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17 aprile 2024
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Sicurezza urbana e ordinanze: una storia che si ripete

Fulvio Cortese * - 12.04.2017
Sicurezza urbana

Chi si ricorda delle ordinanze pazze? Nell’estate del 2008 il legislatore aveva conferito ai Sindaci, nella loro qualità di ufficiali del Governo, il potere di adottare ordinanze“al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana” (art. 54, comma 4, del decreto legislativo n. 267/2000, così come modificato dall’art. 6 del decreto legge n. 92/2008, conv. in legge n. 125/2008).

Era seguito, il 5 agosto dello stesso anno, un decreto del Ministero dell’Interno, volto a definire che cosa intendereper incolumità pubblica e sicurezza urbana: con il nuovo strumento i Sindaci avrebbero potuto occuparsi della “vivibilità dei centri urbani”, della “convivenza civile”, della “coesione sociale”, al fine di fronteggiare “situazioni urbane di degrado e di isolamento”, di “intralcio alla pubblica viabilità” e di alterazione del “decoro”, ma anche “la prostituzione su strada” o “l’accattonaggio molesto”.

Aveva preso vita un diffuso attivismo, nel quale molti Sindaci, di grandi come di piccole città, si erano resi artefici di innumerevoli divieti, talvolta dal più strano e curioso contenuto.

Le criticità erano molte. Per essere legittime le ordinanze dovevano limitarsi a situazioni provvisorie, al solo scopo di prevenire o reprimere la repressione di ipotesi di reato, e perciò dovevano essere motivate in modo adeguato. Esse, poi, finivano per consegnare al Sindaco un potere assai ampio, capace di limitare numerose libertà costituzionali senza che vi fosse una previa e chiara definizione legislativa dello specifico disvalore di alcune condotte. Oltre a ciò, il ricorso alle ordinanze, lungi dal contribuire al superamento dei problemi di sicurezza urbana, si limitava ad espellerli, dando voce sproporzionata alle istanze di volta in volta emergenti in seno alle singole comunità (o meglio maggioranze) politiche del territorio.

Con un’importanze sentenza (n. 115/2011) la Corte costituzionale aveva cercato di ridimensionare il ricorso alle ordinanze, ribadendoche simili provvedimenti potessero adottarsi solo in via eccezionale e, in ogni caso, soltanto in funzione dell’attività di repressione di divieti già previsti dalla legge e penalmente sanzionati.

Sono passati pochi anni, e i Sindaci non hanno mai smesso di adottare ordinanze più o meno discutibili. Allo stesso tempo, il tema della sicurezza urbana è rimasto attualissimo, così come è rimasta assai diffusa, anche nell’opinione pubblica, l’impressione di una connessione decisiva tra insicurezza e degrado cittadino.

Logica vorrebbe che il ceto politico acquisisse coscienza che non si possono “governare” simili questioni con uno strumento che, oltre che complesso, si è rivelato difettoso. Ma così non è: perché il “centro” del Paese non è in grado, da tempo, di “partorire” dibattiti e riforme realmente meditati e condivisi; e perché la “fame” di sicurezza è stata agitata innanzitutto dalla “periferia”, sicché allo Stato non poteva che restare l’opzione di ripartire dalla ricetta a suo tempo abbozzata, cercando di correggerne, semmai, il gusto.

È così che, con il decreto legge n. 14/2017, il Governo ha tentato di risolvere alcuni problemi di utilizzo materiale dello strumento dell’ordinanza sindacale, senza dimostrare, tuttavia, di volerlo superare e, viceversa, cercando di facilitare il lavoro del Sindaco.

Le ordinanze – che possono essere adottate “in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche intervenendo in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche” – sono disciplinate dall’art. 50, comma 5, del Testo Unico degli enti locali, ossia dalla stessa disposizione in cui si prevedono le ordinanze da adottarsi “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale”.In questo modo la loro natura provvisoria è testualmente ribadita. Ed è positivo che si dica, già nel testo di legge, quale può essere il raggio d’azione di questi provvedimenti.

Il fatto è che ora il Sindaco è un po’ più libero di calibrare i suoi originali divieti, poiché questa volta non è chiamato ad agire come ufficiale del Governo, bensì come “rappresentante della comunità locale”. Il Prefetto, dunque, non può intervenire per annullarne le determinazioni.

C’è poi da chiedersi se la definizione dei settori su cui il potere sindacale può incidere non sia troppo generica. Se è vero che la vaghezza può essere compensata con una circostanziata motivazione, è altrettanto vero che ciò che si può limitare in quei settori è assai ampio, e non è detto che esso possa rientrare nella disponibilità sostanziale del solo potere amministrativo (non è di aiuto l’altrettanto indeterminato apparato definitorio dell’art. 4 del decreto legge).

C’è da domandarsi, inoltre, che significato abbiano la non cancellazione del vecchio potere di ordinanza ex art. 54, comma 4 (che viene invece specificato e ancorato ad una disciplina regolamentare adottabile dai Consigli comunali) o la previsione di un potere ulteriore di ordinanza, al comma 7 dell’art. 50, molto simile a quello da ultimo descritto. Come si coordinano tutti questi strumenti?

Al Sindaco, infine, è anche riconosciuto il potere di adottare – come può fare il Questore nei confronti dei tifosi violenti negli stadi… – un “daspo urbano” (v. l’art. 9 del decreto legge), disponendo l’allontanamento dal territorio comunale di coloro che abbiano violato le regole che la legge o il regolamento comunale pongano a tutela di determinati luoghi. I vincoli per la libertà di circolazione sono davvero notevoli.

Tra gli studiosi è assai forte il senso di fiducia nei confronti delle tradizionali capacità razionalizzatrici dei giudici. Ma può dirsi sufficiente? Non è forse vero che, anche in questo terreno, così scivoloso, rischiamo di assistere all’ennesima puntata dello scontro tra autorità politiche e autorità giudiziarie?

Sul punto il decreto legge di quest’anno, pur riaffermando il ruolo centrale dei Sindaci, conferma anche che occorre fare ben altro: riattiva il valore dell’azione coordinata tra livelli di governo e tra amministrazioni diverse (statali, regionali e locali), promuovendo una nozione di “sicurezza integrata”, per la quale gli enti interessati possono stipulare veri e propri “patti”. È chiaro, allora, che non si può affrontare l’insicurezza ingigantendo la funzione di singoli amministratori; ed è chiaro, soprattutto, che non la si può vincere solo con singoli interventi di emergenza.

 

 

 

 

* Professore Ordinario di Diritto Amministrativo presso l’Università di Trento.