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E se il Covid avesse ucciso le Regioni?
Ci siamo accorti che le Regioni stanno perdendo rilievo nella cartina geografica della gestione del Covid? Con l’estendersi della complessità, aumentano i colori (adesso c’è anche l’arancione scuro) e con la nuova scala cromatica tramonta l’egemonia statica della Regione. Adesso l’analisi, finalmente, passa sempre più dalle province e dai comuni. Sono decine gli esempi. La Romagna si muove indipendentemente dall’Emilia e Forlì si muove indipendentemente dal resto della Romagna. Mentre Bologna e Modena diventano zone rosse, Reggio Emilia rimane arancione scuro. Tutti i comuni della provincia di Como passano in fascia arancione “rafforzata” ma questo vale solo per alcuni delle province di Cremona, Mantova, Milano e Pavia. Invece a Bollate e Viggiù si passa dal rosso all’arancione scuro mentre Valgoglio nel bergamasco rimane rosso. Nelle Marche, la sola provincia di Ancona è passata in zona rossa e così via.
E se è vero che il peggioramento dell’ondata epidemica sta portando a misure più restrittive che riguarderanno le intere regioni, non per questo deve venir meno la convinzione che la diversità delle condizioni all’interno del quadro geografico nazionale si rispecchia meglio in una tavolozza arcobaleno come si conviene ad un contesto così complesso di realtà comunali e provinciali.
La realtà di questo Paese, leggi tutto
Al centro del centro
Sto seguendo con vivo, partecipe interesse il lungo dibattito sulla collocazione dei cattolici impegnati in politica, tra aneddoti, ricordi, rievocazioni, esperienze, visioni, progetti, speranze.
“Centro” è il leit motiv, la parola magica ora occultata con malcelato distacco, ora rivendicata per definire un posizionamento. Ma è anche la storia, il passato, un presente più intenzionale che reale, un’idea di futuro: in ogni caso un luogo di transito obbligato per misurare e commisurarci.
I corsi e ricorsi storici consentono aspettative, lusinghe e ambizioni ma – mutatis mutandis – nulla sarà come prima: anche se i valori sommi restano, i principi ispiratori sono le molecole del nostro DNA, è il contesto esterno che ce lo impone, l’evoluzione sociale, sono i codici espressivi e semantici che dettano regole diverse, i temi cambiano anche se le radici sono forti e solidamente piantate.
Ne ha preso atto la Chiesa a partire dal Concilio Vaticano secondo e fino a Francesco: “i tempi cambiano e anche noi dobbiamo cambiare con essi”. Mi domando se non sia doveroso per un cattolico prendere atto della realtà e assecondare questa deriva: “Adaequatio rei et intellectus” .
Si tratta della definizione della “verità come corrispondenza”, di cui ci parla San Tommaso ma che è condivisa da tutti coloro che leggi tutto
Due enigmi: i Cinque Stelle e Conte
Lo scossone imposto dall’avvento di Draghi continua a riversarsi sui partiti politici. Che quello più colpito fossero i Cinque Stelle c’era da aspettarselo, ma non nelle modalità in cui sembra si stia verificando il cambiamento.
La trasformazione di un anti-partito in un partito di governo è già successa nella storia italiana. Si trattò del movimento fascista, che una volta arrivato in parlamento grazie alle elezioni del 1921 e poi al governo si trasformò nel Partito Nazionale Fascista (PNF) giurando naturalmente che nonostante il nome comune era cosa diversissima dalle vecchie camarille politiche. Si sbarazzò progressivamente del movimentismo squadrista di base, i suoi leader divennero uomini di governo (dittatoriale), il partito rinunciò a qualsiasi parvenza di democrazia interna dotandosi di un sistema di potere che vedeva un capo supremo (Mussolini) che però si teneva intorno, e sopra il partito, un consesso dei capi delle origini, il Gran Consiglio.
Non ricordiamo questo precedente per accusare M5S di fascismo (non c’entra nulla), ma semplicemente per ricordare che ci sono alcuni meccanismi che, in modi diversi e in contesti molto differenti (che contano: eccome!), si ripetono nell’organizzazione delle forme di partecipazione alla politica. I Cinque Stelle si sono accorti che l’età del “vaffa” era finita, anzi
Gli spodestati, Draghi e l’opinione pubblica
I tempi sono difficili e non c’è da meravigliarsi se la partenza del governo Draghi avviene in salita. Nessuno si permette di dubitare sulle qualità eccezionali del premier, che al momento registra un consenso notevolissimo nei sondaggi, ma molti si lasciano andare a distinguo sulla qualità della squadra: anche in questo caso, nell’opinione pubblica sembra circolare un giudizio non proprio benevolo sulla composizione del nuovo esecutivo. Come è ovvio in presenza di una coalizione molto ampia, gli intervistati tendono a dare giudizi positivi sui ministri espressi dalla propria parte di riferimento ed a trovare poco accettabili gli altri.
Sin qui siamo però alla normale fisiologia della vita politica. Preoccupa un po’ di più l’attività, neppure troppo sotto banco, di coloro che essendosi identificati con il passato “modello Conte” lavorano adesso per costruire la narrazione che sia necessario sostenerne la continuità e favorire l’arrivo dell’ex premier alla testa dei Cinque Stelle in crisi. Si capisce che sono i fan per non dire la corte del sovrano deposto, quelli che si potrebbero chiamare gli spodestati. Sono loro che vogliono ad ogni costo tenere in vita la leggenda di un eccellente governo fatto cadere da un complotto di perfidi personaggi: devono ammettere che, per leggi tutto
La grande crisi dei partiti italiani
Se ne parla da molto tempo, ma ormai è divenuta evidente a tutti la crisi in cui versano i partiti politici italiani, o meglio la “forma” che essi avevano assunto dalla svolta di fine Ottocento e che oggi è del tutto evaporata. Non si tratta solo del rinsecchirsi dei meccanismi tradizionali di adesione: tesseramenti, militanza di base, esistenza di sedi sparse nella maniera più capillare possibile sul territorio. Certo questo magari sopravvive, ma è un elemento secondario, a partire dal fatto che si è praticamente persa ogni sembianza di gestione collettiva dell’azione del partito: gli aderenti, formalizzati o meno che siano (perché si tende a considerare tali anche coloro che un tempo venivano catalogati come semplici “simpatizzanti”), non contano più gran che nella determinazione degli indirizzi dell’azione politica.
Ovviamente l’uso di strumenti che sono di fatto di manipolazione demagogica, come sono lo svolgimento delle cosiddette selezioni “primarie”, per non parlare dei referendum svolti attraverso piattaforme informatiche (spesso neppure controllabili), non identificano un coinvolgimento “democratico”. Questo non è mettere a disposizione degli aderenti qualche occasione per esercitare una selezione orientata in anticipo e ristretta a quanto serve in un momento particolare, ma dovrebbe essere l’offerta di luoghi in cui sia possibile concorrere all’elaborazione di una linea politica. leggi tutto
I numeri del governo Draghi
Il governo Draghi è il diciassettesimo della Seconda Repubblica (o il diciottesimo, se aggiungiamo il governo Ciampi del 1993-'94, di transizione). Rispetto ai governi della Prima Repubblica, quelli della Seconda sono stati molto più longevi: 542 giorni medi in carica più 34 circa per l'ordinaria amministrazione, per un totale di 576, contro i 313 più 33,5 della Prima (totale 346,5). In altre parole, se fino al 1992-'93 ogni presidente del Consiglio poteva ragionevolmente pensare di restare a Palazzo Chigi per non più di undici mesi e dieci giorni per volta, dal '94 in poi l'aspettativa di permanenza è salita a circa diciotto mesi. Inalterata, invece, la durata media delle crisi. Però, nella Seconda Repubblica, bisogna distinguere fra situazioni molto diverse fra loro: in quattro casi (1996, 2008, 2013, 2018) il nuovo governo si è insediato dopo una lunghissima transizione dovuta alle elezioni, quindi l'interregno medio è durato ben 107 giorni. Negli altri casi, la durata delle crisi è stata minima: da due a diciassette giorni (media: 10). In sintesi, la crisi che ha portato al governo Draghi è stata la più lunga di quelle "ordinarie" ma è durata la metà rispetto alla media della Seconda Repubblica (34,4) e addirittura i cinque sesti in meno delle quattro più lunghe (107). La portata della congiuntura politica e - per certi versi - anche istituzionale seguita alle dimissioni di Conte leggi tutto
Un governo senza luna di miele
Di solito tutti i governi godono nei primi mesi di un periodo particolarmente propizio. Non di rado si parla di 100 giorni di luna di miele. Pare che al governo Draghi non ne toccheranno neppure 10 di quei giorni. Da subito, nonostante un altissimo livello di gradimento da parte dell’opinione pubblica che gli è assegnato dai sondaggi, pesano sul nuovo esecutivo le eredità negative che vengono dal passato.
Non sembra essere premiante l’ambiguità della formula che alla fine è stata scelta da Mattarella e da Draghi, cioè un governo con un forte nucleo politico-tecnocratico, ma annegato in un contorno di ministri politico-partitici scelti con l’occhio a non scontentare nessuno, ma evitando di avere in quelle fila figure di spessore carismatico. I cosiddetti tecnici (in realtà sperimentati personaggi usi a muoversi nel quadro della politica nazionale e non solo) avranno bisogno di tempo per esplicitare il loro impatto. Al contrario gli uomini di partito sono ancora alle prese con un problema così banale che ci si chiede come mai non sia stato tenuto in conto: parliamo delle elezioni amministrative che fra qualche mese si svolgeranno in importanti città simbolo e anche in altri comuni, dove non sarà evitabile la loro competizione per affermare il proprio peso. leggi tutto
Cosa vuol dire “governo del presidente”
Benché l’espressione “governo del presidente” sia molto usata e nonostante sia stata fatta circolare molte volte nella crisi politica che si è aperta dal dicembre dello scorso anno, non si può dire che i partiti siano davvero disponibili ad arrendersi a questa prospettiva. E dire che questa volta Mattarella è stato molto esplicito nel dare il mandato a Mario Draghi, perché non solo si è preso in prima persona l’onere di dichiarare lo stato di emergenza (su cui i partiti cincischiavano), ma ha chiesto all’incaricato di formare un esecutivo che prescindesse dalle formule politiche.
Si rimanda al dettato dell’art. 92 della nostra Carta Costituzionale che fa riferimento solo al potere congiunto del presidente del Consiglio incaricato di scegliere i suoi ministri ed al Presidente della Repubblica di nominarli. Si tratta però di una procedura che è stata raramente usata in maniera completa. Poiché il nostro è un sistema parlamentare che di fatto ha visto quasi solo governi di ampia coalizione, si è sempre visto che nell’accordo di coalizione accanto al programma si sono previsti anche i ministeri da assegnare ad ogni partito che l’aveva sottoscritto. Relativamente con maggiore frequenza si è invece esercitato il potere del Capo dello Stato nel dare il suo placet ai nomi proposti. leggi tutto
Il pragmatismo etico di Mario Draghi
Il Presidente incaricato Mario Draghi nella tessitura dell’ordito e della trama del nuovo Governo sta realizzando i requisiti che Lui stesso aveva indicato come bussola orientativa del decisore politico: conoscenza, coraggio e umiltà. Ci sono parole che restano flatus vocis, altre che non cadono nel vuoto e poi c’è una nemesi storica nel loro pronunciamento. Accadeva lo stesso giorno in cui la Presidente Marta Cartabia ricordava De Gasperi nella lectio magistralis a Pieve Tesino, mentre l’ex Presidente BCE lo citava, ricevendo la laurea ad honorem alla Cattolica di Milano.
Quanti rallentamenti aveva avuto l’idea dei Padri Fondatori dell’Europa? Mentre la politica più recente non è stata ancora in grado di elaborare un piano di Recovery sui fondi europei, di decidere sul MES, qualcuno ha ricordato che eravamo partiti dalla CECA e grazie a Mario Draghi sono state salvate l’Europa e l’Italia, con la strategia di gestione della politica monetaria, valga per tutti il quantitative easing.
Lo ha fatto in silenzio, senza megafoni, senza post, twitter, invettive, giochi di parole, rifuggendo i salotti buoni degli imbonitori venuti dal nulla e degli influencer capaci di esprimere troppe opinioni e poche idee.
Abituati a rottamatori, apriscatole e rompiscatole, rassegnati a vivere una fase di leggi tutto
Fra draghi e grilli, il pd è il leone che dorme
La settimana delle consultazioni di Mario Draghi è l‘ennesima conferma che anche in politica, come nella vita, la realtà può superare, e di molto, la fantasia. Non tanto per l’immagine, che ci conduce in un immaginario regno animale, di un incontro fra <draghi> e <grilli>, quanto per l‘incredibile affollamento di possibili partecipanti al futuro governo, come se tutti i partiti (Fratelli d‘Italia escluso) avessero, come gli italiani, tanti <draghi> e sempre meno <grilli> nella testa. Tutto bene, dunque, per la rinascita del Paese, la gestione del Recovery Fund, il rapporto più stretto e benefico con l‘Europa, la considerazione dell‘Italia nel mondo, il calo dello spread e via elencando attese e speranze che si moltiplicano di pari passo con meriti, medaglie, sostegni, adulazioni e fede nella funzione miracolistica di Mario Draghi, quando invece basterebbe il miracolo di una riconquistata normalità. L‘Italia, come società civile, qualità intellettuali, spirito di sacrificio, se la merita, ben oltre lo specchio spesso deformato dai media. Ovvero un governo che gestisca bene le risorse, avvii le riforme di cui il Paese a bisogno, restituisca dignità e consenso alle forze politiche, compia alcune scelte strategiche che, al di là di divisioni pregiudiziali e ideologiche, dovrebbero leggi tutto