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27 marzo 2024
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House of Cards e Luigi XIV: la politica europea dopo il vertice di Bratislava

Omar Bellicini * - 05.10.2016
Frank J Underwood e Luigi XIV

Frank J. Underwood, indimenticato protagonista della serie americana House od Cards, all'inizio della prima stagione lo spiega con ammirevole chiarezza: l'importanza acquisita si misura in base alla vicinanza (fisica) col cuore del potere. In Europa, il potere ha da qualche tempo un nome più ricorrente di altri: Germania. Dev'essere dunque in base a questo elementare principio politico che l'Italia di Matteo Renzi, dopo la rottura al vertice di Bratislava con l'asse franco-tedesco (o quel che ne rimane), non si è vista recapitare l'invito per l'incontro del 28 settembre tra François Hollande, Angela Merkel e Jean-Claude Juncker. Una risposta, o per meglio dire un messaggio per buoni intenditori, che dice molto dei guai in cui versa l'Unione, evidentemente incapace di muoversi oltre una navigazione di piccolo cabotaggio. Lo schema è più o meno il seguente: chi non si allinea agli orientamenti di Berlino viene posto ai margini. Chi li accoglie ha il privilegio di accomodarsi, almeno in apparenza, alla tavola del potere continentale: un onore che può essere speso a uso interno, comunicando ai propri elettori la "nuova rilevanza" assunta in sede comunitaria. Perché a questo si è ridotta l'Unione: a una recita, funzionale agli interessi nazionali. O, a voler essere precisi, agli interessi dei leader nazionali (e non è proprio la stessa cosa). Il governo italiano, del resto, ha poco di cui lamentarsi: meno di qualche settimana fa beneficiava, senza troppe remore, dello stesso meccanismo. In quella fase, nessuno ha udito proteste levarsi da Palazzo Chigi, nonostante la direzione impressa agli organi europei dalla “linea del Nord” fosse la medesima. La svolta è arrivata il 16 settembre, con l’inatteso affondo del presidente del Consiglio: "La Germania non rispetta le regole sul surplus commerciale. Senza politiche su economia e immigrazione, l'Europa rischia molto e la soluzione individuata al vertice di Malta è rimasta lettera morta. Non si può pensare che risolto il problema della Turchia si sia risolto il problema complessivo. Sui migranti vogliamo vedere i fatti. Noi abbiamo bisogno di tornare a crescere come Paese, ma è l'Europa che deve tornare a crescere, abbandonando la politica dell’austerity". Una critica improvvisa e onnicomprensiva. Che c’entri la ricerca del consenso interno, in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre? I malpensanti sostengono di sì. Ma anche senza cedimenti al retroscenismo e alle congetture del caso si può ben dire che il voltafaccia non cambi i termini della questione: la cartina di Ventotene, che aveva consacrato il profilo internazionale di Renzi, si è rivelata distante dai sogni di eguaglianza tra i popoli di Spinelli, Rossi e Colorni. Aveva più a che fare, a ragion veduta, con lo spirito cortigiano della Francia di Luigi XIV: un unico centro, qualche piccolo satellite, felice di rinunciare alle proprie prerogative in cambio di visibilità e considerazione altrui. Al netto, naturalmente, di saltuarie rotture e timide fronde. Non è l'Europa sognata dai padri. Non è l'Europa di cui avremmo bisogno. Certo, si potrebbe dire che l’attuale situazione non sia poi così male, a fronte dei successi economici di Berlino (per la verità, favoriti molto tempo addietro dal diverso approccio del cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder). La scarsa lungimiranza della classe dirigente dell’Europa meridionale, che continua a promuovere lo Stato come ammortizzatore sociale, dalle assunzioni nel settore pubblico alle pensioni precoci, porta alcuni osservatori a ritenere che la medicina tedesca, per quanto amara, non sia il peggiore dei mali. D’altronde, è naturale che il sistema economicamente più forte goda di un’influenza maggiore. Ma l’influenza non deve trasformarsi in una facoltà di direzione formalizzata, come la consuetudine degli incontri bilaterali (o trilaterali) può suggerire. L’Europa è nata plurale e può sopravvivere solo nel pluralismo. Non è un’enunciazione di puro principio: il presupposto dell’argomentazione filo-tedesca non convincere. A chi sostiene che l'eterodirezione sia l'unica soluzione auspicabile, per via delle manchevolezze italiane, greche o portoghesi, non si può opporre una diagnosi alternativa: le scelte del Sud-Europa sono effettivamente mediocri. Ma va contestata la conclusione che se ne trae: chi dice, infatti, che le decisioni assunte dalla Germania vadano a maggior vantaggio di tutti i membri dell’Unione? Gli interessi nazionali tedeschi non sono necessariamente quelli del Continente, soprattutto se manca un orizzonte europeo di riferimento. Per questo la salvaguardia dell'esistente sarebbe una tragedia, al pari di un ritorno al passato contrario all’orientamento della globalizzazione. Bisognerebbe andare avanti, costruendo un'Europa diversa, unita su nuove basi. Sembra fantapolitico e forse lo è, ma la Storia insegna una cosa: le utopie di oggi sono le realtà di domani.

 

 

 

 

* Praticante giornalista, ha collaborato con le testate Unimondo.org, con il mensile "Minerva" e con il canale all-news Tgcom24.