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24 aprile 2024
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L’Europa, la Grecia, l’Italia e la crisi della politica

Paolo Pombeni - 16.07.2015
Philippe Legrain

Non siamo di quelli portati a farci coinvolgere negli improbabili paralleli storici a cui si abbandonano commentatori disinvolti: la situazione attuale non ha nulla a che fare né con la “pace cartaginese” verso la Germania del 1919 (l’espressione è di Keynes) né men che meno col trattamento della Germania dopo il 1945. Bisognerebbe ricordare che, per esempio, nell’ultimo caso la Germania ebbe condonati i debiti di guerra, ma a prezzo dell’occupazione, dello smembramento e della lunga perdita di sovranità internazionale, cose che ovviamente nessuno può pensare di applicare alla Grecia di oggi.

Tuttavia soffermarsi su queste tematiche è perdere tempo, perché la questione è piuttosto diversa ed è meglio cercare di delinearne i tratti, uscendo da un modo di guardare alla politica internazionale come se si trattasse di una società di opere caritatevoli e umanitarie. Ciò che impressiona nel leggere quanto scrivono anche personaggi autorevoli è la debolezza delle analisi politiche: sembra che nessuno abbia più seguito qualche lezione di politica internazionale o anche solo di storia internazionale.

Tanto per dire, abbiamo letto su “Foreign Policy” un’analisi sul comportamento tedesco scritta da Philippe Legrain, che è stato consigliere economico di Barroso, in cui si attacca la Merkel con argomenti forse plausibili da un punto di vista strettamente economico (la Grecia non è in grado di sostenere la “cura” che le si impone), ma insostenibili se appena si prende in considerazione il contesto politico in cui sono maturate le decisioni dei vertici europei.

Il primo dato è che sembra piuttosto ingenuo pensare che in un sistema complesso come l’attuale UE si possano prendere decisioni senza tenere conto del peso degli attori coinvolti. La Germania, proprio per questo, non può accettare di essere messa in condizioni di inferiorità, come è accaduto sempre quando si sono presentati casi simili. Si può, ovviamente, lavorare per conquistare Berlino ad un diverso approccio, ma pensare di imporglielo con campagne di stampa che la dipingono come erede del nazismo, stupidamente rigorista, ecc., significa impedirle di elaborare una nuova visione.

Tsipras e i suoi ottusi fan europei ed americani hanno fatto il possibile e anche di più per mettere la Merkel nelle condizioni di non poter cercare soluzioni alternative alla politica seguita sin qui. La quale politica, ma questo è stato più volte notato, è quella a cui si sono sottoposti molti paesi europei in nome di “cessioni di sovranità” che di fatto hanno dovuto accettare, per cui risultava incomprensibile perché il populismo dell’attuale governo greco potesse godere del privilegio di rompere le regole comuni in nome della propria “sovranità”.

Basta osservare le reazioni che ci sono state agli ultimi avvenimenti per rendersi conto della posta in gioco. I fan di Siriza hanno subito gridato al fallimento del loro sogno che era quello di mettere in crisi la UE. L’obiettivo è ovviamente legittimo come più o meno la maggior parte degli obiettivi in politica. Quel che è stupefacente è attendersi che gli attuali gestori della UE collaborassero volonterosamente alla realizzazione di quel sogno. Nelle capitali europee si sa benissimo che aria tira, quali sono i populismi in gioco, e quante scadenze elettorali di vario genere ci attendono nei diversi paesi nella prossima ventina di mesi. Perché mai avrebbero dovuto collaborare a costruire la catasta di legna per il rogo su cui li si vorrebbe bruciare?

In questo contesto Tsipras ha voluto giocare una mano di poker e l’ha persa. Naturalmente non si sa ancora se perderà tutta la posta in gioco, perché ci sono ancora diverse mani da fare e l’unità del sistema UE è tutt’altro che garantita. Ma qui sta un altro punto di cui non si vuole tenere conto: inutile lamentarsi della debolezza delle istituzioni europee nel momento in cui tutti, ma proprio tutti hanno lavorato per renderle così deboli.

Gli accordi per il vertice della commissione e la presidenza del parlamento europeo sono stati presi non per caso in un certo modo: tutto pesato col bilancino, nel più convinto accordo di tutti ad evitare di avere personalità di rilievo, sia per statura personale, sia per appartenenza geografica, nei ruoli di rappresentanza sovranazionale. Tutto questo è avvenuto nel più grande disinteresse delle opinioni pubbliche europee, a cominciare da quegli ambienti politico-intellettuali che oggi scoprono (beata ingenuità!) che così l’Europa non può funzionare.

Se si vuole affrontare seriamente il tema, bisogna lavorare per trovare alleanze là dove risiede la forza per affrontare la battaglia sia contro i populismi anti-europei, sia contro i corporativismi sovranisti che ancora dominano gran parte della scena. Per questo le campagne anti tedesche sono miopi e sciocche e per questo occorre lavorare per costruire una opinione pubblica responsabile che possa sostenere lo sforzo di ripensamento realistico della costruzione europea. Una impresa che richiederà anni.

Ma per fare questo ci vuole una cultura storica e politica all’altezza delle sfide, non servono i bla bla degli improbabili paragoni storici e delle analisi di comodo che pensano si possa trattare la realtà delle relazioni internazionali come se si parlasse della politica di un comune o di un condominio.