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La battaglia sui sondaggi

Luca Tentoni - 16.06.2021
Lega e FI

Poiché il mondo politico non riesce ad occuparsi d'altro (per fortuna, i provvedimenti più importanti e le scelte da compiere sono nelle mani di Draghi) c'è bisogno di scatenare qualche polemica di corto respiro. L'ultima è sui sondaggi. Salvini non gradisce che le rilevazioni demoscopiche diano Fratelli d'Italia (e persino il Pd, che tanto in crisi forse non è, differentemente da ciò che reputano alcuni settori minoritari del partito) alla pari col Carroccio, se non addirittura sopra la Lega. Non sfugge a nessuno che l'appello dell'ex vicepremier a Berlusconi per dar vita ad un "rassemblement" fra i due rispettivi partiti è una manovra per evitare a Salvini di dover cedere prima o poi la leadership del destra-centro (in base alla vecchia norma del Cavaliere in base alla quale il capo della coalizione di centrodestra è quello del partito che ha più voti). Ad oggi, Lega e FI valgono rispettivamente fra il 19 e il 22% la prima e fra il 6 e il 9 la seconda. Complessivamente oscillano fra il 26,5 e il 29,5%, teoricamente. Ciò vuol dire, considerando che una parte dei forzisti non approva "connubi" con la Lega e che quest'ultima subisce un'erosione a destra (che sarebbe verosimilmente accentuata dall'ingresso di Salvini e dei suoi nel PPE), che il "partitone" verdeazzurro può valere fra il 23 e il 26%, cioè può essere raggiunto in un anno (durante il quale, almeno fino al prossimo aprile, non si voterà per le politiche) da Fratelli d'Italia. Forse Salvini avrebbe dovuto rifletterci prima, offrendo la federazione a FI un anno fa, ma allora il Capitano pensava di poter rafforzare le sue posizioni e di non ritrovarsi FdI a un passo: non è il suo primo errore, del resto, dopo quello del Papeete. Così, appena pubblicato il sondaggio Ipsos che addirittura dava il primo posto al Pd (20,8%) davanti a Fratelli d'Italia (20,5) e con la Lega solo al terzo (20,1) le rilevazioni statistiche e i loro autori sono finiti sul banco degli accusati. In effetti, dei sondaggi sui partiti il mondo politico e quello mediatico abusano: non è possibile vedere ogni settimana cinque o sei rilevazioni che - come se fossimo nella Prima Repubblica, quando scostamenti minimi erano importanti - ci spiegano con enfasi che qualcuno perde lo 0,1 o lo 0,3 e qualcun altro lo guadagna. Ebbene, noi abbiamo esaminato con cura i risultati dei sondaggi di sei istituti: per cinque la Lega è prima, per sei al secondo posto c'è FdI, per uno il Pd è al primo posto (ma al terzo per altri cinque). Quanto detto conta qualcosa? A nostro giudizio poco. Infatti, ciò che vale è la fascia di oscillazione (la "forchetta") nella quale rientrano i valori, che scontano un margine d'errore statistico. Dunque, la Lega è fra il 19 e il 22%, FdI fra il 18,5 e il 21,5, il Pd fra il 18 e il 21%. In pratica, nessuno può sapere con esattezza chi sarebbe primo, secondo o terzo se si votasse oggi. Però i sondaggi servono, eccome: ci fanno capire che abbiamo tre forze del peso circa del 20% dei voti, una (il M5s) fra il 14 e il 17 e una quinta (FI) fra il 6 e il 9. I minori, a parte Azione di Calenda (quotata fra l'1,5 e il 3,5%) sono tutti fra l'1 e il 3% o fra l'1 e il 2%. Se ogni sondaggio riportasse le "forchette" (non i dati puntuali col primo decimale dopo la virgola) raffrontandole con quelle della settimana precedente, l'effetto sarebbe quasi sempre di una sostanziale stabilità, a meno di variazioni superiori allo 0,5 se non all'1% dei voti. Quindi, l'interesse per questo genere di dati verrebbe rapidamente meno, in televisione e forse anche sui giornali. I sondaggi sarebbero però come ora, tuttavia, materiale prezioso per i partiti e gli addetti ai lavori. Il problema è che non potrebbero essere "spettacolarizzabili". Il fatto che invece attualmente lo sia fa temere a Salvini il risvolto mediatico che una rilevazione Ipsos che colloca la Lega al terzo posto (sia pure con lo 0,4% meno di FdI e lo 0,7% meno del Pd) potrebbe avere sui lettori. È l'effetto "bandwagon" (salita sul carro del vincitore) che la Lega sfruttò fra il 2018 e il 2019, per poi vederlo trasferire su FdI (la Meloni cresce in voti virtuali e reali da due anni). Come dicevamo, dunque, i sondaggi non vanno affatto buttati via o denigrati. Vanno usati per quel che spiegano: per esempio, ci dicono che il centrodestra oscilla fra il 49 e il 52% dei voti virtuali (le forchette usate qui per le coalizioni e in precedenza per i partiti ricomprendono tutti i valori delle sei rilevazioni campionarie, a riprova che la fascia di oscillazione funziona); che un centrosinistra con Pd, M5s, SI, Articolo 1 e Verdi sarebbe fra il 39 e il 42%; che un centrosinistra senza M5s ma con Azione, Più Europa e Iv si fermerebbe invece intorno al 27-31%. In altre parole, oggi sappiamo che ci sono tre grandi partiti, un quarto un po’ meno forte, un quinto medio-piccolo, tanti soggetti politici quasi tutti sotto il 3% e tre coalizioni possibili, una delle quali vincente (il destracentro) e due - variamente assortite - che comunque non appaiono affatto competitive in nessuna versione (a meno di non voler unire tutti da Sinistra italiana e Articolo 1 a Italia viva e Azione, passando per Pd, M5s, Verdi e Più Europa: così avremmo una coalizione valutata teoricamente fra il 44 e il 47%, ma che finirebbe per raccogliere forse meno, perdendo a destra e a sinistra o verso l'astensione).