Giovani vs vecchi: pericolose contrapposizioni della politica attuale
Che la difficile situazione pandemica che stiamo attraversando abbia significato e significhi tuttora l’emergere sotto svariate spoglie di una gerontofobia, dispensatrice di ricette politico-strategiche a vari livelli, è cosa ormai da più parti denunciata in casa nostra e altrove. È passato parecchio tempo ormai da quando, lo scorso anno in Olanda è stato fatto recapitare a tutti gli ultra settantenni un modulo in cui si chiedeva loro di firmare che qualora essi fossero stati colpiti da Covid avrebbero rinunciato al ricovero ospedaliero per non sottrarre posti a persone più giovani che avrebbero avuto maggior probabilità di guarire. E la “ragionevolezza” di questa ingiunzione venne persino fatta propria dalla stragrande maggioranza dei vecchi in questione che sottoscrisse senza batter colpo (cfr. S.Zamagni, Pandemia da Covid-19 e gerontofobia, 7 settembre 2020). Dal canto suo il Presidente della Liguria, a inizio dello scorso novembre, in un suo celeberrimo tweet, aveva indicato gli anziani quali soggetti da proteggersi con strette misure di quasi-clausura in quanto “più fragili” e “non indispensabili allo sforzo produttivo del paese”. Al di là della indignazione di quanti insorsero in quel momento per criticare il fatto che la dignità umana possa essere misurata sulla base della sua produttività economica, altri, anche esponenti del mondo della cultura, in modo più sotterraneo e con argomentazioni senza dubbio più sofisticate, presero comunque le mosse da elementi di fondo del “Toti-pensiero” per prospettare misure più coercitive della libertà di movimento dei vecchi a vantaggio di un grado maggiore di libertà per i giovani: addirittura una sorta di garanzia, a parere di alcuni, della possibilità stessa di tenere aperte le scuole. La vita dei giovani contro la vita dei vecchi? La libertà dei giovani contro la libertà dei vecchi? Gli interrogativi appena posti non possono che, per usare un eufemismo, destare più di una perplessità per chiunque abbia minimamente a cuore la difesa dei princìpi cardine del moderno costituzionalismo e quindi non vale davvero soffermarsi oltre in proposito. Né costoro chiariscono mai, del resto, cosa intendano per “giovani”: quale sia, per esempio, la soglia massima oltre la quale non si possa più essere definiti tali e se, all’occorrenza, ci si possa rendere disponibili ad innalzare e di molto la soglia suddetta per uomini politici illustri del panorama nazionale e internazionale…
Ma la frattura fra vecchi e giovani nell’era di covid 19 si presenta anche sotto l’apparenza di più nobili motivazioni, rispetto alle precedenti e da parte di insospettabili protagonisti ed è su questo elemento, a mio avviso, che occorre riflettere più in profondità. Al di là del legittimo e sacrosanto richiamo da parte di politici, intellettuali impegnati a vario livello, sulla scarsità delle risorse che il nostro paese dedica alla formazione dei giovani, al loro inserimento nel mondo del lavoro, alla mancata considerazione delle generazioni del presente/futuro da parte di una politica del tutto asfittica e del giorno dopo giorno, emergono infatti anche segnali di preoccupante e più o meno esplicita contrapposizione tra presunti obiettivi e interessi del mondo dei vecchi e altrettanti contrapposti obiettivi e interessi del mondo dei giovani. Recentemente anche dal pulpito dei dibattiti televisivi, a partire dalle drammatiche conseguenze della pandemia attuale, un politico di alto livello, di lunga esperienza, progressista e di sinistra come Walter Veltroni ha sottolineato che la ragione per la quale ora, nel nostro paese la politica non tiene adeguatamente presenti i giovani e li penalizza (anche sotto il profilo delle varie misure restrittive di contrasto alla pandemia), è ascrivibile al fatto che essi non votano. Abbassare la soglia dell’età per divenire elettori è dunque la via attraverso la quale i giovani possano finalmente dire la loro e farsi ascoltare? La proposta esplicitata da ultimo nel programma del nuovo segretario del PD, Enrico Letta, del voto ai sedicenni è da iscriversi nella prospettiva veltroniana sopra richiamata?
Chi scrive non può davvero credere, sulla base del tuttora saldo patrimonio della eredità occidentale dei diritti e della dignità delle persone, senza discriminazioni di sorta, che si possa nemmeno lontanamente prevedere che oggi, all’interno della nostra democrazia, la più intensa ed estrema contrapposizione politica di schmittiana memoria sia da ravvisarsi, in quella fra vecchi e giovani. Se così fosse, allora non resterebbe altro da fare che benedire il covid 19 che, molto più che ogni scorciatoia di abbassamento dell’età per usufruire del diritto di voto per essere finalmente riconosciuti, spazza via tanti vecchi che si frappongono come ostacolo al nuovo che avanza.
di Francesco Provinciali *
di Raffaella Gherardi *