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Il PD va a sinistra?

Paolo Pombeni - 20.11.2019
Kermesse del PD a Bologna

Sembra che il risultato della kermesse di Bologna sia stato uno spostamento a sinistra dell’asse identitario del PD. In verità l’impressione è che si tratti più di slogan che di riflessioni, anche se ci sono stati tre giorni di dibattiti e di tavoli di lavoro, di cui però sulla stampa e più in generale sui media è arrivato molto poco, al massimo qualche citazione degli interventi dei big o presunti tali. Perciò si parla di una accentuazione della collocazione a sinistra, perché così suonano gli slogan, specie alcuni, e perché così sostengono i giornali. Cosa poi voglia dire si vedrà.

Chi studia storia non può fare a meno di rilevare che lo spostarsi dei partiti di sinistra più a sinistra quando sono in difficoltà è una specie di riflesso di Pavlov. Basterebbe rileggersi la storia del Labour Party in Gran Bretagna per rendersene conto, ma anche per constatare che così facendo quel partito non ristabiliva le proprie sorti. Anzi ritornava al potere quando c’erano personaggi come Wilson o Blair che lo riportavano verso posizioni centriste. L’attuale esperienza di Corbyn è per esempio emblematica: almeno a stare ai sondaggi nonostante abbia di fronte un avversario assai poco attraente come Boris Johnson è circa 14 punti dietro il leader conservatore e il suo partito è stimato fra il 21 e il 24%.

C’è dunque da chiedersi se davvero convenga a Zingaretti avventurarsi su questa retorica sinistrorsa, visto anche che personalmente non è che abbia le caratteristiche dell’infiamma-popolo. Eppure la necessità di riguadagnare una identità sembra spingere in quella direzione. C’entra senza dubbio la paura della guerriglia che Renzi sta muovendo al suo ex partito. Sarebbe però da chiedersi quante frecce abbia realmente al suo arco il senatore di Rignano. Il suo grado di appeal sul cosiddetto moderatismo italiano ci pare discutibile: di solito i leader aggressivi e un po’ bulli non esercitano grandi attrattive su chi vorrebbe una politica realizzatrice e prudente. Di tutto si può dire di Renzi tranne che presenti progetti pieni di cautela e visioni equilibrate del futuro.

Dunque il PD non avrebbe nulla da temere in termini concorrenza sul terreno del riformismo, ammesso naturalmente che anche la sua nuova dirigenza volesse mantenersi su quel terreno. L’impressione è invece che ci si sia fatti prendere nella rete di Salvini, come a suo tempo si cadde ingenuamente nella rete di Berlusconi: accettare che ormai la politica sia uno scontro bipolare. Berlusconi lo presentava come un confronto fra moderati (lui) e “comunisti”. Salvini fra una destra “popolare” e una sinistra che vive nei quartieri alti. Il fatto è che comunque di un rapporto dicotomico si tratterebbe e il PD accetta questa immagine della realtà e si adegua a fare la parte che gli ha assegnato il suo avversario, cioè quella della sinistra-sinistra.

È una prospettiva saggia? Ne dubitiamo, perché mette il partito una volta di più nelle mani di presunti “intellettuali”, cioè lo ricaccia nelle peggiori paludi della sua tradizione passata. Come dovrebbe avergli insegnato la vicenda stessa del suo alleato a Cinque Stelle, il radicalismo va bene quando si è una piccola forza di opposizione, non quando si deve governare.

Una chiara esposizione di questo è stato il pasticcio creato da Zingaretti mescolando ius culturae e ius soli. Si tratta del problema del riconoscimento della cittadinanza ai piccoli e giovani immigrati. Che il problema della loro integrazione sia rilevante dovrebbe essere ovvio, così come il fatto che una prospettiva di inclusione mediante la cittadinanza sia un fatto di civiltà. Tuttavia un conto è riconoscere che chi fa un certo percorso (sostanzialmente scolastico) di apprendimento della nostra cultura (lingua, storia, conoscenza delle istituzioni, ecc.) augurabilmente viene inserito nella nostra convivenza civile e dunque diventa cittadino, un’altra è stabilire che la semplice nascita su un determinato territorio inserisca un soggetto in quella comunità culturale. Mentre sul primo punto si può con successo condurre un’opera di convincimento largo, sul secondo ci si scontra contro l’esperienza della scarsa volontà di integrazione che è presente in non pochi soggetti che arrivano nel nostro territorio da realtà culturalmente molto lontane.

In un momento già piuttosto complicato della nostra convivenza culturale ha senso offrire alle tensioni che attraversano il paese un tema ostico come lo ius soli? Un riformismo responsabile avrebbe preferito concentrarsi sul solo obiettivo dello ius culturae, raggiungibile, anziché lasciarsi andare all’altro offrendo così un assist a Salvini e al centrodestra.

Naturalmente il discorso potrebbe ampliarsi a tanti altri temi. Il paese in questo momento non ha bisogno di fughe in avanti (e poi questo sinistrismo più che una fuga in avanti è una fuga dalla realtà). Già evitandole il PD avrebbe potuto riaffermare la sua “diversità” e sfidare le ricette demagogiche che continuamente propongono tanto i Cinque Stelle, quanto Salvini e i suoi alleati (ma questi ultimi ogni tanto sono anche capaci di strizzare l’occhio e di lasciar intendere che poi sul terreno concreto sono capaci di maggiore realismo).

Proprio perché l’esperienza del governo giallorosso è in forse e ci si chiede ormai quando scoppieranno le sue contraddizioni, il PD avrebbe tutto l’interesse a prepararsi in modo diverso a quell’appuntamento. Tirando fuori dall’armadio i vecchi armamentari del sinistrismo non andrà oltre il ricompattamento di una minoranza, magari robusta, ma sempre minoranza.