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L’ora dei politicanti

Paolo Pombeni - 19.02.2020
Salvini e Renzi

Capirci qualcosa nell’attuale avvitarsi su sé stessa della nostra politica è impresa titanica. Naturalmente ognuno accusa gli altri di giocare allo sfascio, ma nessuno fa nulla per evitare che si arrivi a quel punto, a meno che non consideriamo impegni per uscire dal pantano le manovre messe in piedi da una classe politica vittima del suo autismo.

Apparentemente tutta la questione ruoterebbe intorno a Renzi e alla necessità di mettere fine alla sua guerra da corsa nel quadro di questa politica instabile. Difficile negare che il leader di Italia Viva sia una volta di più vittima del suo limite, che ci permettiamo di definire la sindrome di Napoleone. Come il grande Corso, Renzi è condizionato dalla sua storia di successi iniziali, quando, assai giovane, è riuscito a rovesciare avversari molto più agguerriti osando sfidarli in battaglie campali. Così pensa di non poter recedere da quello schema e lo ripropone in continuazione senza rendersi conto che così ha sperperato il capitale che aveva accumulato. In politica non basta infatti il fiuto di intestarsi battaglie di grande significato: bisogno sapere controllare l’uso della forza. Così Renzi ha buttato alle ortiche i successi del suo governo per una gestione dissennata della riforma costituzionale, ed ora si trova nei pasticci per una altrettanto dissennata gestione della battaglia contro la normativa Bonafede sulla prescrizione. Sono entrambe battaglie in cui la ragione stava e sta dalla sua parte, ma viene tutto mandato al diavolo per l’irresistibile tentazione di incentrare tutto su sé stesso come rivoluzionatore del mondo.

Detto questo, contro di lui si muovono dei Metternich di cartone: politici che pensano di poter approfittare della sindrome renziana per rimettere in piedi una politica tutta pateracchi e manovre parlamentari. Immaginarsi che il tema fondamentale della crisi di oggi sia quello di farla durare senza immaginarsi uno sbocco non è indice di intelligenza, ma piuttosto di autismo in una classe politica che intuisce (forse) che ormai ci si avvia verso la fine di un’epoca, ma che pensa di poterla ritardare di un bel po’.

Giocando ancora un po’ con la storia, vorremmo ricordare che si può riuscire a spedire Napoleone a Sant’Elena, ma la Restaurazione dell’antico regime è poi costruita sulla sabbia. Fuor di metafora, non è raccattando in parlamento un po’ di “responsabili” i quali per non andare alle urne terrebbero in piedi qualunque governo che si ridà stabilità alla legislatura. I nodi rimangono tutti sul terreno e il quadro economico e sociale del paese rimane immutato.

Il primo problema interno alla coalizione non è Renzi, che ha un peso marginale, ma sono i Cinque Stelle. Qualcuno avrà pur notato che nella loro adunata di piazza non han saputo far altro che scimmiottare i vecchi refrain per un pugno di fan. Si scommette che questo non significhi molto, perché si prevede che Conte prenderà la testa di M5S e lo condurrà all’approdo della capacità di governo. Per ora il premier non riesce neppure a tenerli sotto controllo su temi tutto sommato gestibili come la riforma del processo penale o la soluzione della questione autostrade e questo nonostante i Cinque Stelle non abbiano a disposizione collocazioni parlamentari alternative e siano in caduta libera nei consensi elettorali.

Poi c’è il problema del PD. Zingaretti farebbe bene a liberarsi delle sirene che gli prospettano un grande futuro come forza-guida del famoso campo largo in cui imbarcare tutti, sardine ed estrema sinistra, progressisti moderati e intellettuali utopisti. Sono ammucchiate in cui domina solo la confusione e che reggono per un po’ finché si riesce a tenere in piedi l’allarmismo contro i barbari alle porte. Poi inevitabilmente queste tensioni scemano, i barbari si rafforzano e magari diventano più astuti nel fare politica e il limes viene travolto.

I massi in mezzo alla strada vanno rimossi, non si può sempre cavarsela girandoci intorno. Fingiamo che si sia riusciti a farlo con la faccenda della prescrizione. Come si farà ora con i decreti sicurezza? Non sono semplicemente decreti di Salvini, sono leggi su cui i Cinque Stelle hanno messo nell’approvazione più che la faccia, per cui vedremo se saranno in grado di ammettere di aver fatto la classica porcata. E poi c’è la questione sostanziale: lasciando marcire il tema, si è incentivata nel paese la formazione di un’opinione favorevole semplicemente a cancellarli del tutto, ma si sa bene che ciò creerebbe un vuoto difficile da gestire e lungi dal sistemare i guasti della normativa salviniana probabilmente ne aggiungerebbe altri.

Ci limitiamo a richiamare questo tema che è piuttosto esplosivo sia per i Cinque Stelle che per il PD viste anche le sue aperture alle Sardine e all’estrema sinistra. Con le elezioni regionali e amministrative alle porte potrà gestirlo il governo Conte che traballa e che deve cercare sostegni di qua e di là con un tema elettoralmente piuttosto divisivo?

Certo ce la si può cavare calciando la palla più in là. Se si parla di temi futuribili come l’Alta Velocità nel Mezzogiorno, gli incentivi alle imprese che investono in tecnologia green e roba simile non è così difficile trovare aggiustamenti verbali: tanto sono programmi a lunga scadenza e tutti sanno che ciò significa che poi ci si potrà rimettere mano molte volte. Il fatto è che però queste proiezioni in avanti non convincono un’opinione pubblica perplessa di fronte ad una classe politica sempre più concentrata a guardarsi l’ombelico e soprattutto non ottengono il sostegno di quelle classi dirigenti di varia natura che hanno davanti agli occhi l’incombere dei problemi che si vogliono invece rinviare a futura memoria.