Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

Il governo "calabrone"

Luca Tentoni - 04.07.2020
Calabrone

La coalizione di governo è come - nella convinzione popolare errata che la scienza ha censurato più volte - un calabrone: per le sue caratteristiche, sembra impossibile che riesca a volare, però lo fa. In questa fase, nella quale la politica del rinvio attuata scientificamente dal presidente del Consiglio serve a non mettere in difficoltà i Cinquestelle, ma anche a far saltare pazienza ed equilibri del Pd, tutto - compresi i passaggi di senatori pentastellati alla Lega o al Misto - fa pensare che il calabrone stia per precipitare: magari non ora, ma a settembre, con la resa dei conti, prima nelle urne e poi in Parlamento. Questo governo - che abbiamo sempre definito giallorosa e non giallorosso, per la presenza della componente centrista/macroniana di Italia viva - è sorretto da due partiti maggiori e da due comprimari (entrambi indispensabili, visti i numeri in Senato). Il M5s è il soggetto politico che - sulla carta - dovrebbe essere egemone o almeno - dati i rapporti di forza fra i seggi parlamentari pentastellati e quelli del Pd - recitare il ruolo che fu della Dc nel pentapartito (mentre al partito di Zingaretti spetterebbe quello del Psi). Eppure, quel 32% delle politiche raccolto dai Cinquestelle e quel 18% del Pd sono retaggi del passato: l'ultima rilevazione Ipsos attribuisce al M5s il 18% e al Pd il 20,4%, mentre per Swg il vantaggio dei democratici non è di due punti e mezzo, ma sale oltre i quattro (20,3% a 16%) e per Demopolis supera i cinque (21,2% a 15,8%). Quando nacque il governo, Ipsos dava il M5s al 20,8% (26 settembre), il Pd al 19,5%, Italia viva era al 4,8% e Sinistra Italiana-Mdp-Articolo Uno all'1,8%, per un totale del 46,9% che oggi scenderebbe al 43,6%. In ogni caso, oggi il partito che raccoglie più consensi - lo si vedrà anche alle regionali, dove i Cinquestelle sembrano essersi posti l'obiettivo di raggiungere il 10%, che a loro andrebbe persino bene - è quello di Zingaretti. Ricapitolando, il "calabrone" è fatto così: ha una base parlamentare composta in maggioranza da eletti dei Cinquestelle, ma una base sociale che vede prevalere Pd, sinistra e Iv; ha un presidente del Consiglio che ha guidato anche l'Esecutivo precedente con la Lega e che sembra puntare alla sopravvivenza a tutti i costi a Palazzo Chigi, sfruttando il fatto che il M5s oggi è fragilissimo (basta una votazione sul "Mes sanitario" per mandarlo in pezzi) e che il Pd non può prendersi la responsabilità di impuntarsi troppo per non far saltare tutto (forse anche la legislatura; di certo, una rottura renderebbe più difficile, nel 2022, eleggere un capo dello Stato espressione dell'attuale maggioranza allargata a Forza Italia, cosa che peraltro sarebbe già oggi non agevole). Come ai tempi del governo gialloverde, gli alleati non amano i patti elettorali per le elezioni amministrative. O, meglio, non li vuole il M5s, che teme di sposare un partner col quale non ha poi troppe consonanze (la linea di oggi, sebbene rafforzata dal governismo che è un collante formidabile, è quella di non far perdere ai Cinquestelle alcune parole d'ordine dei tempi nei quali non si alleavano ed erano "duri e puri": ma non si può, nello stesso tempo, essere tutto e il suo contrario). Così, il possibile crollo del centrosinistra alle regionali (con Marche e Puglia in bilico, se non perse, anche per via delle defezioni centriste nella terra di Emiliano) rischia di assestare al Pd un colpo molto duro. Ecco perché Zingaretti non solo è tornato sulla scena, ma ha spiegato chiaramente che il Mes sanitario va accettato anche dai pentastellati e ha chiamato a raccolta tutte le forze della maggioranza per impedire di regalare al destra-centro di Salvini e Meloni una vittoria che potrebbe rendere convulso l'ultimo trimestre del 2020 della politica italiana. I Cinquestelle resistono alla tentazione di costruire alleanze locali perché - come si vede sull'ostinazione a non cambiare i decreti Salvini sull'immigrazione - coltivano la speranza (del tutto vana) di recuperare i voti finiti nel 2019 alla Lega: un M5s alleato del Pd finirebbe per diventare una formazione dai contorni confusi, dal consenso intorno all'8-10% raccolto a suo tempo da Rifondazione o dall'Idv, cioè un soggetto difficilmente inquadrabile se non in una generica sinistra non troppo antica ma certo non moderna, dall’impronta massimalista, populista e assistenzialista. Inoltre, se in Liguria, Marche e forse Puglia finisse come in Umbria, a pagare il prezzo maggiore sarebbero i pentastellati: il Pd potrebbe dire di aver provato a vincere battaglie difficili, ma il M5s potrebbe trovarsi con percentuali di voto troppo basse e con il peso di batoste che graverebbero sull'eterogenea e turbolenta rappresentanza parlamentare del Movimento, diventato ormai un partito sempre più simile a quelli della Seconda Repubblica. Il "calabrone", dunque, appare ormai quasi come il governo gialloverde: un matrimonio di convenienza, voluto da una parte (Pd) per assicurare l'ancoraggio dell'Italia all'Europa, allontanare il pericolo della destra sovranista e permettere l'elezione, nel 2022 di un capo dello Stato non populista e dall'altra (M5s) per mostrare agli elettori pentastellati che si sono astenuti nel 2019 che il Movimento non è cambiato e non ha dismesso le sue bandiere neppure mutando alleanze (senza contare che fra gli obiettivi dei pentastellati c'è il tentativo di recupero del voto perso a destra, come si diceva, e la necessità di non "farsi contaminare" dal Pd e non farsi dettare l'agenda da Zingaretti e Renzi). Officiante, ma non più garante super partes, bensì primus inter pares, Conte: assurto da un ruolo subordinato e marginale a quello di grande tessitore e di stabilizzatore, è diventato l'"eternizzatore" della maggioranza e del suo ruolo a Palazzo Chigi: un po' per la sua azione volta a sopire, un po' per mancanza di alternative reali e credibili.