Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
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La Turchia e l’eredità controversa della “Grande Guerra”

Carola Cerami * - 12.05.2015
Eugene Rogan - The Fall of Ottomans

Lo storico britannico Eugene Rogan nel suo ultimo libro, “The Fall of the Ottomans. The Great War in the Middle East, 1914 – 1920”, pubblicato nel febbraio 2015, afferma che nel Medio Oriente, più che in ogni altra parte del mondo, l'eredità della grande guerra continua a farsi sentire fino ai nostri giorni. L’effetto della prima guerra mondiale in Medio Oriente è stato epocale. La caduta dell'Impero Ottomano, il crollo di un ordine che aveva definito gran parte della regione per secoli, la successiva spartizione dell’area mediorientale fra i vincitori della grande guerra, sono all’origine del Medio Oriente contemporaneo.

Rogan nell’introduzione del suo libro invita a riflettere sull’importanza di approfondire la comprensione della storia del “fronte ottomano”, per dare ad essa la giusta collocazione nella storia della grande guerra e del moderno Medio Oriente. Dopo un secolo di ricerche noi abbiamo una visione, più o meno completa, del lato occidentale della trincea, ma siamo soltanto agli inizi nella comprensione del lato ottomano. Negli ultimi tempi però una nuova storiografia sta emergendo: alcuni studiosi turchi e occidentali hanno avuto accesso a collezioni inedite di documenti e le prime pubblicazioni pongono maggiore attenzione sulla esperienza ottomana della grande guerra. Il lavoro di Rogan è attento a non trascurare tale dimensione storiografica.

Va detto comunque che la Repubblica turca, nata nel 1923, ha sempre avuto un rapporto problematico con la grande guerra, ancora oggi non del tutto risolto. La storiografia ufficiale turca si è concentrata sulla nascita della Repubblica, sull’esperienza kemalista e sulla guerra “d’indipendenza”, mentre la ricostruzione storiografica degli ultimi anni dell’Impero ottomano, ha incontrato diversi ostacoli: la difficoltà di accedere alla documentazione d’archivio; il tabù armeno che bloccava l’indagine sulla prima guerra mondiale e infine la costruzione di una storia nazionale militante e nazionalista turca.

Queste considerazioni costituiscono una premessa necessaria per comprendere gli eventi delle ultime settimane, che hanno portato alla visibilità internazionale e mediatica questioni tradizionalmente riservate agli storici. In particolare: il richiamo ufficiale di Papa Bergoglio al riconoscimento del genocidio armeno; la conseguente reazione del governo turco e il ritiro dell’ambasciatore turco in Vaticano; il successivo richiamo del Parlamento Europeo e infine lo “scontro delle commemorazioni” (lo stesso giorno il 24 Aprile, in occasione rispettivamente del centenario del genocidio armeno e del centenario della battaglia di Gallipoli). Tutti questi episodi sono una ulteriore conferma di quanto complessa sia ancora l’eredità della grande guerra e il percorso verso una completa e matura elaborazione storica.

La questione armena costituisce uno dei temi più dolorosi e controversi della storia contemporanea turca. Sebbene il termine “genocidio” sia ancora oggetto di un acceso dibattito nell’analisi della questione armena, vi è una sostanziale convergenza fra gli storici nel ritenere lo sterminio degli armeni, realizzato nel corso del 1915, il primo genocidio pianificato dell’età contemporanea. La questione tuttavia resta spinosa per tutta la comunità internazionale. I paesi ad aver riconosciuto ufficialmente il genocidio sono venti, lo ha fatto anche il Parlamento europeo già nel 1987, ma tanti continuano a non volersi schierare contro Ankara.

Una onesta riflessione sulla storia della prima guerra mondiale costituirebbe una prova di maturità anche per il percorso attuale della Turchia contemporanea, significherebbe mostrare la capacità di aver elaborato in maniera coraggiosa e compiuta il proprio passato. Solo attraverso tale esercizio sarà possibile raggiungere un “modus vivendi” con le minoranze all'interno dei suoi confini, e di offrire un esempio incoraggiante in una regione lacerata da conflitti settari. La comunità internazionale ha il compito di alimentare e incoraggiare tale percorso, tuttavia per essere davvero consapevole esso deve generarsi all’interno della società e della politica turca. Soltanto una convinta e profonda elaborazione della propria storia permetterà alla Turchia di compiere un passo decisivo verso una compiuta democrazia. Il centenario della grande guerra avrebbe potuto costituire una grande opportunità per una riflessione comune sulla verità storica, nell'interesse dei turchi e degli armeni, ma la provocatoria organizzazione della contro-commemorazione dei cento anni della campagna di Gallipoli, lo stesso giorno della commemorazione del genocidio armeno, fa pensare ancora ad una occasione mancata.

La Turchia si prepara alle elezioni politiche del 7 giugno, Erdogan cerca di tenere alto l’interesse dell’elettorato nazionalista e spera di conquistare la maggioranza dei due terzi per modificare la Costituzione in senso presidenziale. Dal punto di vista economico il Presidente turco aspira a far diventare la Turchia la decima potenza economica entro il 2023, l’anno del centenario della fondazione della repubblica turca. Così gli obiettivi di potere immediati sembrano prioritari.

Eppure mai come in questo momento sarebbero necessarie nell’area mediorientale politiche innovative e illuminate a salvaguardia delle popolazioni dell’intera regione. Anche da questo punto di vista una maggiore comprensione degli eventi della prima guerra mondiale sarebbe estremamente utile. L’impatto della grande guerra sulla vita sociale di tutta la regione è stato enorme, il senso del collasso sociale è stato devastante e spesso sottovalutato. Così anche oggi il Medio oriente è il teatro di una emergenza umanitaria senza precedenti, con migrazioni di popolazioni costrette a fuggire e a lasciare i propri territori per sempre.

In tal senso il lavoro di Eugene Rogan, ha il merito di spingere tutti noi e non soltanto i turchi a una più completa riflessione sulle responsabilità e sulle conseguenze della prima guerra mondiale nell’intera regione mediorientale: “se le potenze europee avessero avuto tra le proprie priorità la costruzione di un Medio Oriente stabile, non si può fare a meno di pensare che avrebbero agito nella suddivisione dei confini in maniera diversa e forse più responsabile”.

Un secolo dopo, i confini del Medio Oriente rimangono controversi e problematici e la “questione armena” non è ancora risolta. Una riflessione complessiva sulle responsabilità della grande guerra non può escludere noi europei.

 

 

 

 

* E' assegnista di ricerca in Storia internazionale all’Università di Pavia e direttore dell’International Center for Contemporary Turkish Studies di Milano