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Il legame sistemico fra monocameralismo e Italicum

Luca Tentoni - 16.01.2016
Vademecum delle riforme costituzionali

L'approvazione, da parte della Camera dei deputati, del disegno di legge costituzionale che riforma, fra l'altro, il bicameralismo e il Titolo V della Carta repubblicana, sollecita un approfondimento di riflessione sul rapporto fra il rinnovato (o rinnovabile, a seconda dell'esito del referendum confermativo di ottobre-novembre) quadro istituzionale e la nuova legge elettorale (l'Italicum, che entrerà in vigore a luglio). In precedenti occasioni ("La battaglia sull'Italicum", 31 ottobre 2015; "Italicum e referendum, la posta in gioco", 29 dicembre 2015) abbiamo avuto modo di sottolineare su Mentepolitica che l'Italicum può rafforzare gli effetti della revisione costituzionale: è in grado di assicurare un po' più della maggioranza assoluta dei seggi di Montecitorio al partito che vincerà (con almeno il 40% dei voti) al primo turno o (con la metà più uno dei voti validi) al ballottaggio fra le prime due liste classificate. Eliminando la differenza non marginale che esiste oggi fra gli elettorati di Camera (comprendente tutti i maggiorenni) e Senato (limitato a chi ha compiuto 25 anni) e la stessa articolazione terroriale della legge per Palazzo Madama (la quale ha dovuto pur sempre tener conto dell'elezione "su base regionale", mentre per Montecitorio il premio - quando c'è stato - è sempre stato nazionale, anche con la legge 148 del 1953, definita dagli oppositori “legge truffa”) e togliendo ai senatori il potere di concedere e negare la fiducia al Governo (senza contare che la gran parte della legislazione sarà affidata ai deputati e passerà per eventuali "richiami" non decisivi in Senato), la revisione della Carta delinea un sistema decisionale più rapido ma anche, praticamente, "senza appello" (o quasi). In altre parole, chi vincerà le elezioni per la Camera avrà i voti per governare e fare approvare le leggi del suo programma senza sottoporsi (se non in casi eccezionali e con modalità particolari) alla "navetta" attuale. Con la possibile (quando non scontata) coincidenza fra leadership e premiership, avremo un sistema parlamentare nel quale il governo (e il partito di governo, nella persona del suo più alto esponente) rivestirà un ruolo molto più incisivo. Se, da un lato, il bicameralismo differenziato eviterà negoziati lunghi e complessi causati dalla diversa composizione delle Camere o dai contrasti fra deputati e senatori della stessa maggioranza, dall'altro mancherà quell'"azione di raffreddamento" che spesso ha permesso di emendare nel secondo ramo del Parlamento gli errori commessi nel concepimento e nell'approvazione di un progetto di legge (fra i quali le modifiche apportate in seguito a "imboscate", a scrutinio segreto, dei "franchi tiratori" di maggioranza). La trattativa per arrivare all'approvazione di un testo da parte dell'Assemblea di Montecitorio dovrà dunque essere "blindata" al momento della trasmissione in Aula del testo della Commissione parlamentare competente, altrimenti ci troveremo talvolta di fronte alla necessità di far "arenare" disegni e proposte di legge prima del voto finale, pur di evitare guasti legislativi. Sono inconvenienti che potrebbero rivelarsi marginali ed episodici, dei quali tuttavia andrebbe tenuto conto. In questo quadro, com'è evidente, il "combinato disposto" fra poteri esclusivi della Camera dei deputati e legge elettorale ha un ruolo determinante per l'intero sistema. Da un lato, la fiducia concessa da un solo ramo del Parlamento e la legislazione monocamerale creano un quadro di semplificazione e di rafforzamento dell'Assemblea di Montecitorio, che resta la sola a decidere, senza il "contrappeso" (chiamiamolo così, impropriamente) del Senato. Dall'altro, però, la configurazione del meccanismo di trasformazione di voti in seggi può decidere da quale parte far oscillare il pendolo del potere: più verso il governo e la leadership del partito di maggioranza (nel caso dell'Italicum) oppure verso la Camera dei deputati (se un giorno si adottasse un sistema elettorale proporzionale). Il meccanismo di voto per Montecitorio può assumere così un'importanza maggiore nel sistema persino rispetto al periodo della Seconda Repubblica. Torniamo, infatti, all'ipotesi che formulammo tempo fa ("La battaglia sull'Italicum", cit.): se in una contingenza politica il partito al governo fosse certo di non poter vincere le elezioni successive, la tentazione di cambiare il sistema elettorale e, di conseguenza, di riportare il "pendolo" verso il Parlamento, allontanandolo da Palazzo Chigi, potrebbe portare all'approvazione di una legge più o meno puramente proporzionale (per esempio con correttivi e soglie, come fecero in Francia i socialisti nel 1985 per impedire il trionfo del centrodestra). Oppure il partito di governo potrebbe constatare di dover costituire una coalizione con altri gruppi per essere competitivo alle elezioni successive, e potrebbe trovarsi costretto dai nuovi potenziali alleati a varare una modifica dell'Italicum tale da prevedere il premio di coalizione. Avremmo, a seconda delle circostanze, diverse dialettiche politiche e istituzionali. Col binomio monocameralismo-Italicum il confronto sarebbe verosimilmente quasi soltanto interno al partito di maggioranza, al suo gruppo dirigente, al gruppo parlamentare della Camera, al rapporto fra il premier/leader e il partito. Nel caso di una modifica che comportasse la formazione di coalizioni pre-elettorali, si avrebbe uno spostamento della negoziazione verso i partiti della maggioranza, il che comporterebbe possibili divergenze su singoli punti programmatici e renderebbe il governo del Paese più simile a quello "collegiale" del Pentapartito (o di parecchi governi della Seconda Repubblica) che a quello monocolore che si prospetta con l'Italicum nella sua versione attuale. Se poi si adottasse un sistema elettorale proporzionale o simile a quello tedesco, per esempio, avremmo verosimilmente governi di coalizione un po' più ampi dei "recinti" attuali. L’impossibilità di poter correggere il testo di una legge (se non approvando in fretta nuove norme “riparatrici”) renderebbe necessario un negoziato che si svolgerebbe non solo fra i partiti ma tra i gruppi parlamentari e le componenti di questi ultimi. In altre parole, la modifica costituzionale può produrre alcuni effetti sul quadro complessivo, fra i quali lo snellimento del processo legislativo e il rafforzamento del governo nel sistema, però questi effetti possono essere amplificati o attenuati a seconda del meccanismo elettorale in uso. Poichè la Costituzione è fatta per resistere al tempo (ed è difficile cambiarla, come si è visto nella storia repubblicana) ma le leggi elettorali durano in media circa dieci anni (1994-2005 Mattarellum; 2005-2015 Porcellum), non è escluso che già al termine della prossima legislatura o nella successiva si ponga il tema di rivedere le norme che "trasformano voti in seggi". Col risultato possibile di produrre ripercussioni sull'intero quadro istituzionale e dei rapporti fra e nei partiti, fra partiti e governo, fra governo e Camera dei deputati; sempre che, ovviamente, il Senato non sia fortemente "presidiato" dalle opposizioni, il che introdurrebbe ulteriori variabili.