Ultimo Aggiornamento:
27 marzo 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

Il primo turno delle elezioni amministrative (1° parte)

Luca Tentoni - 17.06.2017
Scrutini comunali 2017

L'analisi dei risultati del primo turno delle elezioni amministrative del giugno 2017 non può che iniziare dal ruolo svolto dall'astensionismo. Il “non voto” non sembra essere aumentato il modo uniforme: questa scelta è stata più condivisa dagli elettori del M5S, per esempio, seguiti da quelli di centrosinistra. Il centrodestra, nel suo complesso, è riuscito invece, nei 64 comuni (25 capoluoghi e 39 non capoluoghi) oggetto del nostro studio, a mantenere un numero di voti quasi in linea con le precedenti consultazioni (673mila nel 2017, 617mila alle regionali, 517mila alle europee, 796mila alle politiche, 712mila alle comunali 2012-'14): nello specifico, però, si registra il calo di Forza Italia. In quanto ai Cinquestelle, il dato del 2017 è superiore a quello delle precedenti comunali (223mila contro 169mila): allora, però, non erano presenti in tutti i centri. Nei capoluoghi "bianchi" del Nord, inoltre, il M5S scende dai 43mila voti delle scorse comunali a 36mila. Altri raffronti (nei 64 comuni) sono molto più indicativi della forte differenza di consenso ai Cinquestelle rispetto alle scorse consultazioni: -121mila voti sulle regionali, -270mila sulle europee, -565mila sulle politiche. Anche il centrosinistra allargato, modello "Unione" (dal Pd fino alla sinistra radicale compresa), ha un saldo negativo con le politiche 2013 (-18mila voti), con le europee (-129mila) e con le scorse amministrative (-68mila). L'astensione, nel complesso dei comuni italiani dove si è votato l'11 giugno 2017, è stata pari al 39,93% (precedente: 33,15%) con un aumento del 6,78%. Nei 64 comuni della nostra indagine il non voto era già più elevato rispetto al dato globale (+2,7% alle politiche, +5,1% alle europee) e lo è anche stavolta: l'astensione è stata pari al 42,7%, in aumento del 7,5% rispetto alle precedenti comunali. Influisce, su questo risultato, il "peso" di Genova, dove non a caso il candidato del M5S ha avuto meno consensi del previsto. In generale, esaminando tutte le possibili stratificazioni territoriali, abbiamo risultati univoci. Dividendo i 64 comuni fra Nord, Centro e Sud, notiamo che nel Settentrione il non voto è stato molto alto (46,2%: +7,9% rispetto alle comunali precedenti); nelle regioni centrali si è invece mantenuto poco oltre quota 40% (40,9%, meno che alle europee - 45,4% - ma il 4,2% in più sulle amministrative 2012-'14); nel Mezzogiorno, infine, ci si è attestati sul 42,2%, in deciso calo rispetto a regionali (54,3%) ed europee (58%) ma in aumento rispetto alle comunali precedenti (+7,8% sul 34,4% del 2012-'14). Questa volta - con riguardo ai capoluoghi - la "zona rossa" del Centronord fa segnare un astensionismo vicino al 50% (48,9%, +6,6% rispetto alle amministrative 2012), contro il 43,8% del "Nord bianco" (+8,6%) e il 41,1% del "Mezzogiorno allargato" (+7,4%). In altre parole, l'area geografica che alle elezioni di livello nazionale si caratterizza per la minore propensione al voto (il Centrosud) stavolta è stata quella che ha fatto segnare una maggiore partecipazione elettorale relativa. Esaminando le correlazioni fra scarti di voti fra le due consultazioni analoghe (comunali 2017-comunali 2012-'14) si nota che il risultato del M5S è negativamente correlato col voto alla Lega, alle Civiche e all'astensione (in altre parole, dove i Cinquestelle vanno peggio, il Carroccio, le liste locali e il non voto ottengono migliori risultati); i "concorrenti" del Pd sono invece Lega, centristi e civiche; Forza Italia, infine, soffre la concorrenza degli alleati di destra e dei gruppi di centro. Queste elezioni, oltre ad essere contrassegnate da un forte astensionismo, sono state caratterizzate (per certi versi "stravolte") dalla proliferazione di liste locali, alcune delle quali riconducibili ai partiti nazionali (non tutte di facile classificazione, peraltro) ma anche - per lo più, si potrebbe aggiungere - ispirate da istanze e leadership territoriali e/o "trasversali". Questa offerta politica "diversa" ha attratto gli elettori che non riuscivano ad identificarsi nei candidati dei poli della Seconda Repubblica (centrodestra e centrosinistra) e che ritenevano forse poco competitivo il rappresentante del M5S. Si è dunque creato uno spazio politico per un consistente "voto in libera uscita" (nei 64 comuni, l'11% dei voti è andato a liste "altre", contro il 5,5% delle scorse comunali). I candidati sindaci delle "civiche" si sono caratterizzati per un rendimento generalmente migliore sia in confronto alle proprie liste di sostegno, sia in rapporto agli altri aspiranti sindaci in lizza. Esaminando 22 dei 25 capoluoghi dove si è votato (isole escluse, dunque) si osserva che il 49,4% delle schede con la sola indicazione del sindaco (non della lista) è andato ai "civici" e ai candidati delle liste minori; alle precedenti amministrative la quota era stata del 27,9%. In quella occasione, però, il rendimento dei candidati sindaci dei partiti e degli schieramenti nazionali era stato più marcato. Con alcune differenze: normalmente gli aspiranti sindaci di centrosinistra ottenevano una percentuale maggiore di voti rispetto a quella delle liste collegate, mentre nel centrodestra era la coalizione ad essere spesso "zavorrata" dal candidato. Alle comunali 2017, invece, il rendimento dei candidati sindaci di centrodestra è nettamente migliorato, a fronte di un peggioramento altrettanto marcato di quelli di centrosinistra. In generale, però, queste elezioni comunali hanno segnato un ulteriore ridimensionamento del peso del voto ai soli candidati sindaci. La scelta della persona e non della lista, un tempo molto più diffusa al Centronord che nel Mezzogiorno e nelle Isole, va ora diminuendo un po' dappertutto. Alle comunali del 2012-'14 nei capoluoghi di provincia, nel Nord "bianco" i voti al solo sindaco rappresentavano il 10,37% di quelli espressi; nella "zona rossa" del Centronord erano il 12,82%; al Sud erano solo il 4,75% (media di 22 capoluoghi: 9,91%). Nel 2017, invece, la media dei voti al solo candidato sindaco è scesa al 5,78%, con un andamento tendente ad omogeneizzare le diverse aree geografiche: così, nel Nord "bianco" si è passati al 6,79% (-3,58%), nella "zona rossa" al 5,7% (-7,12%) ma nel "Mezzogiorno allargato" al 4,21% (solo -0,54%). La proliferazione delle liste può aver incentivato il rifiuto di votare solo per una persona; inoltre, la quota del 4% sembra uno "zoccolo duro" fisiologico che difficilmente sarà intaccato in futuro.