andato oltre, cercando quasi di rassicurare il papa sulla buona volontà di entrambe le parti. Il ruolo della Chiesa nelle trattative in corso nella capitale cubana non è ufficiale, ma non è affatto un segreto che il clero colombiano sia tra i protagonisti dell’avvio del processo di pacificazione, la cui prosecuzione viene puntualmente caldeggiata dai vertici ecclesiastici nazionali. Non solo, di fronte alle sanguinose guerre tra bande in atto a Medellin, l’arcivescovo Ricardo Tobón Restrepo ha pubblicamente offerto la mediazione della Chiesa. Non sono solo le parole di Bergoglio dunque, ma è la presenza stessa della Chiesa in America Latina a caratterizzarsi sempre più come quella di un fondamentale punto di riferimento delle trattative e della mediazione. Sta succedendo nel tormentato Venezuela, dove tra l’altro è ormai pressoché certo il coinvolgimento in prima persona di Pietro Parolin, segretario pontificio, neo-cardinale ed ex-nunzio proprio in Venezuela. Sta succedendo anche in paesi che spesso rimangono ai margini dell’informazione italiana come Guatemala, Haiti, Nicaragua, Repubblica Dominicana ed El Salvador. Non è un caso che in molti di questi stati si rincorrano le voci di un prossimo viaggio di Francesco, spesso non certo inventate ad arte ma alimentate dalle dichiarazioni di diversi nunzi pontifici.
È presumibile, qualcuno potrebbe dire auspicabile, che i futuri sviluppi del pontificato Bergoglio mostrino un ribaltamento geografico, un nuovo inizio che parte dalla fine del Mondo.
* Ricercatore presso Fondazione Bruno Kessler – Istituto Storico Italo-Germanico
di Paolo Pombeni
di Claudio Ferlan *
di Furio Ferraresi *