Ultimo Aggiornamento:
30 novembre 2024
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Argomenti

“Forse che sì, forse che no”: la selezione per l'accesso alla facoltà di medicina e chirurgia

Francesco Domenico Capizzi * - 16.09.2020

Fra speranze, sogni, proteste, presunte irregolarità e un pizzico di rabbia il primo settembre scorso si è svolto il concorso nazionale per l’ammissione alle Facoltà di Medicina e Chirurgia. I 66.638 candidati, circa duemila in meno rispetto all'anno scorso, per 13.078 posti disponibili, hanno affrontato la usuale selezione basata su 60 test a risposta multipla da risolvere entro 100 minuti, suscitando, come tutti gli anni, valanghe di critiche per il metodo ed i contenuti proposti, questa volta ancor più per maggiori complessità e insidie riscontrate anche rispetto alle simulazioni disponibili e alle esperienze degli anni scorsi.

La graduatoria, attesa per il 29 settembre, viene stilata sulla base della valutazione seguente: + 1.5 per ogni risposta esatta, - 0.4 per ogni risposta errata, 0 punti in assenza di risposta. Il punteggio minimo totalizzato dall’ultimo ammesso in graduatoria  conduce ad interessanti parametri di riflessione. Di seguito i punteggi minimi totalizzati nel 2019 in tre sedi del nord e del sud-Italia: Pavia 51.8, Milano 51.8, Bologna 51.1; Napoli 41.7, Catanzaro 41.5, Messina 41.4. Si ritiene che quest’anno il punteggio minimo per ottenere l’ammissione si attesterà a 39 (2.4 in meno del 2019, 22 in meno del 2018) viste le maggiori difficoltà riscontrate nella formulazione dei test. A parte “il livello troppo elevato delle domande”,  le risposte predisposte “erano molto simili tra loro ed era davvero facile leggi tutto

Università: investimenti e organizzazione della didattica

- 20.06.2020

La didattica a distanza ha consentito di salvare l’anno accademico con buoni risultati in quasi tutti gli atenei. Ora occorre guardare al prossimo semestre con un occhio al futuro. Le università potrebbero fornire soluzioni utili anche per altri settori dell’istruzione e dei servizi trasmissibili. Non sarà però facile. Una malintesa concorrenza tra atenei e un grado di autonomia eccessivo tendono a produrre soluzioni diverse anche tra atenei pubblici vicini territorialmente generando confusione e complicazione burocratica. Basti pensare alle infinite modalità per il reclutamento dei professori e dei ricercatori che ogni ateneo ha voluto dipingere con la sua bandiera complicando i compiti dei commissari, riducendo trasparenza e confrontabilità dei risultati nella penisola.  E’ un peccato che il mondo accademico non riesca a contribuire alla semplificazione e alla sburocratizzazione.  L’organizzazione della didattica per il semestre che ci aspetta  a settembre può essere occasione di riscatto. Le incertezze sanitarie dovrebbero indurre a percorsi semplici e omogenei per tutti gli atenei del paese. Basterebbero un unico principio e un programma di più lungo respiro. Il principio è quello di garantire da subito didattica a distanza per tutti gli insegnamenti per i quali è possibile in tutta Italia. Questa decisione va seguita da interventi immediati a favore leggi tutto

In difesa della “società aperta”: la Central European University (CEU)

Carola Cerami * - 28.08.2019

Il sociologo Ralph Dahrendorf, nella raccolta di saggi La società riaperta, ci ricorda che le “società aperte”, sono quelle che consentono il tentativo e l’errore, il cambiamento e l’evoluzione. Società pluraliste, in grado di ampliare le opzioni, dotate di una sana e robusta società civile capace di esprimere sé stessa attraverso il “caos creativo” delle associazioni, delle istituzioni religiose, delle forme artistiche, delle istituzioni educative e sportive, ambientali e di volontariato. Società che promuovono e tutelano la libertà di stampa e i diritti umani e permettono la migliore espressione della cittadinanza.

La difesa della società aperta, e con essa l’aspirazione alla formazione di “menti libere, in una società libera”, ha costituito la missione prioritaria della Central European University (CEU), sin dalla sua creazione nel 1991. La CEU deve le sue origini non soltanto al filantropo statunitense-ungherese George Soros (allievo di Karl Popper alla London School of Economics and Political Science e attivo sostenitore dei valori della “società aperta”), ma anche, e soprattutto, alla partecipazione di studiosi di fama internazionale, fra questi si ricordano Ernest Gellner e Alfred Stepan (primo Rettore). La CEU è stata fondata con l'obiettivo di incoraggiare, attraverso l'educazione, il processo di transizione democratica nell'Europa centrale e orientale. leggi tutto

Tiro al piccione sull’università

Michele Iscra * - 30.09.2017

La incredibile vicenda dell’incriminazione di un cospicuo numero di docenti di diritto tributario accusati di avere manipolato dei concorsi (che poi come vedremo concorsi non sono) è diventata l’occasione per il consueto tiro al piccione sull’università italiana e sulle pratiche familistiche e corruttive che vi allignano.

E’ abbastanza curioso che quelli che parlano nella maggioranza dei casi non sappiano esattamente di cosa si discute. Infatti l’accusa di manipolazione di un giudizio non riguarda il concorso per la copertura di un posto, ma i giudizi di abilitazione che danno solo un diritto astratto a poter concorrere in seguito per la copertura di un posto. Insomma, per i non specialisti, sono qualcosa come una laurea, che non da alcun posto, ma solo la possibilità di concorrere poi per ricoprirne uno.

Quando è stato introdotto questo meccanismo c’è stato un dibattito se le commissioni potevano abilitare tutti quelli che lo meritavano o se dovevano avere a disposizione un numero limitato di abilitazioni da distribuire. Proprio per evitare che scattasse il vizietto per cui in presenza di numeri limitati si poteva avere la tentazione di darli ai “propri” lasciando fuori magari altri più bravi si è opportunamente optato per non porre limiti: per abilitare i propri non leggi tutto

Cattedre Natta: una complicazione inutile

Michele Iscra * - 05.11.2016

La ragione per cui il governo ha deciso di istituire le cattedre eccezionali intitolate a Natta è incomprensibile: nelle finalità, nei modi, nella gestione. E’ un pessimo esempio di come in politica ormai dominino circoli di cosiddetti esperti che dietro le quinte approfittano, temo, dell’ingenuità dei politici di turno per convincerli a fare mosse apparentemente spettacolari, ma in realtà prive di contenuto.

La finalità dell’operazione dovrebbe essere quella di mostrare che in Italia si rompe il cerchio delle chiamate non solo per familismo, ma per trend routinario. Il sistema universitario, come qualsiasi sistema, alleva personale per gestire il turn over. Lo ha sempre fatto per cooptazione e non sarebbe neppure questo il problema più grave. Il fatto è che la cooptazione non avviene a livello di sistema, dunque con un minimo di controllo di qualità e compatibilità, ma a livello di singoli: più o meno ad ogni docente è data la possibilità di fruire di un po’ di precariato (borse, assegni e quant’altro) sicché si formano sacche di personale in attesa del miracolo di poter entrare in pianta stabile.

Poiché è evidente che l’alto numero ormai di docenti stabili non può dare alcuna garanzia di filiere ragionevoli (più che maestri ci sono tanti autoproclamati maestrini che per status symbol non rinunciano a “farsi l’assistente”) si è creato un meccanismo in troppi casi assistenziale. leggi tutto

Dalla Brexit una sfida per l’Università italiana

Massimo Piermattei * - 16.07.2016

Lo shock seguito alla Brexit ha rimesso al centro del dibattito italiano ed europeo l’Ue, le sue istituzioni, le politiche che attua, i limiti e le contraddizioni che la caratterizzano nel tempo presente. Forse per la prima volta, più che in occasione delle vicende legate alla Grecia, ci si è resi conto di quanto sia profondo e complesso il legame tra uno Stato membro (i cittadini, le istituzioni locali, le imprese, ecc.) e l’Ue. La complicata procedura di uscita del Regno Unito, la posizione della Scozia di Nicola Sturgeon, gli interrogativi posti dagli “emigrati” dai Paesi membri Oltremanica, sono tutti esempi che evidenzianola problematicità della situazione; problematicità che per essere studiata e compresa ha bisogno di conoscenze e competenze specifiche – si pensi a quanto si è parlato dell’art. 50 del Trattato, tema finora sconosciuto ai più.

In un contributo pubblicato su «Mente Politica» a inizio febbraio si era segnalata l’assenza generale dell’Accademia italiana, e in particolare degli storici, dal dibattito pubblico e mediatico in Italia sulla Ue e sulle sue crisi – sono “altri” che parlano di Europa, non di rado approcciandosi per la prima volta a questi temi. In questa prospettiva, la Brexit può essere l’occasione per invertire la tendenza e per rimettere al centro di diversi percorsi formativi leggi tutto

Renzi, il populismo e l’università italiana

Giovanni Bernardini - 15.10.2015

Cos’è questo populismo di cui i media si riempiono la bocca e contro il quale allertano l’opinione pubblica? Certamente populista è la deriva xenofoba caldeggiata da molte forze politiche europee indipendentemente dal loro grado di presentabilità. Lo è altrettanto la fuga da una seria analisi della realtà per trovare rifugio nel complottismo che impazza nel discorso pubblico. L’odio senza compromessi per il diverso, per nemici invisibili e inclassificabili (rivelati soltanto da leader che “vedono più lontano”) sono fantasmi che hanno già visitato le stagioni più nere di questo continente, e che si spera abbiano lasciato anticorpi sufficienti a prevenire ricadute. Tuttavia i casi appena citati sono manifestazioni episodiche di un fenomeno più ampio e sfuggente. Perché prima ancora di riempirsi di contenuti, il populismo è innanzitutto forma, metodo, approccio alla politica. Questo populismo ha come marchio la pretesa identificazione tra un leader e un intero popolo: il primo portavoce dei “reali” bisogni del secondo, contro “caste e potentati” e più ancora contro regole e procedure vissute come fastidiosi intralci. È la tentazione permanente delle spiegazioni e delle soluzioni facili, immediate, appetibili per i bassi istinti e redditizie in termini di consenso; è la mobilitazione di un epidermico risentimento anti-intellettuale contro chi, invece, avrebbe il compito di mettere in guardia sulla complessità del reale e contro illusorie scorciatoie. leggi tutto

Le mani sull’università.

Novello Monelli * - 24.09.2015

Di riforma in riforma

 

L’intervento di Francesca Puglisi, comparso in parallelo sulle pagine de “Il Messaggero” e “Il mattino” del 21 settembre, ha aperto ufficialmente la campagna autunnale dell’ennesima riforma universitaria. Pochi governi della cosiddetta Seconda Repubblica hanno perso l’occasione per portare il proprio contributo allo smantellamento del sistema della ricerca e della formazione superiore. Non uno ha mai saputo affrontare (se non a parole) i reali problemi delle università e della rete degli istituti di ricerca: un cronico sottofinanziamento, aggravato da un dissennato ricorso ai tagli lineari, e un meccanismo di reclutamento dominato da clientelismi di varia natura o da logiche familistiche, raramente dalla volontà di promuovere il merito e l’originalità. A netto degli slogan di prammatica («vogliamo ridare importanza a istruzione e ricerca»), le rivoluzioni copernicane immancabilmente messe in campo da ogni esecutivo hanno portato a molte perdite di tempo, per adempiere a sempre nuovi obblighi burocratici, ma a pochi miglioramenti effettivi. Le due migliori conquiste di questi anni turbolenti sono state il principio di uno sbarramento selettivo in ingresso, che ha portato all’abilitazione scientifica nazionale, e l’esigenza di assicurare una valutazione costante al livello di produzione della ricerca e della didattica, che si esprime nella VQR. Si tratta di due istituti perfettibili, senza dubbio, ma che hanno almeno il merito di tentare un primo passo verso l’articolazione di un sistema sano, dove chi insegna e fa ricerca è il più bravo, non il più affine per prossimità ideologica o parentale. leggi tutto

Riparte l’università?

Michele Iscra * - 20.08.2015

Piuttosto in sordina, almeno nei media perché  è ormai questione che interessa una nicchia, sta rimettendosi in moto il meccanismo che dovrebbe dinamicizzare il nostro sistema universitario. La procedura per la valutazione della ricerca nel periodo 2011-2014 da parte dell’ANVUR è ormai avviata in forma ufficiale. E’ stato anche annunciato che si riattiverà una tornata per il conseguimento delle “abilitazioni nazionali”, sia pure con una serie di novità non tutte ancora chiare (salvo la cosiddetta “procedura a sportello”, cioè la possibilità di presentare domande durante un biennio senza scadenze uniche prefissate) e con tempi non proprio rapidi.

Si tratta di due interventi senza dubbio rilevanti. Il primo soprattutto perché consolida la scelta di responsabilizzare il sistema accademico a rendere conto della sua produttività, sempre nella speranza che poi di queste rilevazioni si tenga conto almeno nella distribuzione delle risorse (per la verità in parte lo si è fatto, ma bisogna osare un po’ di più). Il secondo perché consente che non si perpetuino disparità generazionali fra chi aveva conseguito le abilitazioni nella prima tornata e dunque poteva valersi per la propria carriera di quelle valutazioni e chi non aveva potuto farlo (o a volte era stato penalizzato da commissioni che non sempre hanno agito nel modo più condivisibile). leggi tutto

Università: non bastano le classifiche

Michele Iscra * - 25.07.2015

Nel momento in cui gli studenti e le famiglie devono decidere, terminata la fase della maturità, quale ateneo scegliere per affrontare l’ultimo livello della loro formazione arrivano le classifiche sulle varie sedi. E’ uscita quella de “Il Sole 24 Ore” seguita subito da quella di “Repubblica” su dati del Censis.

E’ un meccanismo che ormai ha acquisito una certa tradizione ed è stata senz’altro una innovazione utile. In una fase in cui le risorse finanziarie scarseggiano e di conseguenza gli atenei hanno gran bisogno di non perdere studenti, perché le tasse sono una entrata importante, Senati accademici, Rettori e Consigli di Amministrazione una certa attenzione a questi posizionamenti la concedono e di conseguenza orientano almeno in parte spesa e investimenti. Soprattutto è molto utile che si riaffermi il fatto che tutti devono abituarsi ad essere giudicati: non è un principio facile da far accettare all’accademia, ma è un passo avanti assolutamente necessario.

Certo esistono tante scappatoie per sottrarsi al peso di questi giudizi, come ne esistono per trarne stimolo per l’immobilismo. La più facile delle prime è rifugiarsi nella considerazione che sono valutazioni fatte su parametri numerici, per loro natura abbastanza astratti. Per dire: nel valutare l’internazionalizzazione,  che uno mandi studenti all’università di Cambridge o a quella di Tuzla cambia poco, conta il numero di scambi Erasmus (oggi hanno un altro nome, ma si continua a chiamarli così), così come conta quanti docenti dall’estero si chiamano per un periodo sufficientemente lungo. Poi nessuno valuta che un docente di alto livello è difficilissimo spostarlo, specie facendolo venire in Italia, leggi tutto