Cosa chiede la società
Continuando la riflessione iniziata con l’articolo di giovedì scorso (“La società satura e seduta”) proviamo a capire cosa chiedono le diverse componenti della società. La stragrande maggioranza che, come abbiamo visto, è tutt’altro che satura e seduta chiede: maggiore reddito, certezza di occupazione (anche con il supporto di nuovi ammortizzatori sociali) e una maggiore stabilità di tasse (ad esempio sulla casa) e di tariffe (bollette, assicurazioni, etc.). In questo modo potrebbe ridurre la sua inquietudine e potrebbe consumare di più. Gli imprenditori, tutti ma in particolare quelli piccoli e medi, chiedono soprattutto una cosa: più clienti. Chi ha potuto è andato a cercarseli all’estero pare con ottimi risultati (ma non eravamo un paese a bassa produttività?). Chi, in ragione della tipologia del suo business, è condannato al mercato interno, in questi sei anni si è inventato di tutto pur di tenersi i clienti, ma in molti casi non c’è riuscito (basta guardare al numero di imprese che hanno chiuso).
Certamente gli imprenditori sono (saranno) contenti se i loro dipendenti guadagnano di più e costano di meno. Certamente saranno contenti se devono perdere meno tempo in adempimenti burocratici. Certamente saranno contenti se diventa più semplice assumere e licenziare. Ma il vero problema è che se la domanda non aumenta, cioè se non aumentano i clienti, tutto questo serve a poco. E perché la domanda aumenti occorre che la maggior parte della società, di nuovo quella non satura e non seduta, abbia una maggiore capacità di spesa e maggiore tranquillità complessiva. Gli imprenditori chiedono anche credito, per innovare ed investire, ma non sembra che il sistema bancario sia particolarmente disponibile. Molto più difficile è capire cosa chiede quella (piccola) parte della società, la borghesia a reddito buono e sicuro, che è oggettivamente satura e seduta. Per definizione, se è satura, non ha bisogno di nient’altro rispetto a quello che già ha. Se è seduta ha bisogno di stimoli (minacce o opportunità) per alzarsi e immettere nel circuito produttivo i suoi risparmi. Ma qui ci sono non pochi problemi. Il livello di fiducia negli intermediari finanziari, in particolare le banche, è basso, come sappiamo da tutte le indagini, ma anche da esperienze dirette. Ma oltre alla sfiducia esistono una serie di contraddizioni sulle quali credo valga la pena interrogarsi. Ad esempio che senso ha comprare obbligazioni della propria banca se, quando mio nipote chiede un prestito di trentamila euro, la stessa banca gli chiede il 50% di garanzia da parte di un Confidi e l’altro 50% da parte di un familiare. Faccio prima a prestarglieli io, se non tutti e trenta almeno quindici. Se da investitore globalizzato compro azioni Fiat (anzi FCA) mi aspetto che queste rendano al massimo. Marchionne dice che la FCA guadagna in tutto il mondo fuorchè in Italia. Fino a quando l’investitore globalizzato (cioè anch’io) sarà disposto a sopportare una perdita sistematica? Nel mio interesse di investitore, se non cambiano rapidamente le cose, dovrei chiedere la chiusura degli stabilimenti italiani. Ma se questo avvenisse (abbiamo già avuto l’esperienza Alitalia) al di là dei gravi disagi sociali avrebbe un costo per me cittadino che si rimangia ampiamente i maggiori margini dei miei investimenti in azioni. Non è un problema morale, è un problema di interessi economici confliggenti. Ancora più chiaro l’esempio se pensiamo ai vari tipi di fondi che costituiscono buon parte dei mercati finanziari. Da investitore razionale mi aspetto che guadagnino il più possibile e quindi che in un mercato globale vadano dove possono ottenere i migliori risultati. Ma se, come sembra sia successo ad esempio nel 2011, questo comporta un attacco al mio Paese che è costato, anche a me personalmente, un aumento delle tasse, una riduzione dello stipendio, l’allontanamento dell’età pensionabile, la disoccupazione di uno dei miei figli (tutte cose successe realmente in questi anni), allora i conti non tornano. Perché dovrei investire a queste condizioni quando rischio di farmi del male con le mie stesse mani? Altra cosa sarebbe se, ad esempio, il mio condominio mi chiedesse di investire dei soldi per renderci autonomi con energie rinnovabili. Oppure se il mio comune mi chiedesse in prestito dei soldi per fare nuovi laboratori nelle scuole. Oppure ancora se un’associazione imprenditoriale seria e affidabile mi dicesse: abbiamo una decina di nuove imprese, tutte srl, interessanti e promettenti. Vuoi investire su di loro (ovviamente dopo averle conosciute)? In altri termini se oltre alla mano invisibile operasse un po’ anche una mano visibile, trasparente, dotata di senso immediato nell’economia reale e non nella galassia, lontana e ai più oscura, della finanza internazionale forse qualche risparmio “seduto” potrebbe mettersi in movimento. Ma parlando di mano visibile resta da chiederci se la strategia del Governo, che più visibile di così non si può, sarà in grado di dare risposte soddisfacenti alle domande delle diverse componenti della società. Ma su questo ritorneremo.
di Stefano Zan *
di Giovanni Bernardini
di Gianpaolo Rossini