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Una ripartenza più che complicata
Con l’arrivo di settembre ricomincia la vita normale: basta guardare alla programmazione televisiva che riprende con le trasmissioni consuete. Così è anche per la politica, ma quest’anno tutto è più complicato del solito. C’è l’incognita sull’andamento dell’epidemia che ha ripreso ad espandersi, quella sugli assetti dell’economia (solo Gualtieri vede rosa con riprese del PIL da impennata), ma soprattutto quella dell’esito della tornata delle amministrative e del referendum costituzionale del 20-21 settembre.
A questi impegnativi appuntamenti non si arriva molto bene. Sull’epidemia ci viene detto che adesso siamo preparati, ma non è chiarissimo a cosa: basta guardare alla confusione sulla ripresa dell’attività scolastica. Quanto all’economia siamo sballottati da una previsione pessimistica ad una catastrofica e anche qui di condivisione delle linee di intervento non è che si veda gran che: governo, associazioni dei datori di lavoro, sindacati non sembra trovino una solida intesa e sono ciascuno arroccati su posizioni corporative.
Quanto al versante politico la situazione è a dir poco confusa. Le opposizioni di centrodestra sono al momento coalizzate nel tentativo di mostrare coi dati delle urne di settembre che ormai nel paese la maggioranza dei consensi è loro. Naturalmente il campione è molto esteso, ma non totale e in molti casi nelle elezioni comunali non sarà chiarissimo vedere leggi tutto
Una simulazione sulla Camera dei deputati "ritagliata"
L'esito del referendum elettorale potrebbe cambiare notevolmente la rappresentanza in Parlamento delle singole forze politiche, ben al di là delle attuali variazioni di consenso registrate dai sondaggi. Il mutamento non avverrebbe solo in proporzione ai voti, ma soprattutto in termini reali, cioè di posti disponibili per ciascun gruppo parlamentare. Un conto è avere 201 seggi e ritrovarsi ad averne 80 (cosa che avverrebbe al M5s se vincessero i "no" e se non avesse luogo alcuna riforma del sistema elettorale), un altro è passare a 50-51 deputati (al massimo 70, con un meccanismo proporzionale per tutti i seggi in palio, quindi simile alla proposta sostenuta da Pd e pentastellati). Il problema numerico può diventare politico, come nel caso dei Cinquestelle, ma anche di Forza Italia (che sta subendo qualche defezione in Senato) e di Italia viva. Questi tre gruppi, oggi, hanno rispettivamente 201, 95 e 31 deputati, per un totale di 326 (addirittura la maggioranza assoluta, a Montecitorio), ma, secondo una nostra simulazione condotta partendo dai dati di un sondaggio Euromedia Research sulla Stampa del 22 luglio scorso, passerebbero ad avere rispettivamente (col Rosatellum e il "sì" alla riforma costituzionale) 51, 30 e 13 seggi (totale 94 su 400) oppure 70, 27 e 15 (con un sistema proporzionale e soglia al 3%; in totale, dunque, 112 posti). La possibilità che il M5s leggi tutto
Politiche e misure della povertà: il reddito di cittadinanza
Nella breve sinossi introduttiva al suo saggio Sgritta osserva come - a meno di un anno dall’entrata in vigore della legge 4/2019 - si possano evidenziare alcuni rilievi critici in ordine al perseguimento degli obiettivi prefissati: l’importo medio del reddito è relativamente basso (522 euro mensili), vengono penalizzate le famiglie più numerose, il numero dei beneficiari è inferiore a meno della metà di quelli previsti, la mancanza di lavoro in alcune aree del Paese, specie al Sud, mette a rischio “l'obiettivo politico principale di questa misura, vale a dire promuovere l'inserimento lavorativo, con il rischio di ridurlo a un semplice strumento di assistenza sociale”.
Basterebbe questa valutazione d’insieme per far emergere come il reddito di cittadinanza abbia prodotto più criticità che vantaggi coerenti con lo scopo della sua introduzione.
Nell’incipit del saggio Sgritta si chiede senza indugi come mai - anziché imbarcarsi in una nuova previsione normativa densa di incognite per la politica, l’amministrazione e gli stessi aspiranti beneficiari - non sia stato dato seguito ad un ampliamento migliorativo del REI (il reddito di inclusione) già esistente:
soluzione più semplice e consequenziale rispetto a questa nuova via intrapresa che evidenzia d’impatto lacune di stima e procedurali in ordine alla visione istituzionale e alla realtà sociale del Paese. leggi tutto
Un'estate sospesa
Difficile capire se davvero l’autunno sarà così terribile come descritto da molti. Le variabili sono molte, a cominciare da quella sanitaria per finire a quella economica, ma dipenderà anche dal clima che si diffonderà nel paese, il quale a sua volta sarà influenzato dal contesto internazionale. Se le difficoltà sono generalizzate la gente sopporta con maggiore fatalismo quello che accade, mentre, se dovessimo trovarci in condizioni peggiori dei nostri vicini, la capacità di accettare un contesto difficile si ridurrebbe notevolmente.
La politica italiana non si prepara bene all’autunno: per tante ragioni, ma principalmente per l’incapacità di costruire, o almeno di provare a costruire quel minimo di concordia nazionale necessaria per affrontare l’impegno assai oneroso di rimodulare il nostro sistema. In fondo la domanda essenziale che pone l’ingente finanziamento europeo che è atteso, sia pure in tempi meno incalzanti di quelli che talora si lasciano trasparire, è proprio questa: sarà l’Italia capace di ritrovare quel posto importante che pure ha avuto in Europa almeno sino a metà degli anni Ottanta del secolo scorso? Su questo punto non avremo indulgenze, né dai nostri grifagni avversari, ma neppure da coloro che hanno voluto scommettere sull’opportunità di un aiuto che ci consentisse la famosa “ripartenza”.
Adesso leggi tutto
La Lega una e bina. Una chiosa a Tuccari
In un saggio pubblicato sull’ultimo numero di “Paradoxa” (Anti-italiani, arci-italiani. Le due Leghe, n. 2/2020, pp. 131-147) Francesco Tuccari fa il punto su di un tema che, nonostante la indubbia rilevanza, non ha ricevuto la necessaria attenzione da parte dei commentatori e degli analisti politici. Ci riferiamo al fatto che la Lega salviniana, ad orientamento nazionalista-sovranista, non ha sostituito la vecchia Lega autonomista-secessionista, ma si è affiancata ad essa. In sostanza due orientamenti, in teoria antitetici, convivono nel medesimo partito che si trova ad essere uno e bino. Per spiegare questa anomalia, Tuccari ripercorre con precisione le vicende di casa leghista negli ultimi anni, dal tramonto della leadership di Bossi all’affermazione di Salvini, mostrando come la duplicazione avvenga di fatto, senza traumi ma anche senza un ripensamento o un dibattito comunque articolato.
Al termine della sua accurata disamina lo studioso torinese passa on rassegna alcune ipotesi interpretative per dare conto di questa anomalia. Anzitutto, la presenza nel partito di un nocciolo duro di padanisti irreducibili che consiglia la coesistenza. Ciò che rende poco credibile tale ipotesi è che, di solito, in presenza di divergenze così marcate si verifica una scissione. In secondo luogo si può ipotizzare una divisione del lavoro tra chi persegue un leggi tutto
Ancora sulla riforma elettorale
La riforma elettorale attende di approdare in Aula, per essere esaminata ed eventualmente votata. Come sempre (volendo accantonare il precedente del 1953), a partire dal 2005 la riforma della legge elettorale è regolarmente progettata e compiuta per far vincere una determinata parte politica (l'Italicum) o per far perdere quelle avverse (il Porcellum, il Rosatellum, ora anche quella in discussione). È infatti evidente che oggi, anche se miracolosamente i Cinquestelle abbandonassero il loro anacronistico e improduttivo atteggiamento di chiusura verso le coalizioni elettorali (dopo che, peraltro, hanno sperimentato in Parlamento quasi tutte quelle praticabili, senza per questo scomporsi) un centrosinistra allargato, eterogeneo e plurale da Di Maio a Renzi e Calenda non solo non nascerebbe, ma non avrebbe la maggioranza di fronte ad un centrodestra che (nonostante le prese di posizione di Berlusconi, ben distanti dall'estremismo di destra dei neomissini di Giorgia Meloni e del sovranismo populista di Matteo Salvini) è ormai avviato a vincere le prossime elezioni politiche (sia che si tengano fra poche settimane, sia che slittino al 2023). Questo pessimo costume nazionale (che la Francia mutuò in una sola occasione, ai tempi di Mitterrand, per impedire - invano - la coabitazione con Chirac e comunque limitare la vittoria del centrodestra, nel 1986) è indice di un atteggiamento che leggi tutto
Politica e cabina di regia
Ai tempi della famigerata Prima Repubblica quando le alleanze non reggevano più si faceva ricorso ai “governi ponte”, ai “governi balneari”, “di transizione” e a quelli per “il disbrigo degli affari correnti”.
Correvano i tempi degli equilibri più avanzati, dei compromessi storici, delle convergenze parallele e della politica dei due forni: espressione coniata da Andreotti per spiegare la necessità di garantirsi il pane stando al centro, servendosi della farina ora a destra ora a sinistra. Metafora completata da Fanfani con un’altra mappa concettuale significativa: a chi gli chiedeva quale vino si dovesse mescere al tavolo di Palazzo Chigi rispondeva sornione “dipende dalla qualità del vino e degli invitati”.
In genere i politici erano riciclabili nei vari rimpasti, uno passava dall’Agricoltura alla Difesa, dalla Pubblica Istruzione agli Esteri: provenendo in genere dagli ambienti universitari, sapevano adattarsi con disinvoltura al cambiamento. A volte si occupavano come Ministri di tematiche che insegnavano a livello accademico. Nessuno si ispirava apertamente a Max Weber, infatti non si parlava di beruf o competenza, ma la scaltrezza delle argomentazioni era affinata nei congressi di partito, qualche calibro da 90 emergeva lo stesso per attitudine e vocazione, si formavano parvenze di idee e di pensiero. leggi tutto
Mobilitiamoci per il referendum costituzionale
Fra due mesi voteremo, nell'indifferenza di chi riceverà anche le schede per regionali e comunali e nella possibile abulia di chi sarà chiamato alle urne (negli altri centri) il 20-21 settembre solo per il referendum costituzionale, per decidere se ridurre o meno il numero dei parlamentari: alla Camera, i deputati sarebbero 400 (oggi 630); a Palazzo Madama, i senatori sarebbero 200 (oggi 315) più quelli a vita. Un periodico come Mentepolitica non può non sollecitare un dibattito su questo argomento: ci attendiamo contributi anche dai nostri lettori non abituati a scrivere su queste colonne. Poiché alcuni discutono e talvolta fanno propri degli spunti che trovano qui, è bene ribadire loro che le porte della nostra rivista sono sempre aperte e che nuovi contributi su un tema a nostro avviso cruciale sono non solo ben accetti, ma forse necessari (in fondo, ci leggete dal 2014...). Ci sono molte posizioni possibili che ognuno può scegliere di adottare su questo argomento, che - riguardando il Parlamento, cioè il cuore del nostro sistema istituzionale e luogo principe della democrazia - andrebbero fatti emergere nella varietà di sfumature che comportano. C'è chi pensa, come l'autore di questo articolo, che la qualità della rappresentanza debba essere il fine ultimo non della riforma, ma dell'agire politico: leggi tutto
Le eccezioni e la regola: considerazioni sullo stato di emergenza
Ormai negli ultimi anni dell’attuale fase politica abbiamo esaurito tutti gli aggettivi che descrivono i dibattiti in corso: lunari, stellari, senza capo ne coda, improvvisati e via elencando. Vale ovviamente anche per la questione della proroga dello stato di emergenza improvvidamente buttata lì dal premier Conte e poi subito ridimensionata, pasticciata e quant’altro (ma nessuno gli ha insegnato l’opportunità di pensare prima di aprire bocca?).
Tuttavia più che insistere sulla scarsa sensibilità dell’attuale presidente del Consiglio nel valutare la portata della situazione in cui si trova ad operare, vale la pena di sottolineare come si stia perdendo l’occasione storica per regolamentare una condizione che non si pensava potesse presentarsi, ma che adesso sappiamo essere nel novero delle cose possibili. Perché il problema non è solo discutere di quanto possa essere opportuno disporre di poteri d’intervento veloci per far fronte ad emergenze molto complesse, e neppure perdersi a ragionare se Conte possa avere la tentazione di fare l’Orban de noantri, quanto piuttosto quello di prendere coscienza che in questo momento il nostro paese non ha un quadro legislativo, di profilo costituzionale, con cui gestire emergenze di grande portata.
Partiamo da una premessa: strumenti per operare in stato di emergenza ce ne sono leggi tutto
La condanna del 1 agosto 2013: l’inizio della fine
La recente sentenza del tribunale civile di Milano che ha rimesso in discussione la sentenza della corte di Cassazione con cui, nell’agosto del 2013, Berlusconi venne condannato per frode fiscale, è stata variamente commentata dagli organi di informazione. Commenti che, in un senso o nell’altro, si sono soffermati sulla vicenda personale dell’imprenditore milanese, soprattutto sul fatto se egli sia stato o meno oggetto di una persecuzione giudiziaria. Personalmente propendiamo per il sì ma, più che aggiungere una ulteriore puntata alla infinita telenovela delle disavventure giudiziarie dell’ex presidente del consiglio, in questa sede è opportuno affrontare il problema sotto un’altra angolazione, finora trascurata. Risulta più utile, infatti, provare a svolgere una riflessione sugli effetti di quella sentenza di condanna rispetto al quadro politico di sette anni addietro, analizzandone le conseguenze esiziali.
Al momento della condanna di Berlusconi, era stato da poco varato un governo di larghe intese presieduto dal vice-segretario del Pd, Enrico Letta. A sua volta quel governo era la via di uscita a una grave crisi politico-istituzionale. Come si ricorderà, le elezioni del febbraio 2013 avevano visto il grande successo di una formazione politica antisistema, il Movimento 5stelle, che raccoglieva ben il 25% dei voti. Un risultato che destrutturava i precari equilibri del nostro leggi tutto