Ultimo Aggiornamento:
03 giugno 2023
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Elogio del silenzio nei frastuoni della pandemia

Raffaella Gherardi * - 21.07.2021
Non è un paese

Dallo scorso anno, e nella fattispecie da quando è esplosa la pandemia covid 19, ben pochi mostrano di aver fatto tesoro del celebre aforisma di Oscar Wilde secondo il quale “a volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio”. Così nell’era dei virologi molti  abituali frequentatori dei vari salotti televisivi si sono trasformati in esperti pronti a dare ricette sicure di fronte a un virus largamente ignoto agli stessi scienziati, così come tanti politici non hanno avuto il men che minimo dubbio a cavalcare facili risposte, quelle che il loro pubblico voleva sentirsi dire, magari riservandosi poi di smentirle nei fatti in tutto o in parte di lì a poco, quando il percorso della pandemia imboccava vie molto lontane da quelle che essi avevano preconizzato. Qualcuno ha per caso sentito qualche politico di casa nostra chiedere scusa dei propri errori anche relativamente a errate misure invocate e a dubbi comportamenti da essi stessi messi in atto sulla scena pubblica in spregio a ogni precauzione idonea a contenere la diffusione del virus? Meno che mai, naturalmente!!! La vera forza della politica, quella che non teme di riconoscere pubblicamente anche i propri eventuali errori, poteva semmai manifestarsi in altri paesi, dove ci sono statisti degni di tal nome (la Cancelliera Angela Merkel, per esempio, che non ha avuto alcuna remora a riconoscere propri errori in tema di misure pandemiche) e che considerano i cittadini persone in grado di intendere e di volere e capaci di giudicare le azioni dei politici secondo i lumi della ragione. In prima fila gli illustri esponenti “arruffapopolo” della politica nostrana proprio non avevano alcun ripensamento anche di fronte al dramma della pandemia in atto, di dover dismettere le loro collaudate vesti di una politica urlata e ritenuta in grado di fare proseliti anche sulle ali di covid 19, ai fini dei vari sondaggi che a ritmo incalzante si susseguivano e si susseguono tuttora. Unità del paese? Ma dove sta di casa nel tristissimo quotidiano spettacolo che si offre ai cittadini da parte di tanti politicanti di successo e leader di partito?

Al di là dei soliti noti politici di professione, del tutto disinteressati a darsi carico dell’interesse generale, è emersa da noi, in questa grave crisi pandemica, anche qualche difficoltà sia a livello mediatico che persino a livello politico e istituzionale di rivolgersi alla collettività nel suo insieme, nel segno di un richiamo alla responsabilità dei singoli a livello generale e dell’intera collettività. Non ha fatto bene per esempio la dicotomia giovani/vecchi a volte soltanto bonariamente fatta affiorare e più frequentemente richiamata con vigore da parte di noti commentatori, di politici, di rappresentanti delle istituzioni, spesso concordi nel sottolineare “i sacrifici dei giovani” ai tempi della pandemia, quasi che se non ci fossero i vecchi (definiti tali a partire da quale età?) proprio il virus non darebbe problemi più di tanto… «Bologna non è un paese per vecchi, l’ordine pubblico non si può ridurre all’idea di concepire i giovani come dei piccoli delinquenti, e se non vogliamo una città di vecchi diamoci tutti una mossa per aiutare i giovani e metterli al primo posto»: così, secondo quanto hanno riportato alcuni giornali nella cronaca locale, ha dichiarato il Sindaco del capoluogo emiliano a fine maggio, rispondendo alle polemiche legate alla movida nelle zone del centro della città, ben al di fuori e anzi in dichiarato e urlato spregio da parte dei partecipanti delle vigenti regole anti-assembramento.  Se l’intento del primo cittadino è stato quello di mettere opportunamente in evidenza la necessità di non criminalizzare pregiudizialmente i giovani e di aiutarli di fronte ai problemi che ne minacciano il futuro, certo non è stato invece molto felice il suo ricorso alla citazione del titolo del romanzo di Cormac McCarthy Non è un paese per vecchi, portato con grande successo sullo schermo dai fratelli Coen, insieme con la declinazione specifica per Bologna quasi a mo’ di slogan. Da un Sindaco i cittadini si aspetterebbero di essere considerati come tali e secondo responsabilità condivise, in quanto tutti appartenenti alla collettività, senza indicare preferenze di età o altro. Ma è probabile che la citazione dotta, tratta da opere d’arte (romanzo e film), sia forse sfuggita di mano a chi l’ha fatta, nel suo perentorio invito ai vecchi, nel contesto di cui sopra, a farsi da parte….

Quale lezione trarre da tanti mesi di grave pandemia? Innanzitutto la necessità di fare silenzio, di pensare, di progettare insieme senza pregiudiziali di sorta e di un linguaggio capace davvero di chiamare tutti a essere artefici di una responsabilità condivisa.

Farebbe bene a tutti rivedere (o vedere per la prima volta, per i più giovani) l’ultimo film di Fellini, La voce della luna (1990) e meditare e far proprie in particolare le scene conclusive e il messaggio finale. Tali suggestive immagini vedono infatti il mite protagonista, Ivo Salvini (il personaggio interpretato da Benigni, le cui azioni sono sempre in bilico negli sfumati confini di fantasia e realtà) avvicinarsi a notte fonda a uno dei suoi amati pozzi in piena e solitaria campagna. Dopo la sua ultima conversazione con la luna, egli commenta tra sé e sé:

«Eppure io credo che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire.»

 

 

 

 

* Già ordinario di Storia delle Dottrine Politiche – Università di Bologna