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Che succede alla riforma del terzo settore?

Miriam Rossi - 14.12.2016
Luigi Bobba

Come prevedibile, il sole è sorto comunque in Italia dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre. Tuttavia, con altrettanta prevedibilità, il risultato del voto referendario ha determinato una serie di interrogativi correlati alle azioni del governo rimaste in sospeso dopo che il premier Renzi ha rimesso il suo mandato nelle mani del Presidente Mattarella. Tra queste, la tanto agognata Riforma del Terzo Settore, citata dal presidente del Consiglio nel suo discorso di commiato dinanzi ai cittadini nella notte del 4 dicembre tra i risultati portati a casa dall’esecutivo. Se è senza dubbio un merito dell’amministrazione Renzi quello di aver promosso una riforma di un settore strategico per il Paese, tuttavia è vero che con il voto della Camera dei deputati del 25 maggio scorso è stata approvata solo la legge delega di riforma, che ad oggi manca dei decreti legislativi senza i quali la norma risulta di fatto priva di contenuti.

Dunque, il nuovo esecutivo di Paolo Gentiloni eredita l’onere di elaborazione dei diversi decreti. A parte quello sul servizio civile universale che risulta da fine novembre in attesa di essere esaminato dalle commissioni competenti di Camera e Senato per i prescritti pareri di legge (prima di tornare al Consiglio dei ministri per la deliberazione finale) e che probabilmente quindi vedrà la luce, i decreti fondamentali su impresa sociale, 5 per mille, fisco del non profit, codice unico risultano ancora in alto mare. La deadline resta fissata al 18 maggio 2017, ossia 45 giorni prima della scadenza entro un anno dalla pubblicazione della legge delega 106/16 del 3 luglio scorso. Come per altri decreti legge omnibus, il parlamento potrebbe richiedere una proroga del termine ultimo fino al 2 luglio 2017. Il tempo sembra dunque esserci ma sono molti i timori sulla volontà politica dell’esecutivo incaricato di farlo, che avrà prioritariamente il mandato di portare il Paese al voto, nonché sulla maggioranza di cui godrà questo governo di transito.

“Noi continuiamo a lavorare”, così il sottosegretario al Welfare Luigi Bobba, il più forte promotore della riforma il cui incarico sarà auspicabilmente confermato, interviene sul futuro della riforma del terzo settore all’indomani delle dimissioni di Renzi. Il deputato del PD ha confermato alla stampa che la riforma del terzo settore resta un punto di forte interesse del parlamento e che all’indomani del referendum si è tenuta una riunione del gruppo tecnico sul codice e sul registro unico. Rispondendo a quanti ritengono che la gran parte dei decreti legislativi sia ancora da scrivere oltre che da approvare, Bobba rivela che in realtà i decreti sugli statuti delle fondazioni, sulle reti e sull’impresa sociale sarebbero in via di ultimazione e, in merito all’esame e al voto, si attendeva il completamento della legge di bilancio prima di sottoporli al Consiglio dei ministri.

Se “buttare tutto all’aria ora sarebbe un delitto”, di certo però come scrive Carlo Mazzini, esperto di non profit e attento osservatore del processo di riforma a cui non aveva risparmiato critiche, le dimissioni del governo non dovrebbero intaccare l’approvazione del decreto sul servizio civile, mentre tutti i restanti ben difficilmente potrebbero essere presentati da un governo incaricato di gestire solo le pratiche di ordinaria amministrazione. Anche il suo augurio che “tra tecnici, ministeriali e nuovo governo, questo lungo calvario della riforma del terzo settore abbia fine nel migliore dei modi, ovvero con decreti legislativi efficaci che facciano fare al terzo settore un balzo in avanti” non fa però dimenticare la richiesta incessante di maggiore trasparenza sui nominativi degli esperti chiamati a scrivere i diversi decreti, così da conferire maggiore responsabilità agli stessi, anche in merito alle scadenze previste, e anche un orientamento ai cittadini in merito alle scelte politiche che saranno adottate. Accanto a questa istanza, con una certa perplessità il portavoce del Forum del Terzo settore Pietro Barbieri criticava la mancata chiarezza del sistema di produzione dei decreti che non sembra affatto essere stato avviato da quello di riforma del Codice Civile, da cui discendono tutti gli altri (le reti, l’impresa sociale, etc.). Infine maggiore attenzione si chiede in generale allorché sembra ancora mancare una definizione chiara di quando un ente possa essere definito “senza scopo di lucro”: una lacuna non di poco conto in una legge che ha per oggetto la riforma di questi enti.

In attesa di conoscere in queste ore se il governo Gentiloni riceverà la fiducia da parte di entrambe le Camere, il destino della riforma del Terzo Settore dipenderà non tanto dall’incarico affidato dal Presidente Mattarella o dalla squadra dei ministri ma dalla più ampia volontà politica di portare effettivamente a casa una modifica così necessaria nel tessuto sociale italiano.