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Ancora una riforma della legge elettorale

Paolo Pombeni - 11.09.2019
Taglio parlamentari

La scelta sembra essere quella classica fra la padella e la brace: ci riferiamo alla ennesima riforma della legge elettorale che il nuovo governo Conte programma per rendere accettabile il taglio del numero dei parlamentari imposto dai Cinque Stelle. Come si sa quella è una riforma costituzionale a cui manca solo un ultimo passaggio parlamentare per essere approvata. È figlia del populismo becero che considera i parlamentari dei profittatori che occupano poltrone senza averne titolo, sicché meno sono meglio è: si risparmia! Nella passata coalizione la Lega non ebbe problemi a sostenerla per varie ragioni: da quella furbesca che era consapevole che tanto poi ci sarebbe stato un referendum confermativo con buone probabilità che fosse annullata, a quella più politica secondo cui il taglio dei parlamentari a legge elettorale invariata conteneva una svolta implicita verso il sistema maggioritario, il che poteva dare a Salvini quella vittoria secca a cui anelava.

Il PD si era sempre detto contrario a pasticciate torsioni maggioritarie ed aveva votato contro la riforma grillina, ma per concludere il patto di coalizione con M5S ha dovuto accettare che il taglio del numero dei parlamentari rientrasse nel programma di governo ottenendo solo che fosse accompagnato da una revisione della legge elettorale vigente.

Come evolverà questa situazione? Partiamo da una premessa. In sé una riduzione del numero dei parlamentari, magari un po’ meno drastica di quella prevista, non ha nulla di drammatico. Certo sarebbe stato meglio partire da una revisione di quel "bicameralismo paritario" che ha praticamente solo l’Italia e che non serve a molto, se non a raddoppiare il tempo di approvazione dei provvedimenti e lo spazio per mettere mano a manovre di revisione in corso d’opera. Ciò non è al momento possibile, stante l’insensata bocciatura della riforma costituzionale malamente gestita da Renzi e dai suoi. Anzi, a stare alle proposte che circolano, il bicameralismo diventerà ancora più "paritario" perché si uniformeranno le condizioni di accesso sia all’elettorato attivo che a quello passivo per Camera e Senato, dopo di che avremo probabilmente due sedi una fotocopia dell’altra (come era, quella volta grazie alla viscosità delle appartenenze politiche, nella prima repubblica).

Veniamo così al nodo della riforma del sistema elettorale. È una specie di telenovela infinita che ormai da decenni costituisce la prova evidente che il sistema politico non riesce a trovare una forma di stabilizzazione condivisa, sicché ci si affida ai maghi e agli stregoni della manipolazione elettorale per estrarre dal cappello delle urne il risultato che i partiti desiderano.

Puntualmente il dibattito si incentra sulla scelta fra due sistemi: il proporzionale e il maggioritario. Benché per ciascuno di questi esistano varianti anche sensibili, la vera differenza, se organizzati con un minimo di correttezza, 

è la seguente: il proporzionale tende a fotografare e a fissare le quote di consenso che ciascuna forza politica può raccogliere; il maggioritario tende a rendere secca la scelta dell’elettore fra i candidati, più che fra i partiti, a favore di quello maggiorente in grado di catturare la fiducia dei cittadini. Il primo tende a congelare la distribuzione dei voti fra un buon numero di parti in causa. Il secondo a costringere a scegliere un rappresentante (il preferito o il meno peggio) annullando il peso di tutte le scelte che vengono fatte per i perdenti.

Perché parliamo di scelta fra la padella e la brace? Perché entrambi i sistemi, nella situazione concreta dell’Italia, hanno pesanti controindicazioni che dovrebbero suggerire che nessuno dei due porterà ad una stabilizzazione virtuosa. Il proporzionale incita alla frammentazione dei partiti e dei movimenti: ogni gruppo politico interessato sarà incentivato a presentarsi per proprio conto e poi si vedrà in parlamento come formare le maggioranze. Si dice che si potrebbe mettere un limite alla frammentazione introducendo clausole di sbarramento, ma nella attuale situazione italiana è dubbio che già si possa arrivare allo sbarramento del 3%: con LeU al governo che balla intorno a quella soglia e tanti partitini che sono sotto è improbabile che si possa arrivare alla classica soglia significativa del 5%. Se dunque ci sarà una legge elettorale in senso proporzionale aspettiamoci un fiorire di partitini che arriveranno nelle Camere.

Quanto al maggioritario, il problema fondamentale è che è un sistema che va bene se l'alternativa è fra due partiti o fra due blocchi che siano consapevoli che chi vince non è poi l’asso pigliatutto. In un contesto come il nostro in cui i partiti si intestano tutto, la RAI, le aziende pubbliche, il sottogoverno, e quant’altro, la prospettiva di un sistema che metta questa spartizione nelle mani di un solo vincitore non è che sia tranquillizzante. Del resto abbiamo già visto come le forme di maggioritario che abbiamo avuto in passato abbiano operato in questo senso. Senza contare che la natura di scontro bipolare, angeli contro demoni, che implica la contesa in collegi maggioritari creerebbe disastri in un contesto avvelenato dalle varie demagogie come è quello dell’Italia di oggi.

Come si vede la scelta a cui è chiamata l’attuale maggioranza non è di quelle che ci lasciano tranquilli. Del resto rimanere con la legge elettorale vigente, già di suo piuttosto scassata, sarà impossibile dopo il taglio del numero dei parlamentari. Non ci pare però bello pensare che una volta di più l’unica soluzione sia congelare tutto rigettando il taglio col referendum confermativo. Questo paese di riforme e non di congelamenti avrebbe bisogno.