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Di elezione in elezione (ma intanto il mondo va avanti …)

Paolo Pombeni - 23.01.2019
Politica 2019

Campagna elettorale continua, ormai lo sappiamo, ma non è che questa continuità non provochi un bel po’ di guai. Mantenere il paese in tensione perché c’è sempre un test che verrà dalle urne non ha mai aiutato: non è una storia che sia iniziata oggi, anche se in quest’ultima fase è stata esasperata sino all’estremo. Si usa ripetere, un poco stancamente in verità, la vecchia storiella per cui l’uomo politico guarda alle prossime elezioni, mentre lo statista guarda alle prossime generazioni, cioè al lungo periodo, ma è vero solo se si tiene in considerazione un elemento: per permettersi di fare gli statisti bisogna disporre di quella virtù che consiste nel raccogliere la fiducia dei cittadini facendosi dare un mandato quasi in bianco per risultati che essi non vedranno nell’immediato. Stiamo parlando della prova più difficile per qualsiasi personaggio politico (ed è qui che si radica un preoccupante ritorno di aspettative per l’uomo forte).

Tuttavia non è neppure vero che un discorso sul futuro sia assente in coloro che puntano sugli immediati dividendi elettorali, anzi in loro c’è quello più perverso: il futuro è così poco luminoso che per la gente sarà meglio portare a casa subito quel poco che si può e poi si vedrà.

Se si presta la dovuta attenzione questo è il messaggio neppur tanto subliminale che arriva dalle due componenti del governo giallo-verde. Per il reddito di cittadinanza il sotteso è che comunque il lavoro non ci sarà, dunque è meglio avere un sostegno dallo stato, essendo l’alternativa non avere niente. I più paludati (si fa per dire) fanno sapere che a causa dell’automazione, della globalizzazione, della divisione internazionale del lavoro l’occupazione è destinata a contrarsi sempre più e dunque se si vuol far sopravvivere i disoccupati l’unica via è sussidiarli. Quanto fondamento ci sia nelle versioni più apocalittiche di queste teorie è più che dubbio, ma qualche riscontro limitato c’è, e soprattutto è diffusa una pubblica opinione che teme quel futuro angoscioso.

Si potrebbe obiettare che anche prendendo per buone queste profezie rimane il problema di come finanziare la nuova condizione di non-lavoro. Qui è curioso notare che in definitiva l’arma che si impiega è lo scatenamento dell’invidia sociale: i soldi li troveremo tagliando i “redditi d’oro”. Anche in questo caso ovviamente il sentimento ha qualche fondamento nella realtà: proprio uno dei documenti presentati ora al foro di Davos da Oxfam certifica un allargamento preoccupante della forbice fra pochi che hanno a disposizione moltissime risorse e molti che vedono falcidiati i loro redditi. Resta il fatto che non sarà con quei tagli, fra il resto problematici per molte ragioni, che si riuscirà a raccogliere abbastanza denaro per sostenere in pianta stabile il non-lavoro.

Del resto quel che si propone sul reddito di cittadinanza non è molto diverso da quel che si fa introducendo la mitica “quota 100” per le pensioni. Anche qui non ci si preoccupa di alcuna sostenibilità finanziaria, ma solo si offre un vantaggio momentaneo a chi sarà in grado di usare una specie di “finestra di emergenza” (facendo comunque in modo che il numero dei fortunati non sia alto). E gli altri, quelli che pagheranno sulla loro pelle i costi di questi biglietti della lotteria pensionistica? La risposta è: non pensiamoci ora, si vedrà quando saremo costretti a farci i conti.

Non stupisce che in questo contesto per gli “agitatori” sia necessario inventarne ogni giorno di nuove. Si va dalle trovate più sguaiate (l’on. Lannutti che si inventa che nelle banche ci siano “i savi di Sion”, figure inventate dall’antisemitismo russo poi passate fino ai nazisti), a quelle più dilettantesche (l’attacco insensato alla politica africana della Francia, mossa che mette in difficoltà la nostra presenza internazionale), ai mantra ripetuti a dispetto di qualsiasi fatto concreto (la TAV che costerebbe 20 miliardi, quando ne costa ben meno della metà anche a fare i calcoli più ampi).

Il problema è che queste strategie “elettorali” non avvengono più nel chiuso dei confini nazionali, come forse era, almeno in parte, ormai molti decenni fa. Oggi il mondo è fortemente interconnesso, in Europa si lavora a strategie per il futuro, mentre invece l’Italia è incagliata in questa querelle interna per decidere chi potrà governare il paese nei prossimi decenni. C’è un problema non piccolo di risistemazione dell’economia mondiale, con la gestione della trasformazione tecnologica a cui stiamo assistendo. Per adeguarsi almeno un poco a questa mutazione bisognerebbe investire risorse e noi non lo stiamo facendo. In Europa ci si posiziona per la gestione del suo futuro riassetto, anche tenendo conto della confusa situazione britannica. Francia e Germania hanno concluso un patto di collaborazione che può anche essere magniloquente, ma che comunque può dar vita ad un asse con cui avremo difficoltà a misurarci.

La questione dei migranti poi non si fermerà, almeno finché non si riuscirà a mettere sotto controllo quella Tortuga moderna che è un pezzo di Libia ed a porre mano a politiche di stabilizzazione di ampie aree dell’Africa. Non è certo un’operazione che si può fare con dirette Facebook comunque ci si agghindi per far colpo sugli internauti.

Ad andare avanti di elezione in elezione si finirà solo per essere sempre più disarmati e impreparati di fronte alle sfide della complicatissima transizione storica con cui dobbiamo misurarci.