Dov'è finita l'educazione civica?
Correva l’estate del 2019 e l’educazione civica sarebbe dovuta rientrare con pieno titolo tra le materie scolastiche nelle scuole di ogni ordine e grado con l’inizio dell’anno scolastico 2019/20, con 33 ore all’anno di insegnamento ad hoc. Poi era successo il pasticcio della tardiva pubblicazione della legge istitutiva sulla G.U. del 20 anziché del 16 agosto, a cui aveva tentato di rimediare lo stesso Ministro pro-tempore Bussetti con un decreto ministeriale in data 27 agosto che introduceva la materia come “sperimentazione nazionale obbligatoria”, a sua volta definitivamente cassato dal Consiglio nazionale della P.I. che aveva ritenuto inopportuno un così tardivo provvedimento a tre giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico.
Tutto era stato dunque rimandato all’ a.s. 2020/21: in ritardo ma con grande enfasi l’educazione civica tornava ad essere materia curricolare, dalla scuola dell’infanzia alle superiori, dopo una lunga latitanza dovuta ad una lenta espunzione di questa pedagogia dei diritti e dei doveri individuali e sociali nella scuola e nella vita
Poi le cose si erano complicate con la pandemia, gli alunni a casa, le famiglie in enorme difficoltà, la sperimentazione della didattica a distanza, i salti mortali doppi, tripli e carpiati degli insegnanti che avevano cercato di mantenere un contatto didattico e visivo, persino telefonico con i loro scolari, gli esami di licenza media e di maturità riveduti, corretti e semplificati a motivo dell’insorta emergenza pandemica.
Un lungo periodo di latenza del sistema formativo che ha provocato complicazioni didattiche e turbamenti emotivi: le scuole chiuse sono state una necessità sanitaria e – a un tempo- una sventura pedagogica, poiché la formazione e l’istruzione sono elementi costitutivi della crescita umana, sociale ed economica di un Paese. Un disagio profondo vissuto da docenti, famiglie, alunni che resterà nella memoria collettiva come un incubo degno di un periodo bellico, all’atto pratico una sorta di catastrofe sociale irripetibile. Ecco allora che il ritorno dell’educazione civica nelle scuole era stato salutato non come un grattacapo aggiuntivo da gestire ma una risorsa da utilizzare, una sorta di fulcro tematico e pedagogico, uno snodo per stimolare in tutti, anche negli alunni e nelle loro famiglie, sentimenti di condivisione, partecipazione, solidarietà.
L’educazione civica – se valorizzata con buoni insegnamenti - sarebbe uno strumento formativo per radicare un’idea di appartenenza, per sentirsi parte di una comunità solidale affinché ciascuno sia responsabilmente consapevole di portare, secondo le sue potenzialità, un piccolo mattone alla costruzione del bene comune. Tuttavia ascoltando gli echi di cronaca ricorrenti si ritrovano tutti gli ingredienti negativi del suo opposto: indifferenza verso gli altri, vita sociale come contenitore di episodi di violenza, sopraffazione, bullismo, intolleranza, femminicidi, con fatti gravi che esprimono il totale disprezzo verso la vita. Si assiste con preoccupazione ad una adultizzazione precoce dell’adolescenza e ora persino dell’infanzia (c’è chi propone di abbassare l’età della responsabilità penale dagli attuali 14 ai 12 anni, ma pare un azzardo), nei suoi aspetti più deteriori: dall’uso disinvolto di droghe di ogni tipo, dalla facilità con cui circolano le armi, dalle aggressioni di compagni e persino insegnanti a scuola, dalla derisione fino ai pestaggi dei disabili o degli emarginati, dall’utilizzo persecutorio delle tecnologie, per commettere reati dal cyberbullismo al revenge porn.
Sembra saltata ogni regola che conferiva al vivere sociale una tollerabile sostenibilità e questa tendenza cresce di giorno in giorno nei comportamenti sociali ricorrenti, quasi con emulazione.
La violazione delle regole è anzi la prevalente pedagogia sociale che si diffonde in ogni target sociale e si estende ad ogni età, mentre violenza fisica e simbolica sono le facce di una deriva che secondo Vittorino Andreoli va oltre e porta verso la distruzione come forma di ribellione totale e dilagante.
Mentre l’impunità diffusa e la convinzione di farla franca prevalgono sulla certezza del diritto e sul rispetto della dignità umana, si spegne la coscienza come sede della consapevolezza emotiva e razionale, la giustizia spesso è arrendevole o pervasa da burocrazia e laccioli paralizzanti, tuttavia si avverte la necessità di ripartire dalla famiglia e dalla scuola, messe in crisi da un avvertito senso di impotenza. Osservazione, ascolto, dialogo, soprattutto buoni esempi: bisogna riprendere l’antica usanza di queste metodologie educative affinché il destino dei bambini e dei ragazzi non sfugga di mano ma sia orientato verso il bene.
Educazione sentimentale ed educazione civica sono la ‘didattica’ più efficace perché ciò si realizzi.
Le famiglie devono esserne consapevoli: certe forme di difesa d’ufficio dei figli sono deleterie.
Ma intanto ci si chiede che fine abbia fatto l’educazione civica a scuola: consiste forse in qualche corso accelerato di bon ton, o nell’abc dell’educazione stradale, ambientale o nell’uso dello smartphone? Di solito questi progetti educativi sono effimeri e producono l’effetto contrario.
Messi in appendice alle materie scolastiche sono escrescenze didattiche posticce: diciamo subito che 33 ore all’anno sono veramente poche, persino per capacitarsi di un’idea, di un’utilità dell’educazione civica che andrebbe invece implementata e distribuita su tutti gli insegnamenti, direi quotidianamente, partendo dai vissuti, dai fatti di cronaca, dalle buone regole da condividere nella vita scolastica. Scomparsa dai radar educativi e relegata ad una quantificazione oraria marginale e ininfluente, l’educazione civica andrebbe riconsiderata a fondo, fino a diventare un codice di comportamento da metabolizzare ed esportare fuori dalla scuola, nella vita di tutti i giorni.
di Francesco Provinciali *
di Francesco Domenico Capizzi *
di Luca Tentoni *