Ultimo Aggiornamento:
16 marzo 2024
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Il partito domato. I quarant'anni dei Grünen

Francesco Cannatà * - 18.01.2020
Bündnis 90 Die Grünen

Il 2020 è anno di ricorrenze doppie per gli ecologisti tedeschi. Quarant’anni fa, il 13 gennaio 1980, a Karlsruhe, dalla nebulosa politica Altra Associazione partiva il percorso verso i Grü­nen, il primo partito ecologista della Germania divisa. Dieci anni dopo nella RDT gruppi e movimenti civili di opposizione davano vita a Bünd­nis 90/Die Grü­nen. Due momenti cruciali nella travagliata storia del movimento ambientalista che fino al 1995 non avrà dimensioni proprie e definitive. Scismi, disaccordi, fratture saranno, per almeno un quarto di secolo, il marchio distintivo del nuovo movimento. Un susseguirsi di svolte indispensabili a trasformare il “mucchio selvaggio” degli anni ’70 e ’80, nel partito pienamente integrato dell’attuale Germania. Come sottolineato nei primi giorni del 2010 da Frank-Walter Steinmeier, il cammino dei Grü­nen è “esemplare del modo in cui forze completamente diverse e spesso contrapposte possano riuscire a darsi un’identità condivisa”. Un itinerario fatto di rotture radicali, dolorose separazioni, rabbiosi distacchi ideologi e drammi esistenziali impossibili da valutare freddamente. Che i verdi rappresentino, ancora secondo le parole del capo dello Stato tedesco, un partito “diventato maggiorenne negli anni” è però indubbio.
Violenza come forma di lotta politica. Pedofilia come forma d’amore verso i minori. Conversione delle fabbriche di automobili in officine per biciclette. Blocco nella costruzione di nuove strade. Limite massimo di velocità da far scendere a 100 km/h nelle autostrade e a 30 km/h per i centri urbani. Prezzo della benzina da portare a livelli proibitivi. Numero dei single da stimolare attraverso 500 marchi di contributi mensili. Connazionali spinti a trascorrere le vacanze in patria grazie a 1000 marchi di sgravi fiscali. Abolizione della pubblicità radio-televisiva. Questi i provvedimenti simbolo di un gruppo nominato non a caso “mucchio selvaggio”. Di quel giacobinismo massimalista è rimasto ben poco. Oggi la radicalità dei Grü­nen riguarda al più il livello di CO2 presente nell’atmosfera o la distanza tra le turbine eoliche. Giustizia vuole però si dica anche che i bonus con cui si è incentivata la restituzione dei vuoti in vetro è stata una proposta verde. Provvedimento d’avanguardia negli anni ’80, quando era osteggiata dalla lobby delle bibite, oggi il recupero del vetro è determinante nella battaglia antispreco mondiale.     

A quarant’anni dall’evento di Karlsruhe, l’anti partito è diventato una forza politica che vuole “gestire” lo Stato, come ha recentemente ammesso il suo presidente, Ro­bert Ha­beck. Al Bundestag, la Camera bassa del parlamento tedesco, i Verdi oggi si caratterizzano per i modi con cui padroneggiano i trucchi del potere politico e le regole della lotta parlamentare. La Germania è pronta per un Cancellierato verde? Se per un passo simile bastasse l’ambizione di chi lo propone il giro di boa sarebbe già all’ordine del giorno. Ma in tempi così turbolenti può la maggiore potenza europea affidarsi a un partito puramente ecologista? Prima che le aspettative verdi vengano fatte proprie dalla maggioranza dell’opinione pubblica del paese, i Grü­nen dovranno andare oltre la difesa dell’ambiente e la vigilanza sul clima. Garanzia dello Stato di diritto, difesa della democrazia, sostegno alla costruzione europea, coesione economica nazionale e continentale devono trovare chiaro posto sulle bandiere verdi.
Il percorso verso la normalità è da sempre oggetto di battaglia tra le due anime, Realos e Fundis, del partito. Se all’inizio erano gli ecologisti integrali a scandire i tempi del dibattito oggi i Grü­nen sembrano conviti dall’opzione realista. Svolta che ha un nome, Joschka Fischer, è una data, settembre 1995. L’intuito politico proprio dell’uomo da sempre figura carismatica e influente della corrente pragmatica verde sarà determinate nei momenti decisivi. Cosi, a tre anni dal giorno in cui i Grü­nen verranno chiamati al governo, è l’ex capo delle Putztruppen, la struttura paramilitare che nel ’68 aveva il compito di scontrasi con la polizia, sprona il partito a darsi politiche economiche e finanziarie nuove e più credibili. Solo ciò che si produce può essere distribuito ammonisce il futuro ministro degli Esteri della coalizione rosso-verde. La sferzata se per molti rappresenta il nuovo passo nella marcia Verde dentro le istituzioni tedesche, per altri non è altro che la fine del sogno della rivoluzione ambientalista. Ma Fischer non è solo. L’anno prima il cammino verde verso l’integrazione politica aveva ricevuto la benedizione di Wolfgang Schäu­b­le. È infatti grazie al contributo determinate del politico CDU che nel 1994 una deputata verde, Antje Vollmer, diventerà per la prima volta vicepresidente del Bundestag. Cosi, con la sponda di Schäu­b­le, Fischer sanzionerà la leadership sul partito. Ma la svolta alla concretezza era figlia di una sconfitta politica. Gli anni della riunificazione avevano visto il ruolo marginale degli ambientalisti. Guidati dallo slogan “vi è chi pensa alla Germania noi pensiamo al clima”, i Grü­nen restavano inchiodati all’assioma della doppia statualità della nazione tedesca. Un atteggiamento che nelle elezioni del 1990 vedrà il crollo dei Verdi occidentali. Per quattro anni sarà un drappello di otto deputati provenienti dall’ex RDT, Bünd­nis 90/Die Grü­nen, a dare voce alla causa ambientalista. Solo con le elezioni del 1994 la rappresentanza Verde tornerà nazionale. Ma quello che rientra al Bundestag è un altro partito: finite le pregiudiziali anti-governo della sinistra, spente le voci pacifiste anti NATO. È ora che Schäu­b­le appoggia Joschka Fischer. Una scelta lungimirante. Cinque anni dopo infatti sempre per mano dell’ex sessantottino ed ex rivoluzionario arriverà l’altro strappo: la rottura con la tradizione anti militariste della Repubblica di Bonn. L’ingresso tedesco nella guerra del Kosovo a fianco degli USA e contro la Serbia, getterà Verdi e SPD in una forte crisi d’identità. Un trauma superato con la logica della “guerra giusta” ma soprattutto grazie alle capacità retoriche del ministro degli Esteri tedesco. Il passaggio fischeriano dal mai più guerra al mai più Auschwitz non sarà solo un sensazionale colpo comunicativo. Rappresenterà una svolta fenomenale nella ragion di Stato tedesca, ma soprattutto libererà Grü­nen, socialdemocratici e l’intera Germania dal dogma isolazionalista. Oggi in un momento altrettanto decisivo per la storia tedesca sono il presidente del Land del Baden-Würt­tem­berg, Win­fried Kret­sch­mann, e il ministro delle Finanze del Land dell’Assia, Tarek Al-Wa­zir, a incarnare la politica pragmatica dei Verdi. Le elezioni amministrative dello scorso autunno nei Länder del Brandenburgo e la Sassonia hanno dimostrato che all’appello per la Cancelleria verde manca solo l’est tedesco. L’oriente rurale del paese, luoghi dove al di la dello spopolamento, dal 1989 poco si è mosso, è per i Verdi tuttora terra incognita. Nuova rivoluzione in vista per i Grü­nen?





* Dottore di ricerca in Storia dell’Europa orientale e autore di Nel Cuore d’Europa, Textus 2019.