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27 marzo 2024
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Argomenti

Daniel Berrigan (1921-2016). Un uomo contro la guerra

Claudio Ferlan - 07.05.2016

Sabato scorso, 30 aprile, è scomparso all'età di novantaquattro anni il padre gesuita Daniel Berrigan. Il titolo scelto dal New York Times per annunciare la notizia lo descrive come “il prete che predicò il pacifismo”. Berrigan è stato un simbolo dell'azione politica di quella che negli Stati Uniti è stata chiamata la “nuova sinistra cattolica”.

 

I nove di Catonsville

 

L'opinione pubblica mondiale lo conobbe soprattutto per una clamorosa azione di protesta contro la guerra in Vietnam. Assieme al fratello Philip e ad altri sette attivisti cattolici entrò nel Centro di reclutamento di Catonsville in Maryland (17 maggio 1968) per bruciare le lettere di chiamata alle armi. La portata emblematica del gesto fu rinforzata dalla scelta di incendiare le carte usando del napalm fatto in casa.

Fu un'azione drammatica che contribuì alla crescita della protesta contro la guerra in Vietnam in tutti gli Stati Uniti, caratterizzata in seguito da sempre più frequenti  proteste e atti di disobbedienza civile. I “nove di Catonsville” furono condannati alla reclusione per distruzione di proprietà statale, ma si nascosero in clandestinità. Scoperti e catturati, furono effettivamente incarcerati. Daniel Berrigan scontò due anni di pena nella prigione federale di Danbury, dove ricevette anche la visita del generale della Compagnia di Gesù, Pedro Arrupe, uomo che nella propria esperienza missionaria aveva vissuto la scioccante esperienza della bomba atomica a Hiroshima. leggi tutto

Perché Donald Trump può diventare presidente degli Stati Uniti

Francesco Maltoni * - 07.05.2016

Ormai non ci sono più dubbi: a contendersi la presidenza degli Stati Uniti d'America per i prossimi quattro anni, saranno l'ex first lady Hillary Clinton e il magnate Donald Trump. La certezza, per i Democatici, è già arrivata nelle scorse settimane, con le affermazioni in serie del già segretario di Stato nella costa est e in particolare a New York. Gli avversari di Trump, invece, hanno cercato invano di prolungare la battaglia contro l'inarrestabile “marziano” che ha invaso il loro campo, mandando all'aria qualsiasi progetto di ritorno dell'establishment. Anche gli ultimi due sfidanti John Kasich e Ted Cruz hanno alzato bandiera bianca di fronte allo strapotere del milionario più chiacchierato del mondo. Se per Kasich il ritiro sembrava un atto dovuto – si è infatti imposto nel solo Ohio, Stato federale di cui è governatore – assai meno attesa era la rinuncia di Cruz, che fin dai caucus dell'Iowa si era dimostrato il solo in grado di impensierire Trump. A maggior ragione, ancor più sorrprendente è come lo stop alla sua campagna sia arrivato pochissimi giorni dopo aver annunciato il ticket con Carly Fiorina – altra ex candidata alla presidenza ed ex amministratire delegato della Hewlett-Packard. Evidentemente, per il rivale numero uno di Donald Trump aver perso le primarie anche in Indiana, dove è ampia la fetta di elettori evangelici – che rappresentano da sempre il suo zoccolo duro di consenso - deve aver costituito uno smacco troppo forte sul piano personale, con il divario dei delegati che si allarga ormai in maniera irreparabile. leggi tutto

Dopo il voto di New York: qualche cosa è cambiato?

Gianluca Pastori * - 21.04.2016

I risultati delle primarie dello Stato di New York, se non mettono la parola ‘fine’ alla corsa per la nomination presidenziale, quanto meno consolidano in modo importante la posizione di Hillary Clinton e di Donald Trump, che si accreditano sempre più come i frontrunner per la corsa del prossimo novembre. Il rassicurante margine con cui l’ex Segretario di Stato si afferma sul rivale Sanders fa giustizia delle proiezioni che davano i due avversari assai più vicini e le permette di portare a 1930 i delegati a suo favore a fronte di un quorum di 2383, contro i ‘soli’ 1189 di Sanders e i 136 ‘uncommitted’ che si riservano di decidere in sede di convention nazionale su quale candidato dirottare il proprio voto. Sul fronte repubblicano, i meccanismi che presiedono alle primarie nello Stato, che fissano una soglia minima di consensi perché i candidati possano accedere alla ripartizione dei delegati, fanno sì che Ted Cruz, con il 14,5% circa dei consensi, si ritrovi escluso da questa, che finisce dunque per premiare Trump (che con il 60,5% dei consensi incamera 89 delegati e si porta a 845 su un quorum di 1237) e per ‘bruciare’ i tre delegati che il 25% circa dei consensi assegna a John Kasich. leggi tutto

Le elezioni primarie

Luca Tentoni - 12.03.2016

È tempo di primarie. Negli USA, repubblicani e democratici stanno scegliendo i loro candidati alla Casa Bianca. In Italia, più modestamente, sono stati recentemente selezionati - in un modo tecnicamente diverso – coloro i quali rappresenteranno il centrosinistra alle “comunali” nelle maggiori città italiane. A Milano, Roma e Napoli l'ultima parola sugli aspiranti sindaci è stata detta dai partecipanti a consultazioni popolari aperte, cioè non riservate ai soli iscritti ai partiti della coalizione ma allargate alla platea dei simpatizzanti. Come sempre, torna il dibattito sull'utilità delle "primarie", sulla maggiore o minore affluenza, sulla qualità delle candidature, persino sull'opportunità politica di svolgerle (si veda il caso delle "regionali" in Liguria nel 2015). Uno degli ostacoli - a nostro avviso - nell'analisi di questa modalità di scelta delle candidature a cariche pubbliche elettive sta nell'attribuire allo strumento una connotazione positiva o negativa. Ci sono, certo, meccanismi che vanno messi a punto a seconda dei tipi di elezione ai quali si riferiscono. Anche il contesto politico-sociale è importante. Inoltre, quando c'è un eletto uscente che si ricandida, si può e forse si deve evitare (com'è successo a Torino per Fassino) di attivare il meccanismo delle "primarie". In sintesi, le primarie sono come i sistemi elettorali: uno strumento, non un fine. Non risolvono problemi se il contesto è difficile. Come scrive molto bene Luciano Fasano sull'ultimo numero del "Mulino" (1/2016) "le primarie funzionano secondo una logica garbage in/garbage out: se entra spazzatura non può che uscirne nuovamente quella". leggi tutto

Apple vs. FBI : cavalieri contro sceriffi nella tradizione del western americano

Patrizia Fariselli * - 12.03.2016

Nelle scorse settimane un nuovo dilemma si è aggiunto alla serie dei degli aut-aut sui quali il cittadino italiano è chiamato a esprimere al risveglio la sua partecipazione politico-sondaggista: con Apple o con FBI?  Cerchiamo di capire se è un’alternativa sensata.

 

I fatti

 

Il 16 febbraio 2016 la giudice federale USA  Sheri Pym della Corte per il Distretto Centrale della California, in merito all’inchiesta condotta da FBI sulla strage di San Bernardino del 2 dicembre 2015 (14 morti e 21 feriti), ordina ad Apple di assistere gli agenti nella perquisizione dell’iPhone 5C di Syed Rizwan Farook, autore della strage insieme alla moglie, ai sensi dell’applicazione dell’All Writs Acts, un provvedimento del 1789 (emendato più volte da allora) che autorizza le corti federali USA a emanare le ordinanze necessarie o appropriate all’applicazione delle rispettive giurisdizioni, qualora non siano percorribili alternative giudiziarie. La richiesta deriva dal fatto che gli inquirenti avevano inutilmente tentato di sbloccare l’iPhone, rendendo impossibile l’accesso ai dati e il loro backup. L’ordinanza (https://assets.documentcloud.org/documents/2714001/SB-Shooter-Order-Compelling-Apple-Asst-iPhone.pdf) esplicita le condizioni della collaborazione per poter procedere a un attacco di brute force, che consiste in una successione velocissima di combinazioni fino a trovare quella di sblocco, bypassando il sistema  di protezione in uso sull’iPhone 5C, che invece è programmato per rallentare l’inserimento delle password e occorrerebbero oltre 5 anni per esperire tutti i tentativi possibili, e disabilitando la funzione di cancellazione dei  dati dell’account dopo un certo numero di  tentativi in caso fosse attivata. leggi tutto

Dopo il super Tuesday: capire il “fenomeno Trump” per sconfiggere Donald Trump

Francesco Maltoni * - 03.03.2016

Fino a poche settimane fa, ipotizzare Donald J. Trump candidato alla Casa Bianca era un esercizio piuttosto fantasioso. La sua figura, si pensava, era destinata a durare fintanto che gli indugi non si fossero rotti con le vere votazioni: un abbaglio mediatico, insomma, in attesa delle primarie. Ma ora, con il Super Tuesday alle spalle, il magnate detiene ufficialmente la più seria ipoteca sul tavolo dei Repubblicani alla nomination per le presidenziali.

 

In queste ore, sembra di assistere a due Americhe differenti: nei talk shows, sui siti online o i social media tutti si interrogano sulla migliore strategia per fermare Trump, per evitare la minaccia di una sua candidatura e di una, a questo punto possibile, elezione. Dall'altro canto, c'è un altro Paese, che a tutte le latitudini, dall'ovest infarcito di latinos del Nevada fino al sud prettamente afroamericano della Carolina, vota in maggioranza per il miliardario newyorchese, rafforzandone, caucus dopo caucus, primaria dopo primaria, le mire su Washington.

 

Solo venendo a capo di questa ambivalenza sarà possibile capire fino in fondo il fenomeno Trump, in un Paese che, in base agli indicatori, ha messo brillantemente alle spalle la crisi economica, arrivando a rivedere al rialzo le stime di crescita anche per l'anno in corso e abbattendo sensibilmente il tasso di disoccupazione. leggi tutto

Lincoln: i dilemmi di una leadership

Paolo Pombeni - 20.02.2016

Per tutti gli appassionati storia e di politica il volume che Tiziano Bonazzi ha dedicato al presidente della guerra civile americana è una lettura da non perdere (T. Bonazzi,  Abraham Lincoln. Un dramma americano, Bologna, Il Mulino, 2016, pp. 306, € 22). Prima di tutto perché è un libro scritto in maniera splendida, il che purtroppo sta diventando raro. L’autore crea un gioco di sfondi e di primi piani sul suo eroe che non solo è molto godibile, ma che ci porta davvero “dentro” una storia tutt’altro che semplice da dipanare.

Bonazzi è un grande specialista di storia americana, ma è uno di quegli specialisti che comprendono come i lettori non lo siano e quindi come abbiano bisogno di essere introdotti in un mondo che non è il loro: non solo perché si parla di un altro continente e di un’altra cultura, ma perché si parla di un’altra epoca, che va dagli inizi dell’Ottocento sino al 1865. Non è uno spazio di tempo breve come sembra, perché in quel lasso temporale cambia il mondo: gli Stati Uniti passano dall’universo della colonizzazione britannica con i suoi retaggi culturali, alla fase del grande stato che deve costruirsi come “nazione” inglobando la “frontiera” e il sistema economico di piantagione, l’industrializzazione e il commercio su larga scala, la religione del puritanesimo cristiano e quella del risveglio evangelico. leggi tutto

Due ragioni per non buttare l’Europa nel vortice della crisi

Gianpaolo Rossini - 11.02.2016

Predicare in mezzo alle tempeste finanziarie in favore dell’Europa ricorda la preghiera di Paolo durante il naufragio dal quale si salvò approdando fortunosamente a Malta. Certo le difficoltà sul cammino dell’integrazione che sono scoppiate dalla primavera del 2010 sembrano essere tutte ancora lì e averne generate di nuove per le quali la soluzione appare ancora più lontana di prima. Sul piano finanziario l’area euro e il resto della Ue rappresentano un mercato tra i più aperti del globo. Il che può essere un vantaggio ma anche un’ipoteca in momenti in cui le correnti speculative sono travolgenti. Se questo l’Europa non può tornare indietro, occorre sapere che una forte esposizione richiede anche difese adeguate. Per tutti e non solo per i paesi che in un particolare momento sembrano più deboli.

Consideriamo due temi caldi per l’integrazione europea.

Il primo, sottolineato dal presidente della BCE Mario Draghi, e sul quale più volte mi sono soffermato su questo periodico, tocca l’ assicurazione federale sui depositi, fino a 100000 euro, ricordandoci che negli Usa (la FDIC) arriva invece a 200000 dollari.  Questa assicurazione, negli Usa, garantisce i depositanti nel caso la banca fallisca. E’ basata su fondi federali e quindi su base geograficamente mutualistica. leggi tutto

Primarie USA 2016: vittorie per Sanders e Trump. L’Antipolitica varca l’Atlantico

Francesco Maltoni * - 11.02.2016

Dal New Hampshire arriva il doppio – e annunciato – schiaffo ai vertici del partito Repubblicano e Democratico. Grazie alle vittorie nette di Donald Trump, da una parte, e Bernie Sanders, dall’altra, il dibattito americano fa i conti in maniera ufficiale, per la prima volta, con quel fenomeno planetario ormai impropriamente chiamato “antipolitica”. Un vento che ha trovato spinta, nel piccolo Stato della regione del New England, in due candidati agli antipodi, pronti a calcare la mano sui temi più radicali per sfidare apertamente un establishment mai tanto confuso, specie in area repubblicana. L’unico aspetto in comune tra i due vincitori è la fascia anagrafica: 74 anni il democratico senatore del Vermont, 69 per l’uomo d’affari prestato alle presidenziali. Non proprio la fase della vita in cui si progettano rivoluzioni, verrebbe da dire.

Rispettando i sondaggi della vigilia e gli exit poll, Sanders ha agevolmente superato Hillary Clinton di oltre venti punti – 61% contro il misero 38% raccolto dall’ex first lady – favorito dall’elettorato femminile e prevalentemente giovane, zoccolo duro del suo seguito elettorale. Durante il discorso di celebrazione della vittoria in New Hampshire, l’anziano candidato “socialista” – come ormai viene bollato da larga parte dei media – ha nuovamente dimostrato di sapersi accattivare le simpatie delle età più basse della popolazione, facendo il verso alla propria imitazione del famoso programma tv satirico “Saturday Night Live”. leggi tutto

Iowa means nomination? L'attendibilità dei caucus che aprono le danze

Francesco Maltoni * - 06.02.2016

Il momento più atteso, infine, è arrivato. Ieri notte si sono tenuti i tanto annunciati caucus dell'Iowa, primo vero banco di prova per gli aspiranti alla carica di presidente degli Stati Uniti d'America.

 

Tradizionalmente, il tranquillo Stato del midwest fa parlare di sé ogni quattro anni perché ospita il via ufficiale alle primarie: d'ora in poi, sia in campo repubblicano che in quello democratico, sarà una gara a eliminazione in cui non mancheranno frecciate e colpi bassi se, come sembra, le nomination dovessero rimanere in bilico fino all'ultimo.

 

Ma come valutare affidabili i risultati dei caucus in Iowa? Davvero sono uno dei termometri più fedeli per valutare le chance di vittoria dei singoli candidati? Intanto, è bene precisare due aspetti, i quali da una parte aumentano l'importanza dell'appuntamento, ma, insieme, la ridimensionano: dopo mesi di dichiarazioni e sondaggi, si tratta del primo, vero test elettorale. D'altro canto, però, va ricordato che i caucus si svolgono secondo un complicato sistema di votazione, al quale non partecipa il popolo votante in senso stretto, ma solo i dirigenti e gli attivisti dei singoli partiti. Sono, dunque, attendibili anzitutto per valutare il clima all'interno dei vari schieramenti, specie negli anni più difficilmente pronosticabili, come pare il 2016. leggi tutto