Ultimo Aggiornamento:
27 marzo 2024
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Deflazione: la fine dei dogmi?

Gianpaolo Rossini - 26.04.2016
Jens Weidmann

Viviamo ormai con una deflazione conclamata che è entrata con forza nel comune pensare e ha preso il posto di decenni di saggezza popolare legata a come meglio comportarsi con l’inflazione.  I prezzi hanno cominciato a innestare la retromarcia in Italia in maniera continuativa negli ultimi due anni. Ma anche negli anni precedenti a ritroso fino alla prima metà del primo decennio del nuovo secolo non si può dire avessero dinamiche inflazionistiche vere e proprie. Da circa venti anni i prezzi in Italia viaggiano tra 1 e 2% all’anno superando solo in un caso il 3% di un soffio.  Questo ha mutato la cultura economica inducendo tutti a pensare che l’inflazione è scomparsa e che come un televisore col tubo catodico, ovvero non tornerà.  Gli ultimi tre anni hanno convinto anche i più increduli. I prezzi al consumo in Italia sono cresciuti meno dell’1% (in 3 anni) e ormai hanno cominciato un costante cammino sotto zero.

 

Da dove viene tutto questo?

 

La risposta è semplice. Ma pesante come una montagna.  E’ il risultato del divorzio tra banche centrali e autorità fiscali. Un’idea che risale agli anni 80 del secolo scorso. Buona per disintossicare le economie da inflazione a due cifre che fu debellata con successo. Ma nefasta quando divenne un dogma che viaggia senza meta come un iceberg che si stacca dai ghiacci polari per navigare a sud verso la sua lenta naturale consunzione. Prima della quale però può fare danni e provocare tragedie. Guido Tabellini, ex paladino dell’indipendenza della banca centrale dai governi,  sul Sole del 19 aprile, invoca una BCE che stampi moneta e la lanci da un elicottero sulle piazze senza neppure rispettare  normali criteri di bilancio di una banca centrale. Il falco Weidmann, rappresentante della Bundesbank nel direttorio della BCE, sostiene Draghi nelle sue politiche espansive  a tassi zero contro la malferma mente di Schauble che non riesce a capire cosa sta realmente succedendo alle economie. Tutto questo significa che un dogma è caduto in frantumi e che dovremmo rallegrarci. Purtroppo i dogmi non scompaiono mai senza rumore. Ci sono infatti voluti i colpi di una deflazione devastante che sta corrodendo il sistema bancario e l’intera economia per sancire la fine di questo splendido quanto insensato isolamento della banca centrale.  A noi europei questa caduta è costata cara perché è arrivata terribilmente tardi.  Nel vecchio continente ora siamo forse liberi. Si. Anche se sempre un po’ proni alle ideologie che gruppi di intellettuali sfornano di continuo scambiando questo con la loro missione. E non ci basta qualche infatuazione temporanea svenduta sui media. No. Spesso ci capita di volerle incidere sul marmo della storia. Per nostra disgrazia la trovata dei primi anni 90 del secolo scorso fu quella di inserire proposizioni e idee valide di fronte a fenomeni contingenti in un trattato che le rivestisse di una pellicola di eterna validità: il Trattato di Maastricht. Cittadina olandese ridente che ha fatto piangere milioni di cittadini europei. Si stabilì, in quel trattato, che la BCE avrebbe dovuto perseguire la stabilità dei prezzi ovvero una quasi completa cancellazione dell’inflazione. Molti degli estensori spesso agognavano nelle loro notti disturbate prezzi fermi a zero. I loro sogni avveratisi sono i nostri incubi di oggi. Avere testardamente perseguito questo obiettivo per oltre due decenni ha fatto si che alla fine tutti ci credessero e che un altro mondo, quello dei prezzi più ballerini, non fosse più possibile. Averlo poi perseguito dopo il 2008 è stato diabolico, o, se preferite, è stato agire come il cavaliere dalla trista figura, il cui mentore letterario si spense quattro secoli fa, e che scambiava panciuti otri di vino allineati lungo le pareti in ombra di un’osteria per feroci saraceni.  La rigida politica monetaria imposta alla BCE dai Trattati non placo’ la sete dottrinaria dei suoi pallidi estensori. In Europa con i dottrinari non scherziamo. All’ingessamento della politica monetaria e al suo totale sganciamento dalle esigenze dell’economia reale abbiamo anche aggiunto la camicia di forza delle politiche fiscali a livello di singolo stato. Il risultato di tutto questo è sotto i nostri occhi delusi con una deflazione corrosiva che non sappiamo come frenare.

Per venirne fuori ora occorre iniziare una lenta ma coraggiosa destrutturazione. Per la politica monetaria lo stiamo facendo anche se non tutti lo hanno inteso. Poi tocca alla politica fiscale. Ciò che fa l’Europa è sempre visto dal resto del mondo –Stati Uniti esclusi- come qualcosa da imitare perché culturalmente superiore. Questo ha portato ad effetti positivi: ad esempio il WTO procede alla apertura degli scambi internazionali e alla integrazione economica globale seguendo il canovaccio dell’integrazione europea nata con il mercato unico del 1993. Ma sul piano delle politiche monetarie e fiscali gli effetti sono stati negativi perché paesi emergenti e in via di sviluppo hanno adottato politiche monetarie severe e fiscali restrittive che hanno impedito un processo di convergenza dei loro prezzi, più bassi, a quelli, più alti dei paesi avanzati con cui si apprestavano a integrarsi sempre più. In altri termini un’ inflazione in Cina al 2% analoga a quella obiettivo in Europa ha aggiunto una pressione deflazionistica ai prezzi europei costretti da una parte da una politica monetaria severa e dall’altra da prezzi dei prodotti concorrenti importati troppo bassi. L’Europa ora deve affermare con chiarezza senza vergogna di fronte al mondo economico e finanziario che le politiche fiscali e monetarie adottate sono da abbandonare, o da usare solo in particolari frangenti. E non devono né essere una regola eterna nè essere copiate da paesi emergenti.

L’Europa ha fatto scuola nel mondo nel bene e nel male. Ma ciò che ha insegnato nel male ha effetti di ritorno particolarmente negativi e protratti nel tempo, non solo in economia. Che rimane da fare ora? Poco e tanto. Poco perché abbiamo insistito troppo a lungo con dottrinarismi folli finendo per contagiare culturalmente buona parte del mondo che ci vede come faro di civiltà. Tanto perché ora occorre correggere vistosamente e con tanto coraggio gli errori commessi. Alla BCE lo hanno capito così come governi, come quello italiano e quello francese. Altri invece continuano a giocare con bambole spettinate e discinte rappresentazioni di ideologie economiche con cui economisti e politici hanno giocato qualche decennio fa e che oggi non trastullano più nessuno né adulto né infante.

Sul piano concreto si possono abbiamo due strade. Rivedere i trattati, ovvero Maastricht e Amsterdam, con un processo lungo e rischioso. Oppure cominciare ad agire come se i trattati europei fossero carta scolorita da consegnare, seppur prematuramente, agli storici. La seconda strada è certamente quella più semplice e percorribile. Richiede una Europa meno rigida e basata più sulla “misericordia” alla Papa Francesco che non su accigliate sezioni di trattati che non smettono di tradire un certo spirito asburgico e un buon grado di autismo accademico.