Il peso delle regionali sul referendum
Il 20 e il 21 settembre, l'esito del referendum costituzionale potrebbe essere deciso nelle sette regioni nelle quali si rinnovano i Consigli regionali: lo scopo dell'election day, infatti, è quello di mobilitare gli elettori, che in questo caso (dove si vota per le amministrative) andranno alle urne anche indipendentemente dal quesito sulla riforma che "taglia i seggi" di Camera e Senato. Strutturalmente, le regioni Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania, Puglia, Val d'Aosta rappresentano il 36% dell'intero elettorato italiano, quindi pesano poco più di un terzo del totale. Ma stavolta, se l'affluenza alle regionali fosse intorno al 52-55% come la scorsa volta e alle europee (pur senza salire al 73% delle politiche) i votanti sicuri per il referendum (cioè coloro i quali riceverebbero la scheda, oltre a quella per le amministrative) sarebbero fra i 9 e i 10 milioni, pari ad un'affluenza totale già acquisita fra il 18 e il 19% (solo Italia: 20-21%). Nelle altre regioni e all'estero voterebbero 33 milioni di aventi diritto: se l'affluenza nelle zone dove si va al voto per le sole comunali o (nella gran parte d'Italia) solo per il referendum fosse del 10 o del 15% (cioè bassissima), il dato totale nazionale si attesterebbe fra il 27-28% e il 31-32%. In sintesi, persino di fronte ad un fiasco nelle zone "solo referendarie" il quesito riuscirebbe ad essere votato dal 30% circa degli aventi diritto totali, grazie al traino regionale. Se poi l'affluenza in queste tredici regioni fosse almeno del 25%, si arriverebbe ad un totale di 8 milioni più i 9,5-10 dalle sei regioni ordinarie dove si rinnovano i Consigli: totale, 17-18 milioni sui 47 nazionali (38-39%). In ogni caso, la differenza fra la percentuale che probabilmente si registrerà alle amministrative (50-65%) e quella del referendum (che potrebbe non superare al massimo il 30-35% nelle zone dove non ci sono altre schede da compilare) farà in modo che il peso dei "sì" e dei "no" di Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania, Puglia, Val d'Aosta non sarà pari al 36% di quello complessivo, ma potrebbe salire e superare il 50-60%. In sintesi, potrebbe essere in queste regioni che si deciderebbe il futuro della riforma costituzionale. I promotori - il M5s - sono però accreditati di percentuali di consenso di lista non esaltanti (sotto il 15%, in alcuni casi anche di molto), quindi, poiché le liste di centrodestra sembrano (al di là dei risultati degli aspiranti presidenti di centrosinistra) essere favorite in almeno tre o quattro regioni su sei, potrebbero essere Lega e Fratelli d'Italia a mettere sulla bilancia il peso decisivo dei voti necessari o sufficienti per far vincere il "sì". Soprattutto in Veneto, dove la Lega di Salvini e la lista Zaia possono "fare il vuoto", la battaglia fra il "sì" e il "no" sarà decisa dagli umori della base leghista. E qui le opzioni sono tre: seguire la linea del partito ("sì" di schieramento), quella dell'istinto populista ("sì" per convinzione e per spirito anticasta) oppure dire un "no" contro i Cinquestelle, il governo e la riforma (voto "anti Conte-Di Maio"). In altre parole, l'election day potrebbe restituirci un risultato referendario diverso (probabilmente nelle proporzioni, non nell'esito) di quello che avremmo avuto se la consultazione sulla riforma costituzionale si fosse svolta da sola in un'altra data.
di Luca Tentoni
di Francesco Provinciali *