Governare è decidere e scegliere
Che la scrittura della legge di bilancio sia un passaggio complicato lo sanno tutti: è sempre stato così da metà Ottocento ad oggi e non solo in Italia, ma ovunque si sia avuto un sistema di libera concorrenza fra partiti. Quando poi ci sono governi di coalizione, i problemi sono anche più complicati. Quel che stupisce dunque di questa fase della nostra politica non sono le difficoltà di trovare una sintesi fra le richieste dei quattro partiti al governo, ma piuttosto che non si siano prese da subito misure per contenere le tensioni.
In fondo la coalizione gialloverde era stata più furba, premurandosi di mettere a base del suo accordo un simulacro di “contratto” in cui ciascun contraente si garantiva che l’altro lo avrebbe supportato nel raggiungere certi obiettivi (poi non ha funzionato tanto, ma questa è un’altra storia). È vero che per arrivare a quella conclusione allora c’era stato più tempo, mentre la crisi di agosto ha costretto i partiti a chiudere in fretta senza predisporre alcun programma comune degno di questo nome. Tuttavia adesso i nodi del mancato accordo di quadro stanno venendo al pettine.
Ogni componente ha due problemi da risolvere: farsi vedere il più possibile (perché ci sono un bel po’ di scadenze elettorali in vista) e intestarsi provvedimenti che suppone le portino almeno un rafforzamento dei propri consensi se non proprio un loro ampliamento. Sia detto poi con una certa malizia, a ciascuna va anche bene trovare il modo di fare vedere quanto “cattivi” siano gli alleati e quanto si debba ad essa se non passano certe “brutte” misure. Forse qualche lettore si stupirà di questo linguaggio che sembra adatto più a descrivere baruffe fra bambini che confronti politici, ma temiamo che il dibattito all’interno e fra le forze di governo non sia di buon livello.
Nessuno sembra porsi il problema se sia accettabile che un paese in stagnazione come è l’Italia possa permettersi di mettere in scena questi bisticci fra partiti che partecipano all’esecutivo. Il continuo andirivieni di proposte, il prendere o lasciare ripetuto da ognuno nel presentare le sue aspettative, l’assenza sostanziale di una regia capace di imporsi, non trasmettono un’immagine rassicurante della democrazia italiana. Del resto, se i sondaggi valgono qualcosa, si sarà notato che i partiti di governo non vanno bene, mentre crescono solo le opposizioni demagogiche della Lega e di Fratelli d’Italia: segno abbastanza evidente che la confusione nella gestione della legge di bilancio non passa senza conseguenze.
Qualcuno potrebbe interrogarsi se non sia stato inopportuno fare del tema dell’aumento dell’Iva una sorta di linea del Piave. Così si sono bloccati 23 miliardi e si è resa poco gestibile la programmazione di altri interventi. Ovviamente quello era diventato il classico tabù, alimentato da tutti i partiti, sicché ora tutti dovrebbero fare un esame di coscienza, cosa ovviamente esclusa. Dopo la cosiddetta “coperta” è diventata cortissima e in qualunque direzione venisse tirata lasciava scoperto qualcuno, che, ovviamente, non gradiva. Trovare risorse aggiuntive, lo si è già detto più volte, era impresa disperata, a meno di non usare la fantasia per crearsi illusioni, come si è fatto, una volta di più, coll’ennesima versione della storiella sulla lotta all’evasione fiscale.
Il nocciolo duro è stato una volta di più la constatazione che per fare cassa si deve ricorrere a qualche forma di tassazione. E qui si è incappati in un altro tabù: le tasse, che oggettivamente sono molte e pesanti, ma soprattutto non equamente distribuite, sono considerate uno strumento malvagio, che i politici attenti al popolo non aumenteranno mai. Ci permettiamo di dire che su questo punto tutti predicano bene e razzolano male, perché mentre asseriscono che non ci saranno nuove gabelle, devono trovare il modo di metterne senza che l’operazione sia troppo evidente.
Si potrebbe far notare che dovrebbe anche essere possibile rivedere il sistema di tassazione, rimodularlo abolendo certe tasse per averne di nuove più razionali. L’operazione è impossibile, sia perché richiederebbe una classe politica in cui la popolazione abbia veramente fiducia (e ci vorrebbe anche un minimo di accordo trasversale in parlamento, altra cosa oggi improponibile), sia perché avrebbe bisogno di un certo tempo, che non c’è quando bisogna in gran fretta buttare giù una legge di bilancio rispettando i tempi richiesti da Bruxelles.
Così si assiste al non esaltante spettacolo di capi e capetti delle forze di maggioranza che vogliono solo imporre le loro ricette (neppure ben articolate), facendosi sgambetti reciprochi, mentre l’opposizione trova molto conveniente virare di nuovo verso il populismo demagogico, che quando si parla di tasse rende sempre. Perché se è vero che le forze di governo sono incapaci di convergere dando al paese il messaggio di una classe politica che ha in mente una strategia per il futuro (e non solo il compiacere questo o quel settore della nostra popolazione), è altrettanto vero che nell’opposizione non c’è nessuno spazio per l’accreditarsi di alternative responsabili. Del resto si sarà notato che anche il vecchio Berlusconi, che pure ogni tanto pare tentato dal giocare la parte del responsabile, si è rapidamente allineato con Salvini, un po’ perché in fondo quanto a populismo anche lui non scherza, molto di più perché ha capito che l’atmosfera generale è più ben disposta verso la demagogia che verso la responsabilità.
di Paolo Pombeni
di Stefano Zan *