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27 marzo 2024
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Due enigmi: i Cinque Stelle e Conte

Paolo Pombeni - 03.03.2021
Conte Grillo

Lo scossone imposto dall’avvento di Draghi continua a riversarsi sui partiti politici. Che quello più colpito fossero i Cinque Stelle c’era da aspettarselo, ma non nelle modalità in cui sembra si stia verificando il cambiamento.

La trasformazione di un anti-partito in un partito di governo è già successa nella storia italiana. Si trattò del movimento fascista, che una volta arrivato in parlamento grazie alle elezioni del 1921 e poi al governo si trasformò nel Partito Nazionale Fascista (PNF) giurando naturalmente che nonostante il nome comune era cosa diversissima dalle vecchie camarille politiche. Si sbarazzò progressivamente del movimentismo squadrista di base, i suoi leader divennero uomini di governo (dittatoriale), il partito rinunciò a qualsiasi parvenza di democrazia interna dotandosi di un sistema di potere che vedeva un capo supremo (Mussolini) che però si teneva intorno, e sopra il partito, un consesso dei capi delle origini, il Gran Consiglio.

Non ricordiamo questo precedente per accusare M5S di fascismo (non c’entra nulla), ma semplicemente per ricordare che ci sono alcuni meccanismi che, in modi diversi e in contesti molto differenti (che contano: eccome!), si ripetono nell’organizzazione delle forme di partecipazione alla politica. I Cinque Stelle si sono accorti che l’età del “vaffa” era finita, anzi tramontava anche quella delle demagogie varie (abolizione della povertà, giustizia manettara, ecc. ecc.). Bisognava cambiare se si volevano salvare le “conquiste”, cioè l’avvento al potere di una nuova classe dirigente.

L’esperienza dell’arroccarsi intorno al Conte 2 era finita in un naufragio. E’ necessario cercare nuove strade che però richiedono una nuova guida, perché, e questo è un fatto curioso, né il vecchio fondatore/garante sa bene dove andare, né dalla nuova classe dirigente è emerso un leader capace di imporre uno straccio di progetto credibile. Cosa si poteva dunque fare per recuperare una pesante sconfitta?

La decisione di affidarsi di nuovo all’ex premier è indicativa, perché rivela tutte le ambiguità della situazione. I Cinque Stelle per rimanere al potere nella formazione attuale, che è quella di una classe dirigente senza vera base (vedi la loro debolezza nelle competizioni amministrative), avevano necessità di cambiare ruolo. Avevano vinto mobilitando la pancia del paese intorno alla ripulsa di una classe dirigente giudicata vacua e inconcludente (non senza ragione), ma non sono riusciti ad accreditarsi come classe dirigente sostitutiva. Hanno avuto qualche personaggio che più di altri ha mostrato delle doti “politiche”, ma non erano sufficienti per guidare un passaggio di sistema.

Per farlo si sono messi progressivamente al servizio di una persona, Giuseppe Conte, espressione di una frangia dell’establishment che non riusciva a farsi largo nella stagnazione degli ultimi decenni. In questo hanno avuto un certo successo quando una emergenza imprevista ha mostrato cosa si può fare dalla “cabina di regia” dei poteri statali: approfittare del trauma che stordisce le lobby tradizionali  per promuovere un sistema di nuova occupazione del potere. Si dice a volte: in stile democristiano, ma è vero solo per la fase di decadenza della DC, che infatti c’è rimasta sepolta sotto. Quando quel partito funzionava aveva saputo fare selezione delle classi dirigenti.

Conte rappresenta il tentativo di risistemazione delle filiere di occupazione del potere. Ha creduto per un certo periodo di poterlo fare sulla base del suo ruolo di premier, ora, perduto quello, si è probabilmente reso conto che per continuare gli serve un partito: nei sistemi moderni bisogna in qualche modo passare per le elezioni. Appare ottimo farlo sfruttando un organismo che esiste già, ha già visibilità e sostegno, e soprattutto è modellabile come la plastilina, perché si fonda solo su slogan che in realtà sono così vaghi e ovvi che possono essere sottoscritti da tutti, ma poi rideclinati a piacere.

Assistiamo così al tentativo di far confluire sui Cinque Stelle il consenso di coloro che ritengono giunto il loro momento per dare l’assalto ai diversi luoghi di potere: un fenomeno che nella storia si è visto più volte. Conte ha le carte in regola per essere credibile nel proporre questi obiettivi (ci ha già provato nella sua esperienza di governo), e in più può offrire, almeno per il momento, di prendere con sé i personaggi chiave di M5S liberati dall’incubo di essere risospinti nell’anonimato (del limite di due mandati non si parlerà più per loro).

Riuscirà nell’impresa? Non daremmo troppo credito ai sondaggi raccolti sull’onda del clamore momentaneo: è la tenuta in corsa ciò che conta. Sarà determinante come si comporteranno i competitori, alleati o avversari, di M5S e del suo nuovo duce. Se il modello Draghi avrà successo gli spazi per i nuovi Cinque Stelle (che forse cambieranno anche nome) si restringeranno, perché il perimetro dove si può fare politica si collocherà di nuovo nella cerchia dei “competenti”. In più se i vari partiti smetteranno di guardarsi l’ombelico rimanendo chiusi nella promozione del loro professionismo interno e inizieranno a reclutare nuova classe dirigente prendendola dalla società civile “profonda” (dove ci sono giacimenti inesplorati di capitale umano), la capacità attrattiva del ricambio che promette il nuovo partito forgiato da Conte si ridurrà enormemente.

Se queste due condizioni non si verificheranno, le possibilità di successo di quell’esperimento cresceranno in maniera notevole.