Ultimo Aggiornamento:
20 aprile 2024
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Argomenti

Il partito trasversale populista

Luca Tentoni - 03.01.2024

Comunque vada, anche nel 2024 l'elettorato italiano sarà orientato in buona parte (pressoché maggioritaria) verso i partiti populisti. Il quadro è chiaro, partendo dalle elezioni del settembre 2022: Fratelli d'Italia, 26%, Lega, 8,8%, Movimento 5 Stelle, 15,4% (senza contare che il primo populista sui generis fu Berlusconi e che, almeno fino al 2011, FI poteva definirsi un partito "pre-populista"; gli azzurri, alle politiche, hanno avuto l'8,1%). In totale, i tre partiti populisti italiani (quelli che non a caso hanno votato contro il Mes, il che dice e spiega moltissimo) hanno conseguito un anno e mezzo fa il 50,2% dei voti espressi. Alle europee 2019 la somma era 57,8%, mentre alle politiche del 2018 era 54,4%; alle europee 2014 era stata pari al 31%, mentre alle politiche del 2013 si era attestata sul 31,6%. In sintesi, la prima ondata del populismo come lo conosciamo oggi si ha fra il 2011 e il 2017, con percentuali di poco inferiori al terzo dei voti validi a Lega, M5S e FdI; la seconda parte nel 2018 e arriva ad oggi, con una banda d'oscillazione fra il 50% e il 58%. L'ultimo sondaggio di Pagnoncelli per il "Corriere della Sera" (31 dicembre 2023) dava FdI al 29,3%, la Lega all'8%, il M5s al 17,2%, per un totale del 54,5%: in pratica, a metà fra il 50 e il 58%, in perfetta continuità con i leggi tutto

Bipolarismo? Si fa per dire …

Paolo Pombeni - 20.12.2023

L’idea che la politica si fondi su una contrapposizione secca destra/sinistra è una costante nella storia politica europea dall’Ottocento in avanti. La sua incarnazione esemplare doveva essere il confronto fra due partiti come si riteneva fosse avvenuto nel mitico modello inglese del XIX secolo, ma proprio dal secolo successivo anche lì le cose si erano complicate perché era arrivato il partito laburista e il confronto non era più stato rigidamente a due. Si era ripiegato sulla sublimazione del modello statunitense, ma anche questo caso sarebbe un po’ complicato inquadrare rigidamente repubblicani e democratici in uno schematico confronto destra/sinistra.

In Italia, visto che il bipartitismo non è mai esistito se non come qualcosa di “imperfetto” secondo la brillante definizione di Giorgio Galli nel 1966, ce la siamo cavata con la mitizzazione del “bipolarismo”, la banale semplificazione per cui sarebbe sempre esistito un polo di destra (conservatore?) ed uno di sinistra (progressista? riformista?), con buona pace della DC che si teneva dentro l’uno e l’altro e nella sua azione pencolava fra i due. Naturalmente se vogliamo farla facile possiamo anche accettare la banalizzazione per cui in politica coesistono sempre le due componenti di chi vuol più o meno tenersi le cose come stanno e di leggi tutto

L’eterno problema delle coalizioni

Paolo Pombeni - 13.12.2023

Una volta si pensava che fosse una questione solo italiana, almeno fra gli stati più rilevanti, perché Gran Bretagna, USA, la stessa Repubblica Federale Tedesca fino agli anni Ottanta avevano sistemi sostanzialmente bipolari. La Francia aveva ottenuto quel risultato col semipresidenzialismo. Perciò chi vinceva le elezioni non doveva misurarsi più di tanto con coalizioni di partito, al massimo con fibrillazioni interne che però venivano contenute dal prevalere di un partito chiave.

In Italia non è mai stato così. Anche quando la DC aveva percentuali rilevanti intorno al 35% il suo obbligo a fare coalizioni la metteva sotto il ricatto dei suoi alleati, i quali poi abilmente giocavano sulle lotte interne fra le sue correnti per metterne in crisi il ruolo centrale. La tradizione, se vogliamo chiamarla così, non si è mai interrotta. Dopo il crollo dei partiti storici della prima repubblica abbiamo avuto coalizioni di vario tipo, ma sempre sottoposte al problema di dover tenere insieme componenti non esattamente fraterne nei loro rapporti reciproci. Così è stato per le formazioni di centrodestra federate da Berlusconi, peggio ancora per quelle di centrosinistra federate da Romano Prodi. Non parliamo delle coalizioni che non avevano alla testa personaggi di quel calibro.

La situazione si ripropone oggi con leggi tutto

La discriminante europea

Paolo Pombeni - 06.12.2023

Giorgia Meloni è sempre più attesa al varco delle elezioni europee: ci saranno fra sei mesi, ma la battaglia, come tutti ripetono, è già cominciata e non certo in sordina. Non è soltanto questione di sparate da comizianti, tipo quella organizzata da Matteo Salvini a Firenze domenica scorsa. Quella è roba per far un po’ di spettacolo televisivo, neppure riuscita veramente bene, visto che metteva insieme di tutto e di più: da partiti robusti, per quanto poco attraenti come quelli di Marine Le Pen e di Geert Wilders (per tacere della impresentabile tedesca AfD) a partitelli insignificanti che propugnavano teorie che non si sa definire folkloristiche o pazzoidi. Non è da ammucchiate di quel genere che ci si può aspettare una svolta in Europa.

Il tema chiave è il ruolo che il governo italiano e il suo vertice possono scegliere di giocare oggi in una Unione Europea percorsa da tensioni e fratture. Lo si vedrà ben prima della scadenza elettorale del giugno 2024, perché è in questi mesi che si affrontano alcuni nodi cruciali, il primo dei quali è indubbiamente la decisione sul sistema di bilancio che si sceglie per la UE post pandemia. Come si sa, il tema è molto dibattuto, perché non si trova l’accordo fra la difesa leggi tutto

Una fine d’anno impegnativa

Paolo Pombeni - 29.11.2023

Da vari punti di vista l’attuale congiuntura complessiva non va male per il governo. Certo la sua propaganda gonfia un poco i dati, ma fa parte del gioco. Prendete la vicenda del PNRR. Abbiamo ottenuto le revisioni richieste, le tranche arriveranno, non sono alle viste conflitti con Bruxelles. È il frutto senz’altro di un lavoro abile del ministro Fitto e dei vari uffici ministeriali (è un po’ deprimente che nessuno riconosco il lavoro positivo di una parte almeno della burocrazia pubblica, mentre quasi tutti sono pronti a darle addosso per indubbie inefficienze di altre componenti).

I risultati positivi sono stati però agevolati da una sorta di … mal comune. Praticamente tutti gli stati che hanno avuto finanziamenti hanno rinegoziato piani che erano stati preparati non solo con una certa fretta, ma anche in fasi diverse da quelle che si sono succedute dalla pandemia in poi, per cui diventava difficile per gli uffici della Commissione UE mettersi a fare i severi maestrini. In più in fase ormai pre-elettorale, con scossoni non proprio insignificanti all’interno di vari stati membri, sarebbe stato autolesionista mettersi a fare i rigoristi con il governo italiano, il quale, al contrario delle aspettative, si è mostrato consapevole del quadro complessivo in cui doveva muoversi. leggi tutto

Nelle spire della radicalizzazione

Paolo Pombeni - 22.11.2023

Nonostante l’orribile tragedia della giovane Giulia brutalmente assassinata dal suo ex fidanzato abbia per un po’ oscurato il chiacchiericcio politico, la corsa alla radicalizzazione del quadro politico non accenna a fermarsi. Al di là di frasi di rito, tipo quelle sul confronto che si fa in parlamento (impresa piuttosto complicata di questi tempi), è una gara a strumentalizzare ogni evento.

Le agenzie di rating non bocciano drasticamente la politica economica del nostro paese? Anziché notare che gli economisti che conoscono il mestiere l’avevano già previsto, pur notando che questo non significa che navighiamo in splendide acque (leggersi le analisi dell’ottimo Carlo Cottarelli), ci si precipita da una parte ad affermare che il mondo ci ammira e dall’altra che stiamo andando a sbattere. Così si lascia campo libero alle velleità di chi vuol distribuire ancora qualche mancetta, mentre le cosiddette “contromanovre” sembrano, perché non le abbiamo ancora viste, orientate all’eterno sogno di allargare la spesa pubblica, che è proprio quello che si deve evitare.

C’è un problema di percezione di insicurezza nella gestione dell’ordine pubblico: gli uni sfornano nuovi reati da colpire con pene severe, gli altri denunciano politiche repressive che sarebbero senza senso. Ben pochi si pongono il tema del perché molti leggi tutto

Torna la questione sindacale

Paolo Pombeni - 15.11.2023

In questo paese che non riesce a liberarsi dal meccanismo dell’eterno ritorno stiamo marciando all’indietro verso la querelle che infiammò l’origine della nostra repubblica: il tema dello sciopero politico. La frattura fra la CGIL di Landini, che si è annessa in qualche modo una UIL sempre più debole, e la CISL di Sbarra è un fenomeno che meriterebbe più attenzione di quella che le destina la solita polemica di basso profilo che si incarica di aprire un Salvini disposto a tutto pur di tenere in qualche modo la scena.

Se nella prima fase della nostra repubblica il conflitto era tra un sindacato che era chiaramente una appendice del partito comunista e un sindacato che era nato dall’impulso del mondo cattolico a liberarsi da quella sudditanza (e che avrebbe cercato poi di costruire una sua diversa forma di sindacalismo), con il tramonto della guerra fredda e delle sue contrapposizioni quella spaccatura era andata dissolvendosi. Non a caso era cresciuta la domanda di unità sindacale, che non si era mai compiutamente realizzata, se non per un breve periodo nel settore dei metalmeccanici. Per il resto le “macchine” organizzative non amano dissolversi e le alleanze si potevano anche fare, e si sono fatte, ma ciascuno leggi tutto

L'ennesima Grande Riforma

Luca Tentoni - 11.11.2023

La riforma istituzionale proposta dal governo è stata variamente commentata e criticata. Forse sarebbe opportuno tornare su alcuni punti che sono stati oggetto di osservazioni. Nel nostro caso, tuttavia, ci fermiamo ad una constatazione: ad oggi, la Meloni ha gli stessi poteri del premier che vorrebbe veder eletto dal popolo. Grazie alla divisione delle opposizioni, uno sciagurato sistema elettorale costruito malissimo le ha regalato la maggioranza assoluta e comoda in entrambi i rami del Parlamento; il suo stile di conduzione ricorda - ad alleati e avversari - quello di una leader che controlla sia il suo partito, sia la sua maggioranza, sia il Parlamento (per non parlare della Tv pubblica) proprio come se fosse stata eletta dal popolo; come il suo premier plebiscitato, però, anche lei ha un punto debole, perché può essere sostituita in corso di legislatura, se c'è una crisi. L'unica differenza è che oggi il sostituto può essere un presidente tecnico (se dovesse servire, mentre in futuro una crisi epocale dovrebbe essere gestita dal primo politicante di turno) o da un altro leader (Salvini ci spera, ma non ci riuscirà) che però non avrebbe il potere di sciogliere le Camere (o forse sì, non si sa mai, se non ci fossero leggi tutto

Il dibattito incomprensibile sul premierato elettivo

Paolo Pombeni - 08.11.2023

È francamente molto difficile inquadrare in qualche logica il dibattito intorno alla riforma proposta dal governo e che mira ad introdurre un confuso premierato (in verità un mezzo premierato) elettivo. Ci permettiamo di offrire qualche elemento per capirci qualcosa.

Punto primo: la radice dell’attuale assetto costituzionale. Chi ha letto gli atti dell’assemblea costituente sa che anche allora ci fu un dibattito sull’introduzione della figura del “primo ministro” all’inglese (premier questo vuol dire) che fu scartata perché non la si ritenne possibile in un contesto pluripartitico anziché bipartitico come in Gran Bretagna. Da noi ci sarebbe stato quello che negli atti viene definito un “governo di direttorio”, cioè un esecutivo che doveva tenere insieme più partiti nessuno dei quali era disponibile a riconoscere ad uno solo la primazia. Come vedremo siamo di fatto ancora fermi a quel tornante.

Punto secondo: l’argomento per cui il Presidente della Repubblica sarebbe libero di dare l’incarico a prescindere dal risultato elettorale regge relativamente. Alla chiusura delle urne se c’è un partito dominante e se questo è compatto nell’indicare un suo leader il Quirinale ha sempre dato l’incarico a questi. È avvenuto poi in maniera chiara quando si è introdotta con Prodi e Berlusconi l’indicazione del leader di fatto nella leggi tutto

Le riforme costituzionali non sono slogan

Paolo Pombeni - 01.11.2023

Giorgia Meloni riesce a far digerire alla sua maggioranza una legge di bilancio piuttosto austera. Il prezzo è un po’ di concessioni più d’immagine che di sostanza, giusto perché ogni alleato possa avere la sua bandierina da sventolare. Dietro quella c’è ben poco. La norma sulle pensioni accontenta Salvini con quota 103 anziché 104, ma utilizzarla è così difficile e penalizzante che la useranno in pochissimi. La gente se ne accorgerà e la Lega non avrà gratitudine. La riduzione delle tipologie di affitti brevi da portare dal 21 al 26% di cedolare secca è compensata con una norma che dovrebbe portare all’emersione di un enorme mercato nero che si annida in quelle tipologie: se la applicano davvero non porterà voti della speculazione edilizia a Forza Italia.

Vedremo se davvero tutto andrà in parlamento senza essere insidiato da emendamenti della maggioranza (quelli dell’opposizione sono scontati). La vittoria che al momento sembra avere ottenuto la premier ha fatto parlare di premierato già in essere, il che renderebbe inutile la riforma costituzionale che dovrebbe essere varata in settimana. Ma non è così.

Per quel che se ne sa dalle anticipazioni dei giornali (al solito non c’è ancora un testo che sia possibile analizzare) la riforma predisposta sembra dal tandem Casellati-Calderoli (con leggi tutto