Ultimo Aggiornamento:
11 dicembre 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

BCE: eppur si muove

Gianpaolo Rossini - 24.01.2015
BCE Francoforte

L’annuncio è chiaro e i mercati lo hanno compreso e metabolizzato. La BCE acquisterà titoli sovrani e altre obbligazioni per circa 1140 miliardi di euro a partire da marzo 2015 fino quasi a fine  2016. L’obiettivo primario è di riportare la dinamica dei prezzi vicina al 2% annuo impedendo una deriva deflazionistica che è già in parte in atto in quanto i prezzi nell’aera euro in dicembre sono calati in media dello 0.2% su base annua.  Secondo obiettivo è quello di fornire altra moneta al sistema economico assetato di liquidità come non mai. Una sete che non è da tempi normali in cui la liquidità di oggi potrebbe essere anche sovrabbondante. Ma una sete che è tipica di periodi in cui la fiducia degli individui e degli operatori è molto scarsa e tutti seguitano a cercare il più possibile posizioni liquide perché riluttanti ad impegnarsi in investimenti e attività con livelli minimi di rischio. Dopo insistenti richieste da tutto il mondo economico di gran parte dei paesi euro, eccettuate Germania, Finlandia e Olanda la BCE ha vestito la preziosa tela tessuta per mesi dal presidente Mario Draghi e ha deciso di erogare liquidità al sistema in misura certamente significativa attraverso l’acquisto di obbligazioni soprattutto di enti sovrani. Le modalità con cui questo dovrebbe avvenire, come già sottolineato in queste colonne,  sollevano non poche perplessità perché mostrano per l’ennesima volta che la BCE è molto rigida ed è più simile ad una grande nave da crociera in manovra davanti a San Marco che ad una veloce e agile motovedetta della guardia costiera. La prima rigidità consiste nel limitare gli acquisti a titoli che godono di un certo merito. Questo significa escludere potenzialmente Grecia e Cipro. Anche se però è stata saggiamente lasciata aperta una porta per cui, se questi paesi seguono le politiche indicate dalle autorità europee, commissione e BCE, potrebbero accedere alla manna di Draghi. Di positivo si aggiunge una certa apertura del governo finlandese sulla rinegoziazione del debito greco che potrebbe attenuare questa rigidità.  Ma una certa miopia nei confronti dei paesi deboli resta e potrebbe di nuovo mettere a dura prova la presenza di Grecia, ma forse non solo, nell’unione monetaria.  La questione più spinosa è però un’altra, già sottolineata nel mio precedente intervento su queste colonne. Si tratta della ripartizione delle perdite eventuali dovute agli acquisti di titoli sovrani. Il compromesso cui si è arrivati è certamente il massimo che Draghi potesse ottenere ma è un po’ velenoso. Vediamo perché. L’80% del valore dei titoli di stato acquistati andrà iscritto nelle poste delle rispettive banche centrali nazionali che ovviamente vedranno ampliato il loro bilancio molto di più di quello della BCE che invece si manterrà abbastanza snello a dispetto della dimensione notevole della manovra. Questo significa che le banche centrali nazionali riprendono un ruolo che l’unione monetaria aveva quasi del tutto cancellato. Dovranno quindi aggiustare i loro portafogli di attività e (forse) anche la loro politica di riserve valutarie che sembrava congelata in quanto delegata completamente alla BCE. Nel comunicato di Draghi del 22 gennaio questa non sembra del tutto possibile in quanto le manovre delle banche centrali nazionali sembrano dover seguire linee guida della BCE molto strette ma purtroppo per ora per nulla chiare. Di fatto comunque perdite (e forse anche guadagni? ) dall’acquisto sul mercato di titoli saranno caricate sui bilanci delle banche centrali nazionali. Se le banche centrali nazionali acquistano sul mercato secondario, ovvero non alle aste (mercato primario) ai tassi di oggi che sono storicamente molto bassi è molto probabile che finiranno per liberarsi di questi titoli quando i tassi saranno più alti. In quel caso il prezzo di mercato dei titoli sarà più basso di quello di acquisto e quindi ci perderanno. Perché se aumenta il tasso d’interesse di mercato, il corso di un titolo obbligazionario presente sul mercato ma emesso in precedenza a tassi più bassi si riduce sempre. Certo, potrebbe trattarsi di piccole perdite. Ma perdite maggiori non sono improbabili e potrebbero venire anche da rinegoziazioni del debito di qualche paese o altri eventi traumatici. In ogni caso queste verranno caricate sulla banca centrale nazionale che ha acquistato il titolo del suo paese.  Questo renderà gli altri paesi più immuni dal contagio? Nutro seri dubbi. Di certo esacerberà la crisi del paese sotto schiaffo come avvenne per la Grecia nel 2010 il cui mancato salvataggio, che allora sarebbe costato poco ai partners di Eurolandia, nel 2012 invece esplose nel default e nella “rasatura” del debito greco  - o semi default - con costi notevoli per tutto il sistema bancario europeo e per i contribuenti europei.  Insomma con questa modalità di acquisto decentrata e segmentata dei titoli di stato si introducono forme di defederalizzazione della BCE che non erano certo nella mente degli architetti che negli anni 90 del secolo scorso la disegnarono. Per loro la BCE doveva essere una fonte di condivisione del rischio di tutta l’unione. In mancanza di questo pochi paesi avrebbero partecipato. Questa nuova modalità di acquisto di titoli adottata dalla BCE è un po’ come l’aggiunta di un piano ad una costruzione già esistente. Ne deriva uno scempio urbanistico e l’edificio si indebolisce strutturalmente per cui al primo terremoto si trasforma in un mucchio di macerie. Draghi in maniera molto intelligente nella sua conferenza stampa di presentazione delle misure di QE ha ricordato che in altre occasioni ci fu una completa condivisione del rischio di acquisto di titoli da parte della BCE senza che nessuno obiettasse nulla. Ciò avvenne quando la banca centrale olandese fu indennizzata dalla BCE (quindi da tutti noi, Grecia inclusa) per perdite su alcune operazioni fatte per aiutare banche olandesi. Poi quando la banca centrale del Lussemburgo fu indennizzata sempre con denaro di tutti per le perdite dovute a investimenti in banche Islandesi affondate nel 2008. E infine quando attorno alla Bundesbank fu creata una rete di protezione (ad alto rischio) dalla BCE per le perdite che aveva subito in seguito a “molto avveduti” investimenti in Lehman Brothers nel 2008-9. Consoliamoci e stiamo allegri visto che dopo tutto siamo in periodo di carnevale e che per ora i mercati l’hanno presa bene.