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Il terzo dopoguerra
L’uscita dalla situazione di emergenza nella quale si trova il Paese appare ancora lontana, ma forse è opportuno sin da ora cercare di capire quali sono gli elementi di quello che già da adesso si profila come un vero e proprio terzo dopoguerra. Dopo la crisi innescata dal Covid 19, che non è solo sanitaria, ma anche economica e sociale, molte cose non torneranno come prima. Proviamo a delineare alcuni possibili sbocchi della situazione, come appunti per un dibattito che speriamo diventi sempre più ampio, per non trovarci impreparati a ciò che verrà al termine di questa brutta avventura. L’accostamento dell’epidemia in corso a un conflitto bellico non è nostro: lo hanno proposto in molti, persino il Pontefice. In effetti, già in queste settimane abbiamo visto alcuni fenomeni che ricordano quelli della Seconda guerra mondiale: l’accaparramento, la borsa nera (con i prezzi dei disinfettanti e delle mascherine aumentati vertiginosamente, di pari passo con la sostanziale irreperibilità di alcune merci), la drastica riduzione della circolazione (un sostanziale coprifuoco), i bollettini di guerra giornalieri, l’instaurarsi di un’economia bellica (con la riconversione temporanea di alcune filiere produttive e il contingentamento della diffusione di alcuni beni non di prima necessità), la diminuzione – per alcuni – del lavoro o la leggi tutto
Non si scherza col fuoco
Strano modo quello di gestire l’emergenza in corso: da un lato si punta a incentrare tutto su un premier che lavora per decreti amministrativi, ovvero al tentativo di dipingere il famoso uomo solo al comando; dal lato opposto gli interventi sono un pasticcio di va e vieni, di incapacità di comunicare in senso istituzionale, di principi contraddittori. Non ci pare esattamente quello che ci sarebbe da aspettarsi avendo in mente non solo la crisi sanitaria sulle cui dimensioni e durata ancora non abbiamo certezze, ma soprattutto la crisi economica che seguirà e sulla cui previsione ormai sono concordi quasi tutti.
Si tratterà purtroppo di gestire un’emergenza di lunga durata e di imporre al paese qualcosa di diverso dalle quarantene che tutto sommato la gente sopporta con pazienza perché è fiduciosa che si tratti di un periodo transitorio. L’emergenza economica che è attesa si presenta invece come un tunnel molto lungo che andrà percorso senza che sia così facile scorgere una luce alla sua fine.
Le difficoltà attuali che registra il quadro politico sono legate al fatto che si tira dietro un passato assai poco brillante, perché deriva da una sequenza di sussulti elettorali iniziati con le elezioni del marzo 2018 e perché ha leggi tutto
Stato e regioni, cinquanta anni dopo
Il rinvio delle elezioni di maggio è un atto dovuto, perché nelle condizioni attuali non sappiamo neppure se fra un mese o due saremo ancora chiusi in casa per via del Covid 19. Come i francesi hanno sperimentato a proprie spese, in occasione del primo turno elettorale municipale di domenica 15 marzo, ci sono emergenze pubbliche da non sottovalutare e che richiedono anche il differimento di importanti scadenze nazionali. Detto dell'ineluttabilità dello slittamento del voto nelle sei regioni ordinarie (e in Valle d'Aosta) e nei comuni, resta però l'amarezza per la fine di un'epoca. In maggio, il voto regionale sarebbe giunto esattamente cinquanta anni dopo il primo (1970). Quello che fino al 2005 era un appuntamento quinquennale per quindici regioni e per la politica nazionale (fino a tutto il 1990 era un test per le singole liste; con le coalizioni e la possibilità di votare per i soli candidati presidenti la gara si è spostata sul rendimento dei poli, non più su quello dei partiti) si era, per la verità, andato affievolendo col passare del tempo, a causa di scandali locali e di scioglimenti anticipati dei Consigli per le cause più svariate. Così, all'appuntamento col voto del mezzo secolo si sarebbe giunti con appena sei regioni su leggi tutto
Quando il potere è solo stupido
Mentre ci laviamo le mani, è il momento di chiederci “in che mani siamo?” noi cittadini del mondo, di fronte a un nemico che non conosce confini. Nessun leader e nessuna entità sovranazionale è stata all’altezza della situazione. E non lo sono stati tanti guru della “governance” globale, di solito prodighi di previsioni e scenari futuribili.
La Cina ha tardato a informare il mondo, ha nascosto il problema a se stessa, ha punito o lasciato morire qualche medico coraggioso, prima di organizzare la quarantena di un’intera regione.
E mentre i cinesi si chiudevano in casa, nessun capo di stato o di governo è sembrato preoccuparsi più di tanto: nessun provvedimento d’emergenza è stato preso subito, come era logico e doveroso. Business as usual, prima l’economia, poi la salute. Ciò che stava accadendo in Cina, è stato vissuto come un rischio lontano, una carestia o una guerra che possono affliggere angoli del mondo abituati alla sofferenza e alla tragedia, non il nostro mondo ricco e progredito. Cominciavano a preoccuparsi settori come l’automobile e la moda, ma per la dipendenza dal mercato cinese, non per la salute di clienti e impiegati. Si cominciava a provare la febbre in qualche aeroporto e a protestare se una crociera o leggi tutto
La democrazia e l’emergenza
C’è un problema che inevitabilmente si determina ogni volta che c’è uno stato di emergenza ed è quello della concentrazione del potere decisionale. Senza scomodare la nota affermazione del giurista tedesco Carl Schmitt, per cui è “sovrano” chi comanda nello stato d’eccezione, basta ricordare la eterna questione del “dittatore”, che, in origine almeno, era altra cosa dal “tiranno”, e che magari può chiamarsi, in maniera meno preoccupante, il “commissario”. Insomma è la questione dell’opportunità di concentrare il potere di decisione quando ci sono emergenze, perché non c’è da perdere tempo a star lì a discutere sul che fare.
Sembrano osservazioni di buon senso comune confortate dalla storia, ma non è così. Se vogliamo rifarci ad un famoso dibattito fra Otto e Novecento, quello sulla superiorità nelle emergenze belliche dei sistemi “di autorità” rispetto al costituzionalismo liberale che si basava sul governo attraverso il confronto (parlamentare), dobbiamo ricordarci che l’assioma fu brutalmente smentito dall’esito della Prima e poi della Seconda Guerra Mondiale: vinsero i sistemi costituzionali in cui si “discuteva” e finirono sconfitti quelli autoritari e dittatoriali (lasciamo a margine il caso dell’URSS che è il solo in controtendenza).
Oggi, nel pieno dell’emergenza per il coronavirus, qualche tentazione per un ritorno al principio del manovratore che leggi tutto
Il valore di un impegno
In questo periodo nel quale il Paese è messo alla prova da un'emergenza che non è solo sanitaria, ma riguarda anche il senso civico dei singoli (di qui l'invito delle autorità a restare in casa e ad evitare comportamenti irresponsabili che potrebbero alimentare il contagio da Covid 19) ci si potrebbe chiedere quale sia il ruolo di una rivista come la nostra. Il fatto che il confronto fra i partiti sia in qualche modo sospeso o attenuato non equivale a dire che fra le forze politiche si sia raggiunta un'impensabile "pacificazione nazionale": c'è, piuttosto, un accordo di non belligeranza, o almeno di riduzione dell'intensità di uno scontro che aveva assunto, negli ultimi mesi se non negli ultimi anni, dimensioni e toni inaccettabili. Le manovre politiche, insomma, non sono scomparse: restano sottotraccia, ma proseguono, anche se tutti i protagonisti sono costretti a muoversi in un ambito inesplorato e diverso da quello nel quale erano abituati ad agire. Per quanto ci riguarda, invece, ci pare sia proprio questo il momento più opportuno per rilanciare la riflessione sulle dinamiche, sul pensiero, sul ruolo dei partiti e della democrazia. Nelle settimane durante le quali il rumore di fondo delle polemiche strumentali è finalmente attenuato, leggi tutto
L'astensione e i metodi alternativi di espressione del voto
Le recenti elezioni suppletive per la sostituzione di un deputato e di un senatore (un'altra è in programma domani in Umbria per il collegio uninominale 2 del Senato) hanno fatto registrare un'affluenza bassissima: il 9,52% a Napoli (collegio uninominale 7 del Senato) e il 17,66% a Roma (collegio uninominale 1 - Lazio 1, Camera dei deputati). Anche se qualcuno, del tutto impropriamente, ha aggiunto l'"effetto Coronavirus" alle cause che hanno tenuto gli elettori lontani dai seggi, la realtà è molto diversa. In questo tipo di consultazioni, che spesso sono ignorate dai mezzi di comunicazione di massa anche in tempi normali, la salienza del voto è minima: non è un seggio che può mutare i destini del governo o delle forze politiche. Inoltre, ci sono elettori normalmente meno propensi a recarsi alle urne in queste occasioni (i Cinquestelle, i simpatizzanti del centrodestra) a fronte di altri (i votanti di centrosinistra) fra i quali una certa mobilitazione - sia pure non vistosa e neppure di eccezionale portata - è sempre attiva. Qualcuno ipotizzava, partendo dai dati delle suppletive, che anche il referendum costituzionale inizialmente previsto per il 29 marzo sarebbe stato caratterizzato da una massiccia astensione; in questo caso, nelle regioni del Nord, la diffusione del Covid 19 sarebbe diventata realmente una possibile concausa di diserzione dei seggi. leggi tutto
I nodi arrivano al pettine?
Non ci spingiamo a fare l’elogio delle emergenze che ci costringono a fare i conti con le nostre manchevolezze: personalmente saremmo della tesi di Brecht, “beata la patria che non ha bisogno di eroi”. Però è innegabile che con le emergenze alcune problematiche assumono contorni più chiari.
Nel caso dell’epidemia da Covid-19 oltre al tema della frammentazione della catena di comando per la gestione abbastanza disinvolta che è stata fatta della cosiddetta “devolution” dei poteri di governo della sanità emerge ora la questione di quale risposta si può dare alla crisi economica che vediamo avanzare a grandi passi. Non stiamo parlando di qualcosa di semplice che si possa affrontare semplicemente nella logica dei sussidi (temporanei?) da distribuire a settori che vengono e che verranno toccati dagli effetti indotti da questa emergenza sanitaria che sta assumendo dimensioni internazionali. Anzi il problema sarà proprio quello di evitare che tutto si riduca alla logica dei sussidi, che è un antico peccato del nostro modo di affrontare le difficoltà dell’economia nazionale.
Si parla ora con varie trovate verbali di qualcosa di assai impegnativo: cura da cavallo, interventi choc, nuovo piano Marshall. Questo fa pensare alla necessità di avere un governo molto solido, non solo per maggioranze politiche leggi tutto
La politica all’epoca dell’allarme pandemia
Dopo giorni in cui sembrava che la situazione politica italiana potesse esplodere si è arrivati ad una specie di tregua, non sappiamo se pacifica o armata, a seguito del verificarsi di una epidemia dovuta al corona virus che in Cina ha interessato migliaia di casi. In numeri assoluti sarebbe improprio parlare di emergenza (qualcosa più di 200 casi al momento in cui scriviamo) e anche gli eventi letali sono limitati (6 casi di persone anziane già con problemi sanitari), ma ovviamente quel che fa impressione è il fatto che l’Italia sia incomparabilmente il paese occidentale con il maggior numero di contagi e che si tratti di un virus molto aggressivo sin qui sconosciuto come portatore di malattie per l’uomo e contro cui non esistono al momento vaccini né cure specifiche (sebbene un mix di quelle tradizionali stia dando in moltissimi casi buoni risultati).
Lo choc per quanto sta avvenendo, ma soprattutto per quel che potrebbe avvenire dato che non si sa come potrà svilupparsi il contagio, è stato molto alto, tanto da creare allarme sociale e da far parlare di emergenza. La conseguenza è stata un appello scontato a dar prova di quella che si usa chiamare solidarietà nazionale. E’ partito tanto dal Presidente della Repubblica leggi tutto
La strada senza uscita
Le fibrillazioni nella maggioranza, culminate con l’intervento di Renzi a “Porta a Porta” (con tanto di rilancio della Grande riforma costituzionale, in un Parlamento balcanizzato dove è già difficile trovare un’intesa sulle semplici leggi ordinarie) sono ancora oggetto di sorpresa e di dibattito, come se il quadro non fosse noto già dal momento dell'insediamento dell'Esecutivo, esattamente come avvenne con la coalizione gialloverde, anch'essa affetta fin dall'inizio da ciò che l'avrebbe portata alla dissoluzione. Per funzionare, una maggioranza deve essere coesa e protesa a limare le differenze, anziché accentuarle: in sintesi, tutti i componenti debbono accettare la convivenza come il presupposto per realizzare politiche di interesse generale (o, almeno, quelle comuni ai partiti alleati). Il calcio, che dall'avvento di Berlusconi ("Forza Italia!") è diventato la metafora principale della politica nazionale, ci insegna che una squadra può essere composta da grandi campioni, ma che se ognuno gioca solo per mettersi in mostra, senza sacrificarsi per il gruppo, non solo non si vince nulla, ma si va incontro a grandi disastri. La bravura di chi entra a far parte di una coalizione sta dunque nel saper cogliere ciò che unisce, senza naturalmente annullare la propria personalità ma senza metterla al di sopra di tutto il resto. leggi tutto