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27 marzo 2024
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Un silenzio assordante

Stefano Zan * - 27.01.2021
Cnel

Anche un osservatore attento si trova in difficoltà a parlare di Recovery Plan perché le informazioni disponibili sulla stampa e sui media in generale sono poche, confuse e inadeguate al formarsi di un’idea precisa. Si parla del piano più per il suo impatto sulla cronaca politica quotidiana che per la sua valenza intrinseca. Molti lo paragonano al Piano Marshall per l’impatto che dovrebbe avere sull’economia del Paese nei prossimi anni ma nel merito è impossibile andare al di là di qualche vaga impressione.

In particolare due aspetti meritano alcune considerazioni critiche al di là dei tecnicismi naturalmente insiti in un progetto di questa natura.

La prima è l’assenza di una visione strategica, di sistema, di lungo periodo. Una visione spazio -temporale che vada al di là della semplice sommatoria di una serie di progetti specifici, alcuni vecchi altri nuovi, che poco si allontanano da un puro e semplice elenco della spesa. La visione dovrebbe non solo creare un interesse generale di prospettiva di medio lungo termine, ma dovrebbe coinvolgere nel dibattito e più ancora nella realizzazione del piano una serie di interlocutori che vanno ben al di là dell’impegno di alcuni ministri e ministeri.

Si dirà che ci sono stati gli Stati Generali e la commissione Colao ma di tutto questo ad oggi si è già persa memoria e spicca il silenzio di figure che dovrebbero, potrebbero, avere un ruolo fondamentale tanto nella progettazione che nella realizzazione del piano stesso. Ci riferiamo in  particolare ai corpi intermedi, alle autonomie locali, alle istituzioni preposte a questi temi. Non abbiamo notizie di prese di posizione generali e, appunto sistemiche, delle principali associazioni di categoria tanto datoriali che sindacali, delle regioni, del CNEL. Certo queste vengono periodicamente sentite dal Governo ma sembra che l’ottica prevalente sia quella tradizionale di un approccio corporativo. Per la prima volta il Governo ha molti denari da spendere e i rappresentanti delle diverse corporazioni presentano le loro istanze chiedendo benefici per i propri associati, badando ciascuno al proprio particolare e facendo pressione perché le loro istanze vengano accolte nella convinzione che quello che va bene per una singola categoria va bene per tutto il Paese. Ora questo non è mai stato vero e dovremmo avere imparato che lo Stato consociativo che ben conosciamo per esperienza diretta esprime una logica comportamentale che è esattamente contraria alla logica di piano che, soprattutto di fronte a cifre così cospicue e a prospettive temporali così lunghe dovrebbe essere chiamata a scegliere, a fissare priorità, anche a scontentare qualcuno che non si inserisce in una prospettiva veramente innovativa. Il silenzio dei corpi intermedi è da questo punto di vista davvero assordante perché è espressione della rinuncia a svolgere un ruolo propositivo ed esplicito. Tra l’altro se si pensa al ruolo di supplenza svolto dai corpi intermedi nei primi anni ’90, gli anni della grave crisi della politica, non si capisce il perché di una rinuncia così evidente. Ci troviamo proprio di fronte ad un ritorno ad un passato ancora più lontano in cui la logica concertativa non viene nemmeno richiamata come metodo di confronto. Basta chiedere e sperare di ottenere senza mettere sul piatto il ruolo di ideazione e di supporto che potrebbe venire da chi rappresenta in prima persona il mondo delle impresse e dell’economia. E non vale a giustificazione il fatto che tutte le associazioni sono impegnate a fornire ai propri associati informazioni e consulenze per i vari provvedimenti anti-Covid presi dal governo in questo periodo a sostegno dell’economia.

Ma anche le Regioni che in tema di sviluppo economico e sociale hanno molte competenze sono assolutamente silenti. E’ vero che hanno a che fare tutti i giorni con la gestione della pandemia ma è altrettanto vero che almeno alcune di loro hanno piani di sviluppo che necessariamente dovranno fare i conti con quanto previsto dal Recovery Plan qualunque sia la sua configurazione. Il silenzio assordante si allarga anche a chi sul piano istituzionale dovrebbe occuparsi di questi temi come il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro che oltretutto è espressione proprio dei corpi intermedi che operano nel sistema economico. Dobbiamo infine rilevare che anche per quanto riguarda gli studiosi, gli esperti, gli osservatori, gli scienziati il contributo al dibattito è ad oggi veramente minimale.

Gli scontri tattici sul Piano che si svolgono a livello politico fanno passare in secondo piano i problemi e i temi di merito sui quali sarebbe doveroso aprire un ampio confronto e una ampia discussione proprio per la rilevanza che il Piano avrà per i prossimi anni. Ma i tempi ormai si vanno stringendo e l’impressione è che ci troviamo di fronte ad una straordinaria occasione perduta e che ci troveremo ad accettare a scatola chiusa qualcosa che meritava ben di più in termini di discussione pubblica e di responsabilizzazione dei principali attori economici.

 

 

 

 

* E' stato docente universitario di Teoria delle organizzazioni. Il suo blog è ww.stefanozan.it