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23 settembre 2023
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Europa, dalla visione di De Gasperi alle "visioni" dei 5 Stelle

Francesco Provinciali * - 13.02.2019
Frase di De Gasperi

Chi rileggesse il discorso di Alcide De Gasperi alla Conferenza di Pace di Parigi del 10 agosto 1946, a partire dal famoso incipit: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me….”, non potrebbe non compararlo con lo stile espositivo, le modalità aggressive e i contenuti asfittici e destabilizzanti di coloro che oggi – parlando di Europa- amano definirsi populisti e sovranisti.

Rileggendo per intero quell’intervento si coglie a distanza di anni la lungimiranza del politico che fa leva sul dovere del dialogo, della cooperazione e della pace per ristabilire le condizioni della crescita economica e sociale, in una parola della “ricostruzione”, termine che riassume la situazione internazionale in una prospettiva di “coesione e visione”, cogliendo l’idea di unire le forze nazionali del vecchio continente nella prospettiva di una Comunità Europea legata da tradizioni culturali, valori, riferimenti ideali, prospettive sul piano sociale, attraverso l’avvio di trattati sul piano economico e commerciale, per favorire lo scambio delle esperienze, delle persone, dei prodotti, in una prospettiva di solidarismo istituzionale.

La contestualizzazione della situazione post-bellica e l’intuizione di una realtà istituzionale terza che rappresentasse le singole realtà nazionali, unitamente all’emergere di figure come De Gasperi stesso, di Schumann, Monnet, Adenauer, consentì un periodo di elaborazione storico-politica dell’idea transnazionale di Europa in cui si ravvisano due peculiarità.

La prima è legata alle dimensioni territoriali e alle alleanze statuali che si andavano delineando: un’Europa “a sei “poteva essere propedeutica ad ulteriori aggregazioni ma intanto- con senso pratico, contestualizzazione, consapevolezza della “governabilità” dell’unione comunitaria, messa al bando dei velleitarismi espansivi – era una entità tangibile e foriera di consolidamenti sul piano strutturale, normativo, economico, di identità e riconoscimento sociale.

La seconda riveste una valutazione delle scelte espansive dell’Unione Europea, alla inclusione di altri Stati dove le differenze di origine hanno alla fine prevalso sullo spirito comunitario, mentre non è mai decollata l’idea fondativa di una matrice culturale comune, di identità, sovrapposizioni valoriali, tradizioni compenetrabili.

La continuità – partendo dalla CECA e dal MEC e giungendo all’Unione Europea odierna, ha privilegiato l’economia come motore e forza (ora trainante ora frenante) del decollo dell’Europa così come si è andata configurando dalle origini ai giorni nostri.

Si parla oggi dell’Europa dei mercati, delle banche, degli interessi che prevale sull’Europa dei popoli, delle persone, di una comunità solidale e coesa.

I drammatici avvenimenti legati all’esodo di migranti dall’Africa dei Paesi in guerra, spinti dalla fame e dalla ricerca di lavoro dimostrano che latita una visione comunitaria condivisa, oltre i trattati di Schengen, di Lisbona e di Dublino.

Prevalgono le logiche di arroccamento e di difesa dei confini nazionali.

Manca una politica di gestione e di governo del fenomeno migratorio, nella sua realtà attuale e in quella immaginabile per gli anni a venire, basti pensare alle proiezioni demografiche che ipotizzano che la Nigeria diventerà entro 10/15 anni il Paese più popoloso al mondo dopo Cina ed India, oltre venti volte superiore all’Italia.

Su questo tema l’Europa, l’Unione, i singoli Stati stanno palesando un ritardo di consapevolezza, azione, programmazione, condivisione.

Il prossimo Parlamento Europeo dovrà affrontare il tema dell’immigrazione e del suo controllo ma il timore riguarda le politiche nazionali spesso contrapposte e conflittuali, la mancanza di assunzioni di responsabilità condivise, lo scarso peso decisionale degli organi dell’Unione: non si percepisce – oltre il dato della mera rappresentanza istituzione /formale - quali siano i compiti, le attribuzioni, le potenzialità effettive, le incisività che l’Alto Commissario Europeo alla politica estera possa all’atto pratico esercitare.

Quale sia la funzione unitaria di rappresentanza ed orientamento, visto che i singoli Stati sembrano perseguire–sotto diverse alchimie politiche–l’antica trilogia del “popolo/territorio/potestà d’impero”, che altro non è che il rigido controllo dei confini nazionali, un vero e proprio ritorno a visioni autarchiche verso l’interno e “devolutive” verso gli altri Paesi dell’U.E. Ne’ si dimentichi il travaglio della “Brexit” come preoccupante segno di “distinguo e separatezza” da parte di uno dei Paesi più rappresentativi della cultura e delle potenzialità politico-istituzionali di un’Europa unita, a cominciare dalla lingua parlata e scritta più diffusa nel pianeta.

L’Europa di oggi è una gigantesca scacchiera dove Governi e poteri forti dell’economia e della finanza stanno muovendo le pedine dei propri destini e del futuro delle generazioni emergenti.

E in cima a questa piramide di preoccupazioni oggettive e finora affrontate con circospezione, sospetto, distinguo sta la lenta erosione delle sovranità nazionali senza che le stesse possano essere sostituite da un solido impianto politico/istituzionale coeso, solidale, di lunga deriva.

Questo spiega l’emergenza dei sovranismi e dei populismi come reazione emotiva difficilmente controllata attraverso azioni concertate a livello unitario, poiché molto forte è il gap che separa le “visioni” stesse di Europa, dalla “ricomposizione” allo “sconquasso”. Confrontando la mitezza delle parole di De Gasperi accompagnate da un progetto di Europa con la disinvoltura speculativa di Di Maio e Di Battista che fanno visita in Francia all’ala più estremista dei gilets juanes e attaccano duramente il Paese alleato, c’è da trasecolare e rabbrividire di fronte a tanta improvvida e sciagurata, dilettantesca protervia.

A maggio saremo chiamati a dare un volto nuovo al Parlamento Europeo e soprattutto a portare in questa prestigiosa assise di rappresentanza idee, progetti, visioni che consentano di recuperare e rinsaldare le ragioni della coesione di intenti su quella dei singoli interessi di parte, oltre ciò che resta delle ideologie e della post-globalizzazione.

Sarà probabilmente un appuntamento decisivo.

Lo scopo dovrebbe essere un rafforzamento dell’Unione sul piano delle relazioni internazionali, soprattutto un’idea forte, unitaria e vincente in materia di politica estera e una semplificazione normativa e burocratica della vita dei cittadini dell’Unione. Troppe cose ancora ci dividono.

Occorre uno sforzo per superare le frammentazioni e le polarizzazioni.

Ma in primis occorrerebbe un forte mandato popolare tendente al consolidamento della affinità culturali e al rafforzamento dell’identità – “l’ubi consistam” dell’Unione stessa.

Non possiamo dimenticare millenni di storia, la matrice democratica degli Stati nazionali post-bellici, il fondamento di una visione cristiana della vita, popolare e di giustizia sociale degli interessi collettivi, il metodo della concertazione che va perseguito come unica via praticabile.

In ciò ritrovo i riferimenti ideali citati da De Gasperi nel discorso del 1946, nell’ottica di una cooperazione tra i popoli.

 

 

 

 

* Già ispettore del MIUR