Europa: tutto secondo copione?
Quando i lettori vedranno questo articolo forse si saprà già come è andata a finire la vicenda della scelta di Mr. o di Lady PESC, specialmente si saprà se Renzi è riuscito ad imporre Federica Mogherini per quella posizione (a meno di rinvii, sempre possibili nel clima difficile della Bruxelles di oggi). Invece sappiamo già che Schultz e Junker hanno avuto i posti loro spettanti secondo le logiche dell’Unione e che per il resto il clima che domina le dinamiche comunitarie non è esattamente idilliaco.
Schultz al vertice del Parlamento europeo e Junker al vertice della Commissione confermano paradossalmente che il famoso acquis communautaire di Delors è, a dispetto del suo vero significato, ancora vivo nei ceti dirigenti “stanziali” dei palazzi di Bruxelles. I due uomini politici infatti appartengono a quella componente e la loro designazione ed elezione è arrivata grazie alla capacità che hanno di muovere le fila dei gruppi dirigenti di una rappresentanza politica che è in mano a questa componente. Come spiegare altrimenti la solida alleanza fra Popolari, Socialisti e Liberali, che sulla carta dovrebbero avere più di una ragione di dissensi reciproci?
In realtà i gruppi dirigenti delle maggiori forze rappresentate in quel parlamento sono formati da persone precipuamente interessate solo alle dinamiche che si svolgono in quel mondo abbastanza chiuso e peculiare. Sono loro che hanno i contatti determinanti sia con la burocrazia della Commissione, sia con i rappresentanti dei governi nazionali dei paesi membri. Nella lunga navigazione in queste acque hanno imparato che se non si sostengono a vicenda contano molto poco. La gran massa dei parlamentari eletti (spesso vincitori nelle varie platee nazionali con percentuali modestissime se calcolate non sui votanti effettivi, ma sugli aventi diritto) è di fatto estranea a queste reti di potere e poco capace, talora anche poco interessata ad entrarvi. Basta pensare ai parlamentari europei eletti in Italia, che o sono degli sconosciuti all’opinione pubblica nazionale, o sono delle persone che hanno dovuto accontentarsi di quel ruolo per poter comunque fare politica in patria nei rispettivi partiti di appartenenza (giudicateli anche solo dalle loro comparsate in TV dove di tutto parlano, meno che di questioni europee).
Se leggiamo con realismo quanto è avvenuto, registriamo dunque un consolidamento di una certa componente particolare del sistema di potere in Europa. Né Schultz, né Junker sembrano destinati a produrre un cambiamento che faccia riguadagnare peso alle strutture comunitarie: da questo punto di vista l’eredità di Delors è andata dissolta. L’approccio comunitario a cui facevamo cenno all’inizio è semplicemente vivo come costruzione delle decisioni e delle relazioni all’interno dell’arena di Bruxelles, non certo come prospettiva ideale per cui le decisioni si prendono avendo riguardo a ciò che conviene allo sviluppo autonomo dell’Unione.
Sia Juncker che Schultz sono dei navigati protagonisti dei meandri delle istituzioni UE e dunque si muoveranno avendo ben presenti le regole che le governano. I discorsi sono un’altra cosa, ma i discorsi in politica contano fino ad un certo punto nelle realtà nazionali dove un po’ di audience allargata la trovano, figurarsi quanto possono contare se partono da Bruxelles, cioè da una sede che non riesce a farsi recepire dai cittadini che in misura minima.
Il vero problema con cui i due vertici designati dovranno misurarsi è la scarsissima voglia dei vari governi nazionali di lasciare loro uno spazio reale. Naturalmente la rappresentazione ufficiale è un’altra, molto più farisaica come si è visto per le reazioni alla candidatura della Mogherini. Bisogna infatti essere, come si sarebbe detto una volta, dei “sepolcri imbiancati” per censurare quella candidatura in base ad una asserita mancanza di esperienza e di autorevolezza. Sono doti che senza dubbio sarebbero fondamentali se ci si aspettasse dal Mr. o da Lady PESC un ruolo di rilievo, il che vorrebbe dire che i governi dei paesi dell’Unione hanno rinunciato a gestire ciascuno in autonomia (e in concorrenza tra loro) la politica estera. Ma questo non è proprio il caso, come del resto si era già visto con la signora Ashton che non aveva nessuna delle due qualità (e per la verità anche con il suo predecessore, Xavier Solana, che forse quelle qualità le possedeva, ma a cui non hanno comunque lasciato combinare gran che).
La dialettica dunque, per non dire la competizione continuerà ad essere fra i governi nazionali e le strutture di vertice della burocrazia, tecnica e politica, di Bruxelles. I primi saranno anche in lotta fra loro per impedire che qualcuno acquisisca un potere che non aveva. Così va interpretato lo sforzo di umiliare Renzi impedendogli di portarsi a casa la vittoria di un suo candidato, anzi provando ad imporgli un candidato scelto dagli altri e che in Italia verrebbe preso come un suo contraltare, come è nel caso della ipotesi di un ruolo di peso per Enrico Letta.
Insomma tutto si sta svolgendo secondo il copione in uso nell’ultimo decennio. Purtroppo si tratta di quel copione che non si può proprio dire abbia trovato, non diremmo gli entusiasmi, ma neppure la passiva acquiescenza della platea di “cittadini sovrani” a cui avrebbe dovuto saper parlare.
di Paolo Pombeni
di Giovanni Bernardini
di Diego D'Amelio *