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02 novembre 2024
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Figli e figliastri

Francesco Provinciali * - 17.11.2018
Giornata mondiale dell'infanzia

Quando si sostiene che un figlio ha diritto ad avere un padre ed una madre si asseconda una regola imposta dalla natura e si esprime un concetto che implica una conquista culturale e sociale sotto il profilo del diritto positivo e della tutela del minore: si tratta tuttavia di un’affermazione che richiede più di una semplice asserzione per non cadere in una scontata ovvietà.

Poiché tra la teoria e la pratica corre il discrimine della quotidianità, sovente ricca di vissuti contradditori rispetto al nobile principio sopra enunciato. Ad ogni diritto corrisponde un dovere: peccato che se ne parli di rado, forse è un corollario dell’egoismo come forma di sentimento oggi prevalente.

Il dibattito sulle adozioni che sta movimentando la politica e scuotendo le coscienze individuali è stato finora prevalentemente centrato sulla rivendicazione dei diritti trascurando la speculare necessità di un chiarimento sui doveri. Della società, della famiglia, delle coppie di fatto, dei padri e delle madri. Essere genitore non è un mestiere, piuttosto è una vocazione, persino un evento casuale alcune volte non voluto. Già nella cosiddetta “famiglia tradizionale” come pure nelle unioni di fatto tra genitori di sesso diverso non tutto si esprime, si manifesta e si spiega in una visione edulcorata del rapporto tra genitorialità e filiazione. Dietro una semplice inadempienza scolastica si nascondono spesso gravi disagi familiari, sovente situazioni abbandoniche si spiegano con una raccapricciante irresponsabilità genitoriale, ci sono brutte storie di abusi e violenze domestiche, ci sono vicende di figli contesi tra genitori conflittuali che antepongono il proprio egoismo e il progetto distruttivo del partner al ben-essere del figlio, a volte talmente compresso tra l’odio e i rancori di suo padre e di sua madre da essere condizionato in modo distruttivo sul piano dell’identità e della libera affettività. Ci sono genitori che scompaiono dalla vita dei figli, che non se ne curano, che li picchiano e li privano dei più elementari diritti, come l’alimentazione o l’istruzione. Ci sono padri o madri che hanno tre, quattro, cinque figli da partner diversi e questi ultimi spesso già con prole avuta in precedenza o in arrivo: riesce persino difficile soffermarsi a pensare alle molteplici forme e durate di convivenza e parentela: senza aspettare la stepchild adoption ci sono già figli e figliastri, propri o aggregati, nella quotidianità delle intersezioni affettive e relazionali attuali.  Altri che li sottraggono con la forza e unilateralmente all’altro genitore naturale, impossessandone in via del tutto illecita e pregiudiziale.

Alcune volte questi ragazzi crescendo esprimono vistosamente l’assenza di uno dei due genitori, essi non parlano di “genitore1” e “genitore 2” ma di “padre” e di “madre”.

Un tempo la famiglia aveva una precisa identità (“un’isola che il Diritto può solo lambire”-1950) oggi si fotografano situazioni diverse dalla canonica definizione del Codice Civile, basate su relazioni non di sangue ma di affetto. Emerge la figura del “genitore sociale” che affianca il “genitore biologico” quando addirittura non lo sostituisce, temporaneamente negli affidi eterofamiliari o definitivamente nelle adozioni.

Senza dimenticare che l’art 330 e seg. del Codice Civile regolamenta i casi di attenuazione o ablazione della responsabilità (un tempo “potestà”) genitoriale (di uno o di entrambi i genitori) in caso di situazioni particolarmente gravi e irrecuperabili.

L’esperienza dei casi insegna che la differenza tra l’essere figli o figliastri non si esprime solo in termini di ‘status’ ma si spiega misurando l’affetto e l’amore che si riceve. Questo parametro di considerazione  potrebbe essere utilmente applicato anche nelle situazioni di convivenza tra coppie omosessuali, tuttavia il sillogismo non è analogico e automatico: occorre infatti considerare il ruolo affettivo reciproco che si esprime attraverso l’identità di genere dei genitori (padre=uomo; madre=donna)  e questa valutazione può essere esperita solo valutando le singole situazioni, caso per caso, avendo cura di attivare dei protocolli di ascolto del minore – se la sua età lo permette – affinché possa esprimersi su una relazionalità affettiva nuova che lo riguarda.

È altresì necessario puntualizzare che il giudice non è interprete dei costumi del tempo ma della legge, anche se recenti sentenze in tema di adozione (Bologna, Roma, Milano) tengono conto del mutato quadro sociale entro cui si esplicitano nuove forme di convivenza diverse dalla famiglia tradizionale.

Considerando altresì che il ns. ordinamento peraltro prevede già l’adozione del figlio del partner solo in caso di ‘coniugo’ e di coppie eterosessuali (art. 44. Cod. Civ.).

L’adozione di un figlio non biologico può avvenire – secondo il nostro ordinamento – solo da parte di genitori uniti dal vincolo del matrimonio che – secondo la Sentenza della Corte Costituzionale del 2014 – è tale solo se contratto tra persone di sesso diverso.

La legge sulle cosiddette “unioni civili” è una sorta di consacrazione giuridica di una mutata situazione sociale rispetto alle relazioni affettive e/o di convivenza, peraltro già riconosciuta dalla Corte Costituzionale con Sentenza n.° 138/2010, che considera diverse forme di unione delle persone secondo il libero convincimento (art.2 della Costituzione), anche in ossequio al principio in base al quale i differenti devono essere trattati come gli uguali (art.3 della Costituzione).

Una doverosa e rispettosa considerazione di nuove modalità di aggregazione affettiva e di unione tra persone indipendentemente dal loro sesso, in un quadro caratterizzato da una graduale dissolvenza del concetto di comunità e dall’emergenza di nuove esigenze di espressione delle libertà individuali.

Specialmente se questa forma particolare di adozione si realizza attraverso il cd. “utero in affitto”.

I figli non si acquistato al supermercato delle maternità surrogate, non si trovano sugli scaffali con sequenziali codici a barre che ne riassumano le caratteristiche identitarie.

Da taluni si afferma un diritto in capo al minore senza avere la minima prova che ciò corrisponda al suo effettivo, autentico bene. Il fatto che questa materia sia stata regolamentata “altrove”, in Paesi diversi, non depone a favore di una assoluta ed incontrovertibile “utilità” di questo istituto giuridico.

Bisogna peraltro ammettere che così come non sempre nelle cd. “famiglie tradizionali” si assolve il diritto-dovere di una genitorialità responsabile e consapevole, non è altrettanto pregiudizialmente vero che in una coppia dello stesso sesso un figlio non possa trovare tutto l’affetto e l’amore, le cure e le attenzioni di cui ha bisogno per crescere in serenità e armonia di rapporti.

Specie se il figlio di uno dei due partner è preesistente alla unione omosessuale, fattispecie del tutto diversa da quella prodotta dalla cd. “maternità surrogata”.

Più che assimilarle alle adozioni vere e proprie si potrebbe pensare ad un istituto giuridico che preveda una “legittimazione della tutela del partner”.

La motivazione del richiamo della Corte di Strasburgo che ha sollecitato la legge sulle unioni civili riguarda la mancanza di equiparazione dello status giuridico di una coppia omosessuale a quello di una coppia eterosessuale.

La tematica è complessa e ricca di implicazioni etiche e di intersezioni normative.

Occorre porsi di fronte alle situazioni umane con attenzione, umiltà e disponibilità all’ascolto.

Ci sono fenomeni sociali che compongono e scompongono la realtà con una velocità superiore alla capacità di stabilire delle regole rispetto a questo “slancio vitale”.

Spetta al giudice l’onere della loro interpretazione, in scienza e coscienza, per promuovere tutele e condizioni affinché ogni vita che nasce si esprima e si realizzi nella pienezza della sua condizione esistenziale.

 

 

 

 

* Giudice On. Tribunale per i minorenni di Milano