Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
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Strategia a posteriori e mobilità sanitaria attiva e passiva

Francesco Domenico Capizzi * - 14.10.2020
Mobilità sanitaria

Già nel 2017 il CENSIS affermava che “la Medicina moderna sta diventando troppo cara per essere vitale: la spesa sanitaria italiana cresce più rapidamente del PIL al punto che la forbice tra finan­ziamento statale e spesa prevedibile rischia di aprire una voragine nei conti pubblici”. Alla constatazione si potrebbe aggiungervi il motivo: il Servizio Sanitario Nazionale deve e non può non ricorrere a sistemi tecnologici complessi e molto onerosi di diagnosi e cura. Una problematica decisiva di politica socio-sanitaria che avrebbe dovuto già essere affrontata, per sé stessa da tempo cogente e di non facile soluzione, puntando decisamente sulla evitabilità e la prevenzione delle malattie cronico-degenerative e neoplastiche, in cresci­ta costante fino a rappresentare grande parte delle patologie affrontate quotidianamente dall’organizzazione sanitaria le cui risorse e forze sono destinate, in Italia come in altri Paesi industria­lizzati, essenzialmente alla loro diagnosi e cura e con risultati non entusiasmanti.

I capitoli che pesano sul piano organizzativo ed economico, permanendo l’attuale gestione sanitaria, sono molteplici:

-      Politica e Istituzioni sanitarie continuano ad essere concepite come amministrazioni contabili e gestionali di strutture edilizie e tecnologiche la cui unica, se non esclusiva, progettualità si conforma, in definitiva, come mantenimento e sviluppo dell’esistente;

-      nel 2050 gli ultrasessantacinquenni costituiranno il 34% della popolazione contro l’attuale 17%, il 25% dei quali accuserà molteplici malattie con relativa necessità di plurime terapie e supporti assistenziali di varia natura, con consumi più che doppi di farmaci e vari rimedi rispetto a tutte le età minori messe insieme. Pur collocandosi ai primi posti, nel contesto europeo e mondiale, per la qualità delle prestazioni, l'equità e l'universalità di accesso, il Sistema sanitario italiano può incepparsi proprio a causa della crescita numerica della popolazione anziana che rende difficile, se non impossibile, il mantenimento degli standard qualitativi e quantitativi raggiunti per la sostenibilità dei costi a fronte di esborsi condizionati dai vincoli finanziari relativi agli impegni assunti dall'Italia in Europa (CENSIS, 2019);

-      allungandosi nel Servizio pubblico le già lunghe liste d'attesa (oltretutto, tra marzo e luglio di quest’anno, a causa del Covid, sono rimasti non eseguiti circa 500.000 interventi chirurgici; dati forniti dalla Società Italiana di Chirurgia) i fondi erogati  alle strutture private accreditate hanno sfiorato nel 2019 i 25 miliardi di euro (poco meno di un quinto dell’intero budget sanitario), essendo aumentata di circa un miliardo e mezzo la spesa per anno a partire dal 2002, pari ad un tasso di crescita annuo del 3,4%;

-      la spesa sanitaria complessiva dai 116 miliardi del 2018 è passata ai 117,3 miliardi del 2019 (Ragioneria Generale dello Stato 2019): dal 2002 al 2019 ha subito un incremento in valore assoluto di 38,3 miliardi di euro senza considerare i costi assunti, per varie ragioni, direttamente dalle famiglie;

    -   la spesa per i farmaci erogati è aumentata dal 2002 al 2019 di quasi 10

        miliardi di euro assumendo un consistente peso sulla complessiva spesa

        sanitaria: dal 3,3% del 2002 al 9,8% del 2019, senza considerare la

       porzione di spesa che si abbatte sulle famiglie. In Italia vengono

       consumati circa 2000 farmaci al  giorno/1000 abitanti, cioè circa due dosi

      giornaliere per ogni cittadino,  pari ad una spesa pro-capite di circa 500

 euro annui: 11,5 miliardi a carico dello Stato, il resto a carico dei cit­tadini. I consumi maggiori risultano nelle regioni meridionali;

-      Il Sistema Sanitario italiano assicura il diritto di ottenere assistenza in Strutture sanitarie di Regioni differenti da quella di residenza. In tal modo si realizza una mobilità sanitaria fra Regioni diverse: la mobilita' attiva svolta dalla Regione che effettua le prestazioni, la mobilita' passiva subita dalla Regione da cui il cittadino-malato si è allontanato pur risultandovi residente e pertanto assistibile. Questa situazione viene sanata dalle compensazioni finanziarie tra le due Regioni coinvolte per quanto concerne ricoveri ospedalieri e di day hospital, medicina generale, specialistica ambulatoriale, farmaceutica, cure termali, somministrazione diretta di farmaci, trasporti con ambulanza ed elisoccorso. Nel 2019 il valore della mobilita' sanitaria è ammontata a quasi 5 miliardi ( Conferenza delle Regioni e delle Province autonome).  Fra le Regioni che vantano una maggiore capacita' di attrazione la Lombardia e l’Emilia-Romagna, che assommano il 40% della mobilita' attiva, e in genere le grandi Regioni del Nord. È chiaro che questa situazione sia foriera di indebitamenti, squilibri, disomogeneità nell’assistenza e di ulteriori impegni economici ed organizzativi per le famiglie. Ancora una volta si dimostra come la ricchezza, anche nell’ambito sanitario, segua la via del Nord e si allontani dal sud del Paese creando sperequazioni che si riflettono sul prestigio delle Istituzioni e il senso dell’unità nazionale fondata sulla solidarietà. Infatti, non soltanto la Regione perde denaro e credibilità, ma anche le famiglie rischiano di indebitarsi facendosi carico di costi difficilmente stimabili per i viaggi della “speranza”, i soggiorni, le assenze dal lavoro, la discontinuità impressa dal proprio ambiente usuale, ecc.

In conclusione, è necessario che Politica e Istituzioni prendano atto che la strategia sanitaria a posteriori, quasi del tutto incentrata su diagnosi e cura e fino a questo momento perseguita, conduce a distorsioni culturali, errori progettuali e ad incompatibilità economico-sociali che mettono a repentaglio il patto sociale e il prestigio delle stesse Istituzioni democratiche.

 

 

 

 

*Già docente di Chirurgia presso l’Università di Bologna e direttore delle Chirurgie generali degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna