Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
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Egitto, patria del legislativo fantasma

Azzurra Meringolo * - 10.03.2015
Abdel Fattah Al-Sisi

Da due anni privo di Parlamento, l’Egitto rischia di restare senza un potere legislativo ancora per un po’. Le elezioni previste per marzo che dovevano eleggere il Parlamento slitteranno a data da destinarsi. A imporre questa sterzata è stata la Corte Costituzionale egiziana che il 1 marzo ha bocciato il regolamento elettorale da utilizzare per il terzo e ultimo passaggio della road map presentata dai militari dopo la deposizione, nel luglio 2013, del presidente islamsita Mohammed Morsi.

 

Quando lo scorso anno la legge elettorale era stata approvata per decreto dopo la firma di Adly Al-Mansour -il presidente ad interim che ha traghettato l’Egitto nelle mani dell’attuale presidente Abdel Fattah Al-Sisi- numerose voci vi si erano opposte, puntando il dito soprattutto contro il sistema di ditribuzione dei seggi. Queste critiche erano convogliate in tre ricorsi presentati davanti alla Corte Costituzionale.  Il primo metteva in dubbio la costituzionalità della legge sui diritti politici, il secondo quella del regolamento delle elezioni parlamentari e l’ultimo - l’unico acettato dalla Corte – si concentrava sulla legge di divisione delle circoscrizioni. Così come è scritta, la norma bocciata non garantirebbe infatti agli elettori delle diverse circoscrizioni un’equa rappresentazione. È questo l’aspetto che ha messo la legge in contraddizione con l’articolo 102 della Costituzione che protegge invece questo basilare principio.

 

L’Egitto dovrà quindi aspettare un altro po’ prima di eleggere il suo legislativo, praticamente inesistente dal gennaio 2011 (già nel 2012 infatti la Corte Costituzionale aveva dichiarato incostituzionale il regolamento elettorale con il quale era stato eletto il primo Parlamento del post Mubarak). Lungo il Nilo, sarà il potere esecutivo a legiferare. Questo è quello che già succede da anni, da quando questo potere si è servito dello strumento del decreto per approvare qualsiasi legge, evitando quindi il dibattito parlamentare.

 

Tutto ciò spinge alcuni analisti a guardare con sospetto la recente sentenza della Corte Costituzionale. Posticipando ulteriormente il giorno in cui Al-Sisi dovrà confrontarsi con il potere dell’Assemblea legislativa, la Magistratura finirebbe per fare il gioco del presidente? Per rispondere a questa domanda bisogna considerare che se da una parte la sentenza della Corte non pone limiti all’attività di Al-Sisi, dall’altra rischia di mettere i bastoni tra le ruote al progetto di lifting cosmetico che da mesi il “nuovo” regime porta avanti, facendo il possibile per mostrare al mondo intero il suo volto democratico.

Il rispetto delle tempistiche della road map è stato infatti un pilastro della retorica che ha accompagnato Al-Sisi in tutti i suoi incontri internazionali e il posticipo dell’appuntamento con le urne gli crea ora un certo imbarazzo. Che cosa dirà il raìs egiziano ai leader occidentali che ha convinto a partecipare all’imminente conferenza di Sharm El-Sheikh per la ripresa economica dell’Egitto usando l’amo delle elezioni alle porte come conferma dello status democratico del Paese?

 

È anche per questo che l’ex generale che ora guida l’Egitto preme il piede sull’acceleratore, immaginando di contenere al minimo il posticipo delle elezioni. Anche se il governo ha già creato una commissione alla quale ha affidato il compito di emendare il testo nelle parti necessarie, è difficile pensare che le votazioni slittino solo di qualche settimana. Qualora la commissione incaricata finisse i lavori in una decina di giorni, considerando i tempi tecnici della preparazione delle votazioni e la campagna elettorale, i primi turni elettorali (in Egitto i diversi governatorati votano in diverse giornate elettorali )non potrebbero tenersi prima di fine maggio. Eventuali ballottaggi slitterebbero a fine giugno, proprio durante l’inizio del Ramadan. Se a questa coincidenza si sommano i rischi di tenere votazioni in mesi eccessivamente caldi che poco invogliano i cittadini a mettersi in fila davanti ai seggi, è facile prevedere che le elezioni slitteranno al prossimo autunno.

 

 

Tempistiche a parte, nei fatti il risultato non cambia. Se prima della sentenza del 1 marzo il rischio era la creazione di un Parlamento acquiescente che si limitava a timbrare, avvallando, le decisioni del raìs, ora che nessun legislativo sarà eletto quello che continuerà a mancare è un formale contrappeso all’esecutivo. Scattando un’istantanea dell’Egitto di oggi si immortala quindi un paese privo di una genuina volontà politica di realizzare i cambiamenti necessari. Una nazione dove manca un progetto reale per intraprendere le riforme necessarie per evitare un semplice ritorno al passato.

 

 

 

 

Ricercatrice presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI), e caporedattrice di Affarinternazionali.