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Sanità e progetti nazionali. I rischi per il potere russo

Francesco Cannatà * - 27.05.2020
Nicolaj Patrushev

L’11 maggio la Russia ha iniziato il rischioso esperimento di uscire dall’isolamento nonostante l’alto numero di infetti. Quel giorno infatti il presidente Putin con un messaggio alla nazione dichiarava la fine del regime delle giornate di riposo retribuite iniziato il 30 marzo. Quel lunedì il paese con un totale di 165.929 contagi si trovava al sesto posto mondiale per numero di malati. Inoltre da quattro giorni consecutivi il numero dei contaminati cresceva di 10mila unità. Dal 24 maggio i contagiati sono diventati 335882 e la Russia è balzata al terzo posto nella classifica dell’epidemia.

All’irrompere del Coronavirus l’economia di Mosca si trovava in uno stato  di relativo ristagno. Secondo l’istituto pubblico di statistica, Rosstat, il primo trimestre 2020 aveva registrato una crescita dell’1,6% in termini annuali. Più ottimiste, le cifre del ministero dell’Economia valutavano in +1,8% il segno del PIL. La pandemia ha rovesciato questa atmosfera. Al momento le previsioni del dicastero economico federale mettono in conto un calo del 9,5% del PIL rispetto al 2019. Meno fosche le prognosi della Banca Centrale per cui la discesa sarà dell’8%. Sempre il dicastero economico avverte che nel 2020 la flessione del reddito reale della popolazione sarà pari al -3,8%. Il periodo più duro sarà il secondo trimestre dell’anno quando questa voce segnerà -6%. Secondo il ministero delle Finanze la lotta alla pandemia costerà circa il 2,8% del PIL, mentre il 6,5% della ricchezza nazionale verrà impiegato al sostegno fiscale delle categorie colpite. Cosi nelle cinque settimane di auto isolamento è cresciuta non solo l’emergenza economica ma anche l’insoddisfazione popolare visto che la grande maggioranza dei russi non ha risparmi. Anche la quarantena ha lasciato a desiderare. Secondo l’indice di isolamento del motore di ricerca e portale, Yandex, a Mosca, città col maggior numero di casi, nelle scorse settimane in strada si trovavano “molte persone”. Altrettanto è successo a San Pietroburgo, Novosibirsk e Jekaterinburg, dove le persone in giro erano “troppe”. Nel suo appello alla popolazione Putin ha descritto l’alternativa tra ritorno alla normalità, rischiando la salute della cittadinanza, o mantenimento dell’autoisolamento, con la messa a repentaglio della stabilità economica. Dilemma paragonato al “passaggio tra Scilla e Cariddi”. L’azzardo della scelta il presidente lo ha però lasciato ai governatori. “Cari amici la responsabilità è vostra” ha sottolineato rivolgendosi alle autorità locali. Nonostante la prudenza e la consapevolezza che la lotta alla pandemia fosse tutt’altro che vinta, l’invito di Putin è stato interpretato come il segnale dell’indispensabile e rapido ritorno alla normalità. Una missione al momento impossibile, visto che il 24 maggio il paese registrava il più alto numero di morti quotidiano, 150, dall’inizio della pandemia. La contabilità dei decessi solleva però interrogativi. Cosi pur essendo il terzo paese per contagi, Mosca è 17° per numero dei morti. Un enigma visto che per il Portale dati aperti di Mosca, ad aprile nella capitale russa vi sono stati 11846 decessi, il 20% in più - circa 2500 in termini assoluti -rispetto agli ultimi 10 anni.
Partendo da queste cifre Financial Times e New York Times hanno concluso che il reale livello dei decessi per coronavirus in Russia è maggiore del 70%. Se per le due testate internazionali il problema sta nel metodo, per meduza.io – sito creato nel 2014 in Lettonia da giornalisti russi fuorusciti dal paese –  “le autorità nascondono coscientemente il numero di morti”. In Russia, fino a quando è stato possibile trascurare la pandemia, le affermazioni dei media ufficiali ondeggiavano tra chi definiva il virus un arma biologica americana anti cinese e chi vi vedeva una punizione divina contro gli Stati favorevoli al matrimonio tra persone dello stesso sesso. La spinta al realismo è arrivata con l’inizio del sistema di “giornate di riposo retribuito” per i lavoratori. Anche in questo caso però le ambiguità non mancano. Con questa formula si è evitata la dichiarazione dell’emergenza sanitaria che obbligava lo Stato a garantire finanziariamente gli imprenditori. Al contrario col sistema delle giornate di riposo retribuite, il peso del salario ricade tutto sui datori di lavoro. Altrettanto vero è che nonostante le settimane di quarantena comportino cospicue perdite economiche, da queste la Russia potrebbe subire meno danni rispetto ad economie più complesse. Il paese è meno integrato nelle catene logistiche globali. Turismo e PME hanno un peso meno rilevante rispetto ad Italia o Spagna. Si tratta di caratteristiche strutturali che potrebbero alleviare e rendere più governabili i cali economici.

Al contrario in Russia i rischi economici da Covid-19 vengono amplificati dalle turbolenze legate al petrolio, esplose in modo simbolicamente clamoroso a metà dello scorso aprile col prezzo negativo dell’oro nero tipo West Texas Intermediate (WTI). A differenza della pandemia, che come tutto il mondo la vede vittima, Mosca porta responsabilità dell’escalation energetica visto che è dal 2014 che la prepara allo scopo di eliminare dal mercato i produttori americani di petrolio di scisto. Se lo shale oil è alla base di una delle fasi più spettacolari nella turbolenta storia del petrolio, i suoi produttori rappresentano uno dei maggiori assi geopolitici di Donald Trump. Utilizzando una tecnica, la frantumazione idraulica della roccia differente da quelle tradizionali, il settore è riuscito a estrarre fino a 4,2 milioni di barili di greggio al giorno, quasi quanto l’Iraq. Così nel 2018 gli USA sono diventati i maggiori produttori mondiali di oro nero, sopravanzando russi e sauditi. Per sconfiggere questi ceti, il Cremlino era deciso a puntare sulla liberalizzazione delle estrazioni in modo da far calare il prezzo del greggio. Con il barile sotto i 35$ i produttori di shale oil lavorano in perdita.
Prima di impegnarsi in questa direzione, Mosca ha però sorprendentemente appoggiato la lotta degli Stati Opec - guidati dall’Arabia Saudita – contro l’eccesso dell’offerta di petrolio e il calo del prezzo del greggio. Consenso culminato nell’accordo del novembre 2016 con cui i produttori toglievano dal commercio 1,2 milioni di barili al giorno, permettendo al prezzo di superare quota 50$. L’eccesso di offerta non veniva però davvero intaccato. Al momento di discutere il rinnovo dell’accordo del 2016, la proposta fatta da Ryad lo scorso marzo di tagliare altri 9,7 milioni di barili al giorno per tutto il 2020 veniva bocciata da Mosca. Finiva cosi il consenso russo-saudita per limitare le estrazioni. Per la Russia, fino a quel momento ufficialmente non toccata dalla pandemia, prioritario era eliminare dal mercato mondiale degli idrocarburi il petrolio di scisto. Allo smacco Ryad reagiva inondando il mercato di petrolio e con una politica aggressiva dei prezzi. L’esplosione del coronavirus dava poi il colpo di grazia a domanda (meno 29 milioni di barili al giorno) e prezzo (meno di 22$ al barile per il tipo Brent).

Dalle turbolenze energetiche Mosca subirà contraccolpi senza subire però gravi problemi. Livello delle riserve valutarie a 570 mdl di dollari. Sganciamento del tasso di cambio del rublo dal prezzo del petrolio. Debito pubblico insignificante. Inflazione sotto controllo. Questo lo stato dell’economia russa con cui il Cremlino ritiene di poter di gestire razionalmente il calo del prezzo del barile. Dai conti fatti risulta che col greggio a 35$ il paese manterrà una crescita dello 0,5% per 12-24 mesi. Se invece si toccasse quota 30$ la prospettiva sarebbe la stagnazione. Solo col petrolio a 25$, ha  messo in guardia lo scorso settembre la Banca centrale russa, la recessione sarebbe inevitabile. Insomma il Cremlino prevedendo tempeste energetiche si è dato in tempo un paracadute efficace. Risultato raggiunto grazie a spending review e aumento delle tasse. È questa l’altra faccia della medaglia, quella pagata dalla popolazione russa. Sono infatti anni che reddito ed economia reale non crescono.
Un settore dove il calo del greggio può invece far davvero male è quello dei progetti nazionali. Illustrati da Putin nel settembre 2005, rivendicati nel 2008 al momento di diventare primo ministro, ribaditi col suo ritorno alla presidenza nel 2012 i progetti puntano a sostenere il welfare sviluppando sanità, scuola, edilizia e agricoltura. Architrave dei piani dell’elite putiniana, la loro realizzazione si basa sull’aumento della spesa pubblica. In caso di fallimento accusare virus, Ryad o Washington potrebbe non bastare.

Che ora il potere russo si stia attrezzando a trovare altri capri espiatori lo testimoniano le critiche di Nicolaj Patrushev ai governatori regionali. Il 19 maggio il segretario del Consiglio federale di Sicurezza ha accusato le autorità locali di aver commesso numerosi illeciti nella realizzazione dei progetti nazionali. Aumento dei costi. Lavori pagati e mai terminati. Falsificazione di fatture. In poche parole, in un momento in cui i governatori sono più popolari del presidente, il massimo poliziotto della Russia li accusa di furti e corruzione. Commentando l’intervento di Patrushev, il politologo Abbas Gallijamov ha pronosticato l’arrivo di una purga tra le autorità locali russe. Nel suo doppio intervento sul sito di Echo Moskvy, l’analista ha posto anche un'altra questione. Chi ha scelto termini e modi dell’attacco? Il Cremlino o i Siloviki? Questione da cui ne discende l'altra: Putin è ancora il baricentro del proprio clan oppure questo sta passando nelle mani delle strutture militari? 

 

 

 

 

 * Dottore di ricerca in Storia dell’Europa orientale e autore di Nel Cuore d’Europa, Textus 2019.