«Bastardi Islamici», il titolo di Libero e il limiti del giornalismo
«Bastardi Islamici». Non una chiacchiera da bar, e neppure la manifestazione di una ripulsa individuale, ma il titolo di apertura di un quotidiano nazionale con oltre 104mila copie di tiratura: Libero. La risposta, all’apparenza impulsiva, di certo smodata, all’orrore parigino del 13 Novembre. Forse non è opportuno indugiare su una scelta editoriale che è stata oggetto di una serie di denunce, nonché di una controversa proposta di radiazione dall’albo dei giornalisti professionisti per il direttore del giornale, Maurizio Belpietro. Ma occorre partire da questo episodio, per nulla isolato, ma indubbiamente eclatante, se si vuole affrontare una riflessione sulle libertà e sui limiti del giornalismo: tema delicato, poiché qui si intersecano (e come in questo caso si scontrano) la necessità di assicurare un ampio regime di autonomia all’informazione e quella di prevenire le conseguenze negative di un suo abuso. Partiamo da una premessa: chiunque conosca il mondo dei media sa che l’obiettività giornalistica è un mito che vive al di fuori dalla realtà, nell’empireo della narrazione anglosassone. Di fatto, non esiste. Non necessariamente per malizia, è nella natura delle cose: anche l’informazione più asettica presuppone una scelta di campo o quantomeno una visione specifica della realtà. La selezione delle notizie, la titolazione, il linguaggio: sono tutti aspetti che dipendono dal modo in cui si intende la società. Dunque, dalla collocazione politica della testata (più di rado, del singolo professionista). Nulla è oggettivo. Nulla è neutrale. Questo chiama in causa un secondo elemento, troppo spesso trascurato dal lettore “non addetto ai lavori”: le scelte di cui sopra sono strettamente correlate al pubblico di riferimento. Perché? Perché gli organi di stampa sono prima di ogni altra cosa imprese editoriali, e sarebbe commercialmente folle una presa di posizione che scontenti la maggior parte dei propri lettori, ascoltatori o spettatori. Dovrei dire acquirenti (o bersagli pubblicitari). Può non piacere, ma è la realtà. E riconoscerlo è un’operazione di verità, che può contribuire alla formazione di un dibattito pubblico più maturo. Del resto, non si tratta di oscure macchinazioni, ma di pragmatismo: una testata giornalistica che non cerchi il favore del “suo” pubblico è destinata al fallimento, dunque alla chiusura. A chi gioverebbe? Tutto ciò considerato, risulta più facile inquadrare un titolo di quel genere: era volto a solleticare “la pancia dei lettori”, rispondendo alle loro esigenze, che raramente coincidono con la ricerca di spunti originali. Più spesso reclamano la conferma dei propri pregiudizi. Nulla di strano: lo facciamo tutti. Chi più, chi meno. Perciò non appare convincente la difesa di Belpietro, secondo la quale «bastardo significa figlio illegittimo» e quindi chi lo ha criticato è un ignorante, perché chi conosce la lingua italiana sa perfettamente che «bastardi è un sostantivo» e «islamici un aggettivo». Ergo: Libero non intendeva insultare il mondo islamico, ma ribadire che i terroristi di Parigi erano dei degenerati, che nulla hanno a che fare con l’Islam “in quanto tale”. Giochi di parole. La comunicazione giornalistica è d’impronta prevalentemente divulgativa, e il significato delle parole è sempre quello dell’uso comune. Il giornalismo, insomma, si nutre di messaggi chiari, tutt’al più di messaggi a più livelli, ma non certo di rebus linguistici. Peraltro, se l’interpretazione da dare al titolo in questione fosse quella fornita da Belpietro, ci troveremmo di fronte alla sconfessione di una lunga linea editoriale. E le “rivoluzioni copernicane” sono rare nel contesto dei media. Stabilito questo, dobbiamo rassegnarci all’imbarbarimento progressivo della scrittura giornalistica? Dobbiamo accettare la regola del cinismo, che vuole ogni concetto asservito agli interessi, ogni tono commisurato alla malizia? Forse. Ma serve un limite. Altrimenti, prepariamoci alle peggiori prospettive. E se la si ritiene un’esagerazione, suggerisco un semplice esperimento: sostituiamo una parte del titolo, immaginiamo che un quotidiano d’altro segno abbia aperto con "Bastardi Ebrei", a seguito di un’incursione nella striscia di Gaza. Cosa avremmo pensato? Inno alla libertà di pensiero o istigazione all'odio razziale? Come avremmo reagito? Sì, serve un limite. Perché nell’abisso della Storia si finisce un passo dopo l’altro, una parola dopo l’altra. E basta un nulla per non accorgersi del pericolo, quando ci si considera al sicuro. Però una cosa deve essere chiara: la condanna più severa non può venire dalla magistratura, non deve venire dall’Ordine. Deve essere, prima di tutto, quella dei lettori. Ma perché sia possibile servono educazione e cultura. E in questo campo, checché se ne dica, il giornalismo è impotente.
* Praticante giornalista, ha collaborato con le testate Unimondo.org, con il mensile "Minerva" e con il canale all-news Tgcom24.
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