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I dazi di Trump: una ragione in più per tenerci l’euro
Tra poco scattano i dazi di Washington su acciaio e alluminio europei. L’amministrazione Usa non si ferma e, anche se negozia con tutti, non recede dalle politiche restrittive annunciate da Trump. I dazi sospesi qualche settimana fa per Ue e partner Nafta, (Messico e Canada) che insieme coprono quasi il 50% del consumo americano dei due metalli, ora sono realtà. La giustificazione è la sicurezza nazionale. Il ministro del commercio Ross dichiara che solo un’economia forte è sicura. Quindi ogni politica protezionista che sostenga le imprese americane può essere adottata con questa stringa un po’ farlocca ma che serve ad evitare l’intrusione del WTO. Il vecchio continente contava sul suo ruolo di alleato strategico nella Nato tirando in lungo i negoziati. Ma questo non è servito. Sul versante delle relazioni con la Cina sembrava essere stato raggiunto un accordo con un impegno del dragone a tagliare il surplus di conto corrente della bilancia dei pagamenti con gli Usa, che dura dal 1985, di quasi la metà, da 400 a 200 miliardi di dollari annui. Washington ritiene queste promesse generiche e prepara dazi contro le importazioni cinesi. Per l’Europa non è finita e all’orizzonte ci sono dazi sulle auto e altri manufatti con la medesima giustificazione.
Quali sono gli obiettivi della leggi tutto
L'enigma della Siria
Le notizie risuonano drammatiche come solo i bollettini di guerra sanno fare, gli attacchi missilistici notturni, tuttavia, erano l'opzione a minor impatto a disposizione di Stati Uniti, Regno Unito e Francia per agire in termini bellici. Da una parte danno il contentino agli interventisti occidentali dall’altra riescono a evitare lo scontro con la Russia, e alla fine non incideranno in alcun modo sul risultato della guerra siriana, che perdura indisturbata da sette anni.
A Trump, Macron e May riuscirà così di recitare il ruolo dei duri, Assad continuerà a uccidere i siriani impunemente e molto probabilmente con armi chimiche ma ora potrà sventolare la bandiera della vittima, Putin potrà dare la colpa all’Occidente. Fuochi d’artificio, poco di più, nessuna strategia di medio o lungo termine, nessuna volontà politica reale di salvare vite umane.
Ma perché Trump ha impiegato così tanto tempo a reagire in Siria? Per una serie di motivi, non ce n’è mai uno solo: innanzitutto perché è stato preso di sorpresa da ciò che riteneva improbabile, ossia che Assad venisse colto di nuovo in fallo. Poi perché la sua amministrazione, esattamente come quella di Obama, non aveva e non ha alcuna prospettiva di lavoro né emergenziale né, e tanto leggi tutto
Se avesse ragione Trump sugli investimenti pubblici?
Trump spinge sugli investimenti destinandovi 200 miliardi federali. Sul NYT del 12 febbraio il premio Nobel Krugman banalizza in quanto sarebbe solo una compensazione a tagli ai ministeri di Trasporti ed Energia. Nella seconda parte dell’articolo Krugman è però meno pessimista. La spesa federale potrebbe trascinare quella pubblica locale e quella privata. Con effetti moltiplicativi da 1000 a 1500 miliardi di investimenti totali pubblici e privati. La necessità di nuove infrastrutture di trasporto, distribuzione e produzione di energia è avvertita da larga parte degli americani e spinge il consenso al presidente. In questa manovra molti economisti intravvedono però una espansione del deficit pubblico Usa, già sotto stress per la riforma fiscale che taglia l’imposta sugli utili d’impresa. Se usiamo l’odiosa bilancia di Maastricht il quadro è ancora più fosco. Il vero debito pubblico Usa è quello federale più quello delle amministrazioni locali. Mentre il riferimento è sempre a quello federale. Il reale debito pubblico supera in percentuale quello del bel Paese attestandosi a circa il 134% sul Pil. Ma al funambolico Donald non sembra fregare molto dei conti pubblici facendo infuriare oppositori ed economisti, al solito con musi lunghi. La reazione delle imprese, vicine a Trump, è positiva. La mossa di Donald dà una ulteriore spinta all’economia Usa e piace nelle leggi tutto
Una Chiesa rivivificata. Il pensiero di Blase Cupich, arcivescovo di Chicago
Il settimanale cattolico inglese The Tablet ha pubblicato nei giorni scorsi una lunga intervista con il cardinale Blase Cupich, arcivescovo di Chicago, molto interessante soprattutto nella sua analisi della portata rivoluzionaria del pontificato in atto. In verità, sono state diverse le interviste a Cupich fatte da giornalisti inglesi, in occasione di una lezione da lui tenuta presso l’Istituto Von Hügel del St. Edmund College di Cambridge e intitolata La rivoluzione della misericordia di papa Francesco: Amoris Laetitia come nuovo paradigma della cattolicità.
Blase Cupich
Cupich, nominato cardinale il 9 ottobre 2016, è considerato uno dei più eminenti rappresentanti della Chiesa liberal degli Stati Uniti e la scelta di Francesco di affidargli l’arcidiocesi di Chicago nel settembre 2014 fu accolta con sfavore e preoccupazione dagli ambienti conservatori americani e da quei siti internet pronti ad accusare il papa di eresia, li stessi che Bergoglio stesso ha recentemente affermato di non leggere per salvaguardare la propria salute mentale. Cupich ha fatto discutere in passato per alcune sue nette prese di posizione: da vescovo di Spokane, (Washington), per esempio, proibì al proprio clero di prendere leggi tutto
La Conferenza internazionale sul clima (COP 23): cercasi notizie.
È davvero impresa assai ardua per chi si affida alla informazione dei media tradizionali, (e non ama o non può rincorrere in rete siti e blogger di varia natura, in questo caso occorre indirizzarsi a quelli di orientamento tendenzialmente "ambientalistico"), fare il punto sui risultati di COP 23, recentemente conclusasi a Bonn (18 novembre) e tenutasi sotto la presidenza delle Isole Fiji. Questo ventitreesimo appuntamento annuale della Conferenza delle Parti (COP), nata dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, (UNFCCC: United Nations Framework Convention on Climate Change), ha avuto un impatto mediatico incomparabilmente minore rispetto ai due ultimi appuntamenti precedenti: COP 21 (Parigi: dicembre, 2015) e COP 22 (Marrakech: novembre 2016). L'importanza dell' Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, (accordo avente carattere universale e giuridicamente vincolante, approvato da 195 paesi, a conclusione di difficili negoziati, durati più di una decina d'anni e contenente misure per limitare il riscaldamento globale), era stata sottolineata dai media di tutto il mondo e considerata fra gli eventi di primo piano su scala globale. L'evento inoltre aveva visto l'attenzione mediatica ulteriormente ampliata per aver avuto luogo, fra imponenti misure di sicurezza, nella Parigi che, poche settimane prima, era stata teatro di uno dei più sanguinosi attacchi terroristici di matrice islamista verificatisi in Europa. leggi tutto
Alce Nero. Un santo tra i Lakota?
Forse tra qualche anno nel calendario dei santi cattolici vi sarà spazio anche per Alce Nero (Heáka Sápa in lingua lakota, Black Elk in inglese, probabilmente 1863-1950), uomo della medicina della tribù oglala, nazione lakota, alleanza sioux.
Primi passi per la canonizzazione
Robert D. Gruss, vescovo di Rapid City, ha celebrato lo scorso 21 ottobre la messa solenne per richiedere l’apertura del processo di canonizzazione. Il 14 novembre Gruss ha poi presentato la causa all’assemblea dei vescovi statunitensi, ricevendone l’approvazione e il cammino si è dunque avviato. La diocesi di Rapid City e il suo vescovo non sono affatto marginali nella geografia ecclesiastica. Grussè stato a Roma vicerettore del Pontificio collegio americano del Nord e cappellano di Benedetto XVI prima di prendersi carico della diocesi di Rapid City (2011), dove lo avevano preceduto Charles A. Chaput (oggi arcivescovo di Philadelphia) e Blase J. Cupich (Chicago). Nella messa del 21 ottobre Gruss ha evidenziato la forza missionaria di Alce Nero, capace di “mostrare alla sua gente che non bisogna scegliere tra i due mondi, che si può essere di entrambi”. “Non ha abbandonato i suoi costumi nativi quando è diventato cristiano - ha continuato il vescovo nella propria omelia - erano due cose che procedevano di pari passo, leggi tutto
Cosa ci racconta il viaggio di Donald Trump in Asia?
Cosa ci racconta il viaggio di Donald Trump in Asia riguardo alla posizione dell’attuale amministrazione USA nella regione? Non è una domanda senza importanza. Le mire nucleari della Corea del Nord, che negli ultimi mesi hanno condotto a una escalation verbale guardata con timore da più parti sono solo l’ultimo dei punti di una agenda che lo stesso Trump, soprattutto nei mesi della sua campagna elettorale si è preoccupato di infoltire. La sua retorica ‘neo-isolazionista’ ha alimentato i timori di alleati storici come il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan. La telefonata del neo-eletto Presidente proprio con il suo omologo taiwanese ha prodotto, lo scorso dicembre, più di una fibrillazione negli ambienti diplomatici per la possibile risposta di Pechino a un segnale che poteva suonare sconfessione dell’ormai consolidata ‘one China policy’. Egualmente, fonte di fibrillazione sono state le accuse che Trump ha più volte diretto alla politica economica e monetaria di Pechino e il passo indietro fatto sulla Partnership transpacifica (TPP), lo strumento che il suo predecessore, Barack Obama, aveva elaborato non senza fatica per consolidare la posizione di Washington nella regione pur di fronte a un suo disimpegno militare, peraltro più apparente che reale. Se a ciò si aggiunge la leggi tutto
Dove va la democrazia?
Le democrazie contemporanee sono chiamate giornalmente a misurarsi con nuove sfide (la globalizzazione, la crisi economica, il terrorismo) e con nuovi soggetti politici (i partiti populisti, ma - più in generale - i populismi, siano essi di governo o di opposizione). È in questo contesto che, alla ricerca di alternanza, una parte consistente dell'opinione pubblica finisce per preferire la rottura, come testimoniano alcuni dei più importanti appuntamenti elettorali dell'ultimo biennio. Lo stesso populismo ha cambiato natura: "il divorzio fra le classi popolari in generale, quella operaia in particolare, e la sinistra socialista, al pari dell'erosione continua delle classi medie offre spazi politici al populismo". Così, "le democrazie sono divise da un cleavage territoriale che oppone, da un lato, le grandi metropoli globalizzate, inserite economicamente e culturalmente nel mondo e, dall'altro, il mondo dei piccoli e medi comuni, rurale, in ritirata di fronte ai grandi flussi della crescita e del cambiamento". Questo è il quadro che emerge da una delle più importanti ed estese ricerche internazionali, appena pubblicata ("Où va la démocratie?" - 2017, ed. Plon) e realizzata dall'Ipsos per la Fondation pour l'innovation politique (Fondapol). Il volume è una miniera di dati sullo stato della democrazia e dei singoli 26 paesi esaminati (22 dell'Unione europea, più Svizzera, Norvegia, leggi tutto
Il capo dei capi: Trump e la linea di comando nucleare statunitense
Qualche settimana fa si è spento nei dintorni di Mosca Stanislav Petrov, un ex ufficiale dell’aviazione sovietica che nel 1983 contribuì in maniera fondamentale ad evitare il possibile scoppio di una guerra nucleare. Mentre si trovava di guardia al sistema difensivo satellitare sovietico – quello che in pratica monitorava lo stato di allerta e operatività delle istallazioni nucleari statunitensi - Petrov scorse un segnale che lo avvisava dell’avvenuto lancio di ben cinque missili intercontinentali diretti verso l’Unione Sovietica. Era il 26 settembre e qualche settimana prima i russi avevano abbattuto un aereo di linea sudcoreano con a bordo un parlamentare statunitense. Una ritorsione americana, figlia dell’incidente e in linea con la retorica aggressiva di un presidente che aveva da poco pubblicamente definito l’Unione Sovietica come l’impero del male, era quindi del tutto plausibile. La linea di comando delle forze nucleari sovietiche, della quale Petrov costituiva un primo fondamentale tassello, avrebbe dovuto comunicare la notizia al segretario Andropov, sì da consentire ai vertici del Politburo di valutare le possibili reazioni alla minaccia, incluse quelle di tipo nucleare. Come raccontato in successivi diari e recenti volumi, Petrov decise tuttavia,e in maniera del tutto autonoma, di interpretare leggi tutto
In ginocchio. Il football americano e Donald Trump davanti alla questione razziale
Tra le voci di protesta contro la politica di Donald Trump negli Stati Uniti degli ultimi giorni si sta levando molto forte quella degli sportivi professionisti, in particolare dei giocatori di football.
Una risposta unanime
Durante un comizio in Alabama, venerdì 22 settembre il presidente, con la diplomazia che gli è propria, si è rivolto ai proprietari delle squadre NFL (National Football League) invitandoli a licenziare quei “sons of a bitch” che si inginocchiano durante l’esecuzione dell’inno nazionale e mancano di rispetto al Paese. Il riferimento è al gesto di protesta, meglio sarebbe dire di sensibilizzazione, inaugurato nel 2016 da Colin Kaepernick, al tempo quarterback dei San Francisco 49ers. Figlio di una coppia mista, adottato da genitori bianchi e benestanti,Kaepernick mise il ginocchio a terra durante l’inno per denunciare l’eccessiva brutalità usata troppo di frequente dalla polizia contro gli afro-americani. Diversi suoi colleghi ne hanno imitato il gesto, accendendo così l’ira di Trump al momento della ripartenza della stagione agonistica. Le parole del presidente sembrano non aver suscitato l’effetto (da lui) sperato: giocatori, proprietari e gran parte dei tifosi si sono uniti nella risposta, leggi tutto