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Grammatica istituzionale?

Paolo Pombeni - 26.06.2014
Renzi in Senato

Non è facile raccapezzarsi nei dibattiti in corso sulle riforme istituzionali,  perché sembra che ormai si siano dimenticati i termini di una grammatica costituzionale senza la conoscenza dei quali si discute a vanvera. Il fatto che a farlo siano autorevoli “opinion maker” è solo un aggravante della faccenda.

Ci togliamo lo sfizio di fare un esempio: la querelle surreale sulla “immunità” da assegnare o meno ai nuovi senatori. La prima banale osservazione da fare è che “immunità parlamentare” non significa affatto “impunità” dei membri delle Camere per reati che abbiano commesso. Significa più semplicemente che per procedere penalmente contro un parlamentare ci vuole una “verifica” che l’atto di accusa non sia un espediente strumentale per raggiungere il fine politico di metterlo in condizione di non esercitare con libertà il suo mandato.

Si può escludere che possa esistere un uso strumentale dell’atto di accusa da parte di un magistrato? Ovviamente no, anche se è da augurarsi che si tratti di eventi eccezionali. Di attacchi infondati alle istituzioni ne abbiamo già visti: citeremo come esempio il caso famoso della decapitazione dei vertici della Banca d’Italia da parte del giudice Alibrandi e del PM Infelisi nel 1981, risoltasi poi in una bolla di sapone. Se c’è dunque una possibilità di abuso di un potere verso un altro potere, essa va presa in considerazione e vanno predisposti rimedi adeguati.

La questione se si tratti di corpi con membri “eletti dal popolo” (come nel caso della Camera o del Senato attuali) oppure no è ovviamente irrilevante. Infatti la questione è se una certa “funzione” vada tutelata nella sua indipendenza oppure no, non se questo sia il privilegio da assegnare al singolo che la rappresenta. Per capire quanto il principio sia importante e radicato facciamo riferimento alla tutela, prevista in costituzione, di cui gode la Magistratura: cioè facciamo riferimento ad un sacro tabù caro a molti dei predicatori mediatici che si scatenano sulla questione dell’immunità.

Giustamente la costituzione ha sottratto il “funzionario-magistrato” dal controllo del governo da cui come funzionario sino a quel momento dipendeva, per evitare che un potere dello  Stato (quello esecutivo) potesse abusivamente condizionarne un altro(quello giudiziario). Anche qui, almeno sulla Carta, i comportamenti dei magistrati non sono stati giudicati insindacabili in assoluto, ma invece se ne è affidata la sindacabilità ad un organo speciale, il Consiglio Superiore della Magistratura, composto sia da membri “togati” (cioè espressi dai magistrati: 2/3) sia da membri “laici” (cioè indicati dal Parlamento 1/3). Questo a garanzia del fatto che la indipendenza della magistratura non possa essere limitata dall’azione di altri poteri su di essa.

Perché qualcosa di simile non dovrebbe essere previsto per i membri delle Camere? Certo in passato l’istituto dell’immunità parlamentare, che esiste in moltissimi sistemi costituzionali, è stato interpretato in Italia in maniera inaccettabile: si dice vi siano stati parlamentari che non pagavano le multe con la scusa dell’immunità. Ovvio che simili distorsioni vadano duramente perseguite e rese impossibili. Trattandosi qui di un autentico “privilegio”, nel caso vi sia da parte di qualcuno un suo uso improprio, esso andrebbe perseguito severamente in quanto tale. Altrettanto per  certi reati come corruzione, falso, abuso d’ufficio, ecc. la presenza in chi li commette della qualità di membro del parlamento dovrebbe essere considerata una aggravante sanzionata.

Detto questo, la previsione di una tutela particolare rispetto ad abusi che un parlamentare potrebbe subire da parte del potere giudiziario non dovrebbe suscitare alcuno scandalo. Si può discutere se questa tutela possa essere oggi rappresentata efficacemente dalla autorizzazione a procedere delle commissioni parlamentari, organi inevitabilmente politici la cui natura di “super partes” è di suo dubitabile. Potrebbero esserci altre strade più legittimanti e rapide: per esempio l’obbligo per la magistratura di sottoporre le richieste preventive oggi previste ad un comitato ad hoc di “laici”, poco numeroso, e in grado di pronunciarsi rapidamente (la soluzione di investire del compito al Corte Costituzionale non è convincente perché si tratta di un organo che altri compiti e altra ragion d’essere).

Inoltre, ma questo in gran parte è già nell’attuale disciplina dell’immunità, essa va circoscritta, escludendo per esempio tutte quelle fattispecie di reati minori in cui l’avvio dell’azione giudiziaria non ha rilievo sull’esplicazione della attività politica.

Concludiamo tornando al tema della differenza fra membri eletti “dal popolo” e membri designati da una elezione di secondo grado. A prescindere dal fatto che la tutela non va alla persona, ma all’indipendenza da garantire al ruolo svolto (come nel caso dei magistrati, che non sono “eletti” da nessuno), anche l’elezione di secondo grado ha una legittimazione “popolare”. Se lo si nega, se ne dovrebbe dedurre che il Presidente della Repubblica, che è pur sempre un eletto di secondo grado, sarebbe da considerare in posizione subordinata rispetto a chi emerge dalle urne nelle votazioni nazionali. In secondo luogo il nuovo Senato, con membri meno tutelati nella loro libertà di formazione della volontà politica, sarebbe davvero un organo di sere B, con delegittimazione preventiva dei suoi poteri di intervento.

Insomma: un po’ di conoscenza della sana grammatica delle istituzioni servirebbe ad affrontare problemi anziché perdere tempo a sbandierare proclami.